pbagnoli ha scritto:In data 13/5/2008, in occasione di uno di quei pochi editoriali che hai scritto - e perciò per me tanto più preziosi - così dicevi su Leyla Gencer:
Gli ultimi decenni della storia del canto si sono posti l’obbiettivo di spogliare il suono (anche quello operistico) della patina di artificiosità che la tradizione gli ha inflitto; e magari ridurlo alla sua essenza fisica, culturale, più pregnante.
La Gencer al contrario il suono lo adulterava in estremistici chiaroscuri, lo manipolava, lo sofisticava, lo copriva di incantevoli velluti o lo tendeva in striature aspre e dolorose.
Il suono era per lei un travestimento, un modo per mistificare le emozioni e i personaggi, per occultare la sua natura espressiva e vocale.
Per tutta la carriera si è cercata (forse e per fortuna senza trovarsi mai veramente). Si è trasformata, sperimentata e contraddetta. Non ha fatto che mettere e togliere maschere e in questo consisteva la sua instancabile, sfaccettatissima creatività.
E quando il suono, nelle sue infinite artefazioni, non bastava più a coprirla, allora intervenivano i manierismi dell’accento o del fraseggio, o la gestualità da altorilievo antico, gloriosamente primadonnesca
Ora, ti sembra che queste parole descrivano una vocalista in senso stretto?
A me sembra che tu abbia descritto - e magnificamente, anche - una colorista.
Assolutamente no, Pietrone. Non volevo affatto descrivere una "colorista" perché se c'è una che secondo me non fu mai e non avrebbe mai potuto essere una colorista è proprio la Gencer. La Gencer fu sempre e solo una vocalista in ogni millimetro della sua voce.
Evidentemente non mi so spiegare e me ne scuso.
Non vorrei che il colorismo, almeno come lo intendo io, fosse semplicemente considerato sinonimo di "sperimentazione", ricerca interpretativa, ecc....
E tantomeno considero il vocalismo sinonimo di monotonia e prevedibilità.
La distinzione infatti è prima di tutto tecnica: in particolare nella sua volontà di diversificare le emissioni, il colorista APRE!
La parola "colore vocale" (con l'obbiettivo di valorizzare le vocali) è praticamente sinonimo di "apertura" rispetto al canto in maschera.
Mentre il vocalista non apre.
La Gencer apre?
Se aprisse sarebbe una colorista, ma poiché non ha mai aperto un suono in vita sua (tranne nel registro di petto) non possiamo considerarla una colorista.
Non a caso - nella frase che hai citato - ho parlato di "chiaroscuri" e non di colore.
Questi ultimi non hanno niente a che fare col "colore".
Anche in pittura il chiaroscuro è una "simulazione" dei colori e può attuarsi anche con un solo colore: il chiaroscuro corrisponde semplicemente alla dialettica fra sonorità oscurate e sonorità schiarite (ma sempre nell'emissione in maschera) in cui la Gencer era maestra.
Un vero "colorista" (come la von Otter) non sarà mai un esperto di chiaroscuri perché "rivelando" la vera natura della sua voce (ossia aprendo) non potrà oscurarla o schiarirla, se non in limitatissima figura.
E' vero che la Gencer era una sperimentatrice sonora accanita, ma sempre e solo nell'ambito del vocalismo.
Personalmente prendo la sua prima Lady come esempio di vocalismo purissimo, non contaminato dalla grande lezione delle declamatrici.
Ho molti dubbi che "coloriste" in senso stretto potrebbero affrontare impunemente un personaggio simile.
Così come ho molti dubbi che la Gencer possa - nonostante tutta l'ammirazione che ho per lei - non risultare "antica" agli ascoltatori di oggi, abituati ai veri coloristi.
Salutoni,
Mat