intanto un caloroso benvenuto.
Pre principio non leggo mai le note di regia sui programmi di sala, quindi posso solo darti la mia opinione di spettatore (a meno che Carsen non si decida a iscriversi nel nostro forum!)
Come abbiamo detto, Carsen porta avanti anche in Tosca una riflessione che ricorre in molti suoi spettacoli (non so se hai visto il suo Capriccio, i suoi Racconti di Hoffman, la sua Arianna a Nasso, la sua Carmen: io li ho visti tutti dal vivo, ma i primi due sono anche in DVD).
La riflessione riguarda il rapporto tra finzione e verità nell'arte.
E' un problema che dà i brividi (specie oggi, con l'invadenza della realtà virtuale) e che Carsen sente moltissimo.
Quanto è "vera" l'arte? Quanto è "finta" la realtà?
E nella finzione non consiste proprio la verità dell'arte?
E il pubblico?
Quando noi assistiamo a un atto teatrale, in quel momento siamo veri (in quanto partecipi dell'evento artistico) o siamo anche noi parte di quella grande finzione?
Tu dirai "che c'entra tutto questo con Tosca".
C'entra... o anzi... non c'entra nulla se pensiamo alla Tosca di Puccini e Sardou (che avevano in testa, come tu giustamente dici, questioni di altra natura: questioni ideali, questioni politiche), ma c'entra se prendiamo "Tosca" come un oggetto simbolico.
Ossia come modello di iper-finzione teatrale: casualmente, se vuoi, ma quest'opera si adatta a meraviglia al "rovello" di Carsen, al suo riflettere sul rapporto fra finzione artistica e verità della vita (o, paradossalmente, fra instabilità del reale e assolutezza dell'arte).
Pensaci: quante sono le instabilità verità-finzione in Tosca?
"Vissi d'arte, vissi d'amore" canta la protagonista nell'esaltazione del suo tema.
"mai Tosca alla scena più tragica fu" commenta Scarpia mentre lei sta soffrendo la realtà.
"con scenica scienza" vorrebbe Tosca insegnare a Cavaradossi a morire! "Ecco un artista" dirà lei quando egli morirà davvero.
Folgoranti e continue invasioni di campo: la verità nell'arte, l'arte nella verità.
Carsen ci si butta a pesce! Quest'opera in cui una diva non sa essere donna... o è troppo donna per essere diva.
Quest'opera in cui la finzione e la verità si mescolano con insistenza destabilizzante...
E' l'opera perfetta per quello su cui Carsen ha bisogno di riflettere... "come la Tosca in teatro".
"Come la Tosca in teatro"....
Tu giustamente ti chiedi: ma la politica, la chiesa, la censura borbonica...?
Sono aspetti che svaniscono nel principio regolatore di una regia che non vuole più raccontarci "quella" storia, ma un'altra... ugualmente impressionante.
Che ne è del "personaggio" (ossia di colui che è "vero" solo nella "finzione") quando si ribella al suo stato e vuole "vivere"?
Può Tosca (emblema della diva, emblema del teatro, emblema del fittizio operistico e grandioso) fuggire al suo destino? Fuggire al suo creatore (il suo autore...) ed essere viva nella vita reale?
sunny ha scritto:siamo in un teatro e non in chiesa, ma tutti i riferimenti del libretto al fatto che l’azione si stia svolgendo in una chiesa finiscono per apparire un po’ incongruenti, se non ridicoli (la presenza stessa della cappella…).
Ma in quest'ottica il teatro è la chiesa.
La chiesa dove si onorano strani idoli... quei personaggi fittizi, inesistenti (come Tosca) che pure adoriamo fino al punto di piangere per loro.
Noi andiamo a teatro a venerare personaggi che amiamo, ma che sono pura invenzione... come appunto Tosca, che - nella regia di Carsen - appare alla fine dell'atto sul palcoscenico come una Madonna...
Tu davvero ci trovi un'incongruenza?
Palazzo Farnese si trasforma nell’ufficio del direttore/sovrintendente, e cosi’ pure Scarpia non è piu’ il capo della polizia (a meno che la direzione del teatro non sia un’attività collaterale prevista dal suo ruolo), ma allora non si capisce con che autorità si possa permettere di far torturare e ammazzare chi piu’ gli pare e piace.
Ma è proprio così! Scarpia è il direttore di teatro.
Tosca, Cavaradossi, Spoletta sono i "suoi" personaggi, le "sue" creature.
Lui li fa, lui li distrugge.
Tosca però cerca la libertà: vuole essere "vera" e non solo un personaggio.
E Cavaradossi?
Lui (personaggio) ama Tosca (il personaggio) e sa che non c'è spazio per loro fuori, nella realtà...
Loro esistono nella finzione. Lui sa che morirà (o meglio sa che "non morirà"... "morirà per finta" come si conviene a teatro, nel loro mondo) ma sa anche che da teatro non uscirà.
Tosca non si getta da castel sant'angelo.
Tosca si getta nella "verità" (il buio del "pubblico", oltre il boccascena) e lì sì che morirà davvero.
Quella che per noi (pubblico) è la realtà - ossia la platea, il mondo reale - per Tosca è la non-realtà.
Scendi nel mondo, personaggio, e sparirai.
Io personalmente ho trovato l'allestimento meravigliosamente coerente e persuasivo...
Ma sono solo miei gusti.
Salutoni,
Mat