Cantare bene ha scritto:Anche ammettendo che i diversi stili sottendano tecniche fonatorie diverse (falsità bella e buona, ma ammettiamola), sembri non aver capito il contesto nel quale ho citato il Tosi ed il Mancini: stavo parlando proprio del belcanto, e correggevo la descrizione distorta che ne faceva il Marazzi.
I trattatisti comunque non hanno mai inventato nessuna tecnica, ma hanno solo di volta in volta consolidato la tradizione vocale che li precedeva arricchendola con le conoscenze che derivavano dalla loro personale esperienza didattica e di ricerca, anche scientifica (vedi Garcia). Io nell'evoluzione della tecnica osservo più la continuità che lega le varie fasi del percorso, rispetto alle fratture e alle differenze. Le rivoluzioni non esistono.
Vedi, caro Cantare Bene,
tu non solo non hai corretto alcunché, ma continui a dare letture estremamente dilettantesche del fenomeno storico di cui ci stiamo occupando.
Ad esempio tu continui a citare trattatisti sperando con essi di invocare una sorta di eterna continuità (le rivoluzioni non esistono, ecc...) però guarda caso citi proprio trattatisti precedenti tutte le rivoluzioni che condizionano l'attuale canto classico (e che io ho accuratamente descritto): i trattatisti che continui a citare sono precedenti la metà dell'800.
Oh... lo so che potresti tirar fuori anche manualetti successivi, che si sono limitati a ricopiare quelli da te citati.
Ma io ti inviterei a confrontarti alla realtà del canto novecentesco: quello praticato realmente e diffuso su un secolo di discografia.
Ah... già. Quella non conta... I documenti, le testimonianze, la storia stessa non conta. Contano i dogmi.
Con la tecnica del belcanto (cioè l'unica tecnica di canto autenticamente italiana, autenticamente occidentale) si canta tutto, dal Gregoriano a Wagner e anche oltre:
Hai detto tutto... e tutto sia!
Facciamo cantare a Bergonzi e Bruson il Rock e il Jazz. Anzi, facciamo fare loro i virtuosismi spettacolari scritti per David, facciamo eseguire loro l'Oberon di Britten, facciamoli declamare Wagner e Strauss...
Ah già, quella non è musica!
Lo dimentico sempre: come dimentico sempre che tu ai tempi di San Gregorio Magno c'eri...e quindi sai benissimo come si cantava all'epoca!
Io non c'ero, ma dubito che si cantasse come diversi secoli dopo, prima cioè che venisse praticato e teorizzato il cosidetto Belcanto, prima che l'opera nascesse, prima che si cominciasse a chiedere alle voci di dispiegarsi in spazi lignei invece che nelle volute delle cattedrali, ecc...ecc... ecc...
In compenso a me pare tu non sappia nulla di come si canta Wagner, ma lì gli elementi li abbiamo tutti: c'è infatti un secolo di discografia che dimostra come si è sempre cantato Wagner e come il canto "declamato" (quello che oggi difende Kaufmann) fosse già praticato ai primi del '900 e diffuso in tutto il mondo.
Scusa... dimentico sempre che quello non conta...
Conta il fatto che "virtualmente" (non si sa perché) Schipa avrebbe potuto cantare benissimo Wagner e nel modo corretto (quello che un secolo e mezzo di Wagneriani specialisti non conosceva), anche se - chissà mai perché - alla resa dei conti egli non ha mai cantato Wagner, né Strauss, né Berg, nè Janacek.
Ha preferito cantare Donizetti, Bellini, Massenet, la canzone napoletana... strano, no? E anche quelli con pesanti alterazioni rispetto allo spartito...
Ma come? Non poteva fare virtualmente tutto?
A parte il fatto che non vedo perché dovrei usare una "terminologia scientifica", dal momento che non mi trovo in un ambito accademico, trovo comunque molto più efficace un'immagine come quella del "lupo mannaro stitico", rispetto a qualsiasi dissertazione scientifica, per descrivere il vociferare "affondato" e tutto spinto "di culo" (e quindi di gola) di Kaufmann (e questo è linguaggio, se non scientifico, certamente tecnico: la tecnica di Kaufmann prevede espressamente la ricerca di una propulsione "defecatoria", la insegnano molti pseudomaestri anche in Italia... bella roba!).
Finora abbiamo scherzato, perché sei un tipo simpatico e divertente.
Non c'è nulla di male che tu sia in difficoltà a usare la terminologia scientifica (a parte le citazioni "da mandare a memoria" dei soliti due o tre trattati) e pertanto preferisca esprimerti à la "bonne franquette" (come dice il personaggio di un'altra opera che non esiste: i Dialoghi delle Carmelitane).
Ma la prossima volta che usi espressioni come "canto di culo" e "propulsione defecatoria" sarò costretto a moderarti.
Non riusciremo a insegnarti la storia del canto, ok, ma l'educazione - almeno in questo forum - sì!
Allora fallo, la questione è nodale e se puoi affrontarla citando il Tosi ed il Mancini te ne sarò grato.
Da parte mia, riporto un paio di passi dal Tosi (1723), due fra tanti, per avallare questa mia tesi:
"Non si stanchi mai il maestro di far solfeggiare lo scolaro finché vi conosca il bisogno, e se mai lo facesse vocalizzar prima del tempo, non sa istruire"
"Procuri che profferisca le parole in maniera che senza affettazione alcuna siano così distintamente intese che non se ne perda sillaba [...], ché se non si sentono, quel cantore esculde la verità dell'arteficio"
I brani che citi dimostrano solo una cosa: che Tosi avvertiva perfettamente il grande pericolo insito nella tecnica che egli propugnava.
