L'ho sentita alcuni anni fa a Vienna.
L'impressione fu modestissima: questa bella donnona rumena poco più che trentenne mi sembrava quanto di più vecchio e superato potesse esserci.
Come molti artisti dell'Est europeo si era forgiata a uno stile e un'emissione che in Italia erano quelli degli anni '40.
Anche la recitazione, il trucco, il modo di stare in scena era vecchio.
Non che la voce fosse brutta (oddio, nemmeno esaltante, però sonora, estesa, con suggestive filature anche ad altissima quota), eppure suscitava in me quasi irritazione il tradizionalismo fiacco e polveroso del suo modo di porsi.
Mai e poi mai avrei pensato di aprire un thread su di lei su Operadisc.
Eppure le circostanze sconvolgenti, mostruose della sua morte impongono una riflessione.
Da qualche parte su internet viene spiegato il suo suicidio (avvenuto due giorni fa, all'età di 39 anni) con il fatto che la sua carriera si era arenata.
A Vienna e a Bucarest (centri principali della sua attività) non le avevano rinnovato il contratto.
Come una trafittura di rimorso, ho subito ripensato al cinismo con cui avevo (dentro di me) archiviato il suo caso.
E ho pensato a quante altre persone devono averlo archiviato, proprio come me.
E' un dato di fatto che l'interprete d'opera non canta per se stesso: canta per una società che pretende - e giustamente - di ritrovare nel suo canto il proprio riflesso.
Il cantante non può dunque prescindere dalla sensibilità del proprio tempo, non può legarsi (come la Briban) a un'epoca finita, in cui i soprani erano tali solo se cantavano Verdi e Puccini, se lo facevano con le antiche pose melodrammatiche e con suononi belli tondi, con pettinature importanti e trucco da dive.
Altrimenti si trova, come lei, nel corto circuito di una carriera che regge (senza veramente decollare) solo finché c'è la pienezza e la gioventù.
Dopo è sola...
Eppure io credo che chiunque, anche chi è figlio di un'altra epoca, possa trovare modo di parlare al presente.
La Olivero (altrove citata per le sue pose melodrammatiche) c'è riuscita: faceva fremere il pubblico degli anni '60, senza tradire il suo mondo di filatini e sospiri da telefoni bianchi, anzi facendone (come in Medea e nella Medium) uno strumento di squilibrio alle volte persino terrificante.
Non si deve, quindi, tradire se stessi, solo scoprire quale è la via giusta per conquistare questo rapporto con il proprio presente...
e se l'artista non ci arriva da solo, qualcuno deve aiutarlo a capirlo.
Ora mi chiedo se una donna come la Briban, che in sé chiudeva tanta forza e tanta disperazione da arrivare a togliersi la vita, non avesse davvero altro da offrire al pubblico che filature e suoni belli grossi...
Mi chiedo quanto ci fosse in lei di inesplorato, che poteva convertirsi in emozione sonora e teatrale!
Chi aveva intorno a lei? Come è possibile che un artista (quando non è una macchina da soldi) sia lasciato solo in questo modo?
Salutoni,
Mat