Il Ring "metropolitano".
Ho visionato da poco il Ring andato in scena al Met nel 1990. Confesso che ho tratto non pochi spunti d'interesse.
Anzi tutto una regia tradizionale (mi domando come il Met che ha sempre disposto il meglio dal punto di vista dei cast, non ha fatto la stessa cosa per quanto riguarda le regie, affidandosi sempre alla cosidetta tradizione. Qualcuno e' in grado di rispondermi?), che sembra rispondere alla nuove regie disposte da un Chereau o Kupfer. Un affidarsi totalmente ed integralmente alle disdacalie proposte dal compositore, anche per agevolare la fruizione del pubblico pagante. Insomma, non ci sputerei di fronte ad uno spettacolo piacevole, senza tralasciare gli effetti in stile hollywodiano, ad esempio il finale del "Crepuscolo degli Dei". La regia e' di Otto Schenk.
Parlando dei cantanti il Met, salvo sporadici distinguo, offriva in quel periodo il meglio degli esponenti del canto wagneriano. A partire da Siegfried Jerusalem (Loge ed i due Siegfried della seconda e terza giornata). Un cantante che mi ha lasciato sempre perplesso in merito alle sue perfomances, ma che comunque ha sempre portato a casa dignitosamente lo spettacolo anche a fronte di ruoli impossibili (il Siegfried della seconda giornata, ad esempio), mostrando una freschezza fisica che lascia sbalorditi, nonostante si nota un'evidente sforzo nei punti di maggiore drammaticita' (sembra colpito da un tremito che scuote tutto il corpo, quando deve emettere acuti a piena forza). D'altronde un drammatico non lo e' mai stato, quando avrebbe potuto affrontare al massimo un Lohengrin, un Parsifal od un Walther.
Niente da eccepire, almeno credo, sulla Brunhilde di una esaltante Hildegard Behrens. A differenza del suo compagno di viaggio, mostra fraseggio partecipe ed un maggior coinvolgimento del personaggio che non lascia indifferente l'ascoltatore, oltre ad una migliore convincente prova dal punto di vista recitativo. Resta qualche malessere in zona acuta, specie i suoi orridi (e' il caso di dirlo) "Hojotoho". Ma comunque, resta un'artista di razza che non teme confronti di sorta anche a fronte di calibri di una Flagastad, Varnay o Modl.
La sorpresa piu' piacevole e' stato, senza ombra di dubbio, il Wotan di un inossidabile James Morris. Il suo e' stato un Wagner ispiratore di quei cantanti degli anni '30 affrontandolo con tecnica vocale italiana. In Morris poco declamato e tanta vocalita', manco fosse un Nazzareno De Angelis (un paragone neanche tanto azzardato). Sentire cos'e' il suo Wotan nella Walkiria e poi mi direte.
Per ultimo ho lasciato il mito vivente che risponde al nome di Christa Ludwig, nei panni di una petulante Fricka ma sopra tutto di una guerriera tosta Waltraute.
Il primo distinguo, se mi permette, e' la scelta di Ekkerard Waschiha, in questo frangente meno vociferante del solito, quando avremmo potuto disporre di un Franz Mazura (e' un immenso peccato che non esista una testimonianza discografica del suo Alberich). Cio' non toglie che in alcuni momento e' risultato convincente, anche se non si capisce se per merito del cantante o per la forza percussiva della pagina musicale. Mi viene in mene la "scena della maledizione" tratto dall' "Oro del Reno".
Tra le presenze di lusso, meritevoli di menzione, vi e' sicuramente la prosperosa (in tutti i sensi) Siegliende della Jessy Norman, il monumentale Hagen di Matti Salminen (il quale ha ricoperto anche il ruolo di un cavernoso Fafner) ed il Mime viscidissimo ed impareggiabile di Heinz Zednik (che pecca grave non avergli affidato pure il Loge, come succedera' nel Ring di Boulez).
Nella semplice ordinarieta' gli altri, in primis il trio Gary Lakes (Siegmund), Anthony Raffell (Gunther) e Hanna Lisowska (Gutrune).
Cosa ne pensate?