L'insistenza con cui vorrebbe che lo studente si applicasse a lavorare le parole e quindi le vocali (ovviamente senza aprirle) dimostra la chiara consapevolezza da parte sua del fatto che proprio tale tecnica produceva un livellamento timbrico, tanto da render poco decifrabili le vocali stesse.
D'altronde basta vedere l'uso che delle parole facevano nel Belcanto (stravolgendole in tutti i modi durante le arie, con melismi, ripetizioni a casaccio di singole parole e spostamenti delle stesse che rendevano indecifrabile il verso) per capire che all'epoca del Tosi la parola non era giudicata poi così importante.
Che il pubblico dell'epoca si dedicasse a tutt'altro durante le opere in fondo non sorprende.
Così come non sorprende che l'Opera italiana venisse eseguita in Italiano praticamente in tutta Europa (Francia esclusa) presso pubblici che comunque non avrebbero capito nulla dei versi di Metastasio... Tutto questo dimostra l'alta considerazione della parola che si aveva nel canto barocco!
Pertanto, sì, aveva ragione Tosi a rendersi conto del limite della stessa tecnica che propugnava: d'altronde non c'è bisogno di replicare i suoi precetti come Vangelo; è un fenomeno puramente meccanico: più oscuri le vocali, più le raccogli e le lavori nella maschera, più le avvolgi, le "aloni" degli armonici superiori, meno il colore vocalico conserverà il suo timbro originario e dunque meno sarà comprensibile.
I risultati li vediamo ancora oggi: il pubblico non capisce quello che dicono i cantanti, al punto che vengono messi i sopratitoli (o sottotitoli in video) persino con le opere in italiano.
Vuoi un'ulteriore prova? Proprio lo scivolone che hai fatto con i tuoi esempi.
Hai citato Schipa e la Callas... solo loro due. Né potreste citarne tanti altri...
Quei due infatti sono stati i grandi pionieri del colorismo nel canto italiano e comunque figure uniche e isolatissime non solo nelle loro epoche, ma proprio in tutto il panorama vocalistico novecentesco.
E così, un po' maldestramente, tenti di ingannare i nostri lettori facendo passare quei due giganti "unici" e diversi da tutti gli altri, come esempio generalizzato di "corretta prassi".
Interrogati invece... perché quei due erano così diversi dai loro colleghi!
Come mai - se quella era la tecnica corretta insegnata dal Mancini - nessun altro all'epoca di Schipa emetteva i suoni come lui?
E nessun soprano di repertorio italiano, all'epoca della Callas, emetteva certi suoni come lei?
Credi forse che Schipa e la Callas si siano messi a leggere il Tosi?
Credi che abbiano fatto sedute spiritiche con i "decifrabilissimi" cantanti del 700 (per cui i compositori stravolgevano le parole con melismi di quindici battute)?
E se questa "dizione chiara" Schipa e la Callas l'hanno tratta dai loro maestri (cosa assolutamente non vera, almeno nel caso della de Hidalgo) perché hanno cominciato a praticarla solo in fase avanzata della loro carriera (quando hanno cominciato a incidere moltissimo)?
Com'è che la stessa Callas e lo stesso Schipa da giovani erano oscurati, immascherati e indecifrabili esattamente come i loro colleghi?
Certo poi... prendere Rabagliati come esempio di come il canto "non classico" debba ispirarsi a quello classico è la cosa più ridicola che abbia letto negli ultimi anni. Rabagliati, con tutto il rispetto, non è niente nella storia del canto.
Vedi, caro Cesco Negre o Rossiniano che tu sia,
io ti sono estremamente grato per tutto quello che scrivi.
Perché, negli ultimi mesi, molti lettori del nostro forum avevano avuto la sensazione che noi combattessimo contro "fantasmi"...
Alcuni ci hanno proprio scritto (cito testualmente la lettera di un nostro ammiratore): "ma di cosa avete paura... perché vi accanite tanto contro il cellettismo... vi assicuro che il pubblico italiano adora Kaufmann, adora la Meier, adora la Von Otter, adora i vocalisti e i declamatori, anche se continuiamo ad applaudire la Devia. Perché siete sempre così all'erta contro i loggionisti e passatisti... Quanto peso reale pensate che abbiano? Perché credete che in Italia circolino ancora pregiudizi che potevano valere ai tempi dei nostri avi?".
Ecco, rispondo al nostro lettore: ecco l'esempio di quanto siano fondate le nostre preoccupazioni.
L'incredibile miscuglio di sprovvedutezza storica e intolleranza fideistica emersi in questo dibattito, la ferma volontà di negare la storia, disprezzare il dato obbiettivo e documentario, di irridere l'autorità del pubblico, negare diritto di "esistenza" a qualsiasi cosa non rientri nei propri facili e minacciosi dogmi.... come vedi tutto questo c'è.
In tutti i casi, sono contento che - finalmente (dopo mesi che Maugham e Pietro lo reclamavano) abbiamo potuto trovare il modo di tracciare un percorso storico delle scuole di canto di cui così spesso parliamo e delle loro principali caratteristiche.
Salutoni,
Matteo