Riccardo ha scritto:Io per farmi piacere questo personaggio ho bisogno di cattiveria, di una vocalità insolente, non importa se nella grinta dell'accento (Moser, Damrau), nella spietatezza dell'incedere (Deutekom, Sutherland).
Certo Ric... tutti noi!
E' una nostra antica consuetudine: è regina? e' cattiva?
E allora sia affidata a voci grandi, perentorie e modi vigorosi.
Ogni melomane sotto sotto preferisce le grandi esplosioni drammatiche: i personaggi incazzosi ci piacciono, inutile negarlo!
Il problema semmai è che orientiamo un personaggio verso applicazioni a noi più consuete e gradite, sul momento ne trarremo soddisfazione, ma poi ci sentiremo spaesati nel resto dell'opera, nel significato complessivo della musica, nell'identificazione della sua poetica.
Ti faccio un esempio: negli anni 80 (o primi 90, non ricordo) sentii una Norma con Ghena Dimitrova: io avevo nelle orecchie non solo la Callas, ma la Silss, la Sutherland, la Caballé, la Gencer, la Scotto. E quindi contestavo tutto.
Un anziano signore di mia conoscenza era invece entusiasta della Ghena.
E quando io replicavo che ...la scrittura, la filologia, le agilità, e bla... bla... bla... lui mi rispondeva che, senza il vigore drammatico e la voce possente, tutti i "cip cip" gli parevano inutili... li considerava (mi pare proprio che usasse il tuo stesso termine) "datati".
NOn gli importava che la scrittura fosse tradita: voleva ritrovare i vocioni drammatici a lui più consoni perché più vicini ai suoi gusti (la Cigna, ecc...)
Secondo me, invece, quando ci concentriamo su un'opera, vogliamo capirla, dovremmo cercare di individuare prima di tutto la sua specificità (anche e soprattutto se è diversa dalle nostre abitudini di ascolto) e non dico di farcela piacere per forza, ma per lo meno di non tradirla con facili omologazioni ad altro repertorio. E un po' quello che tu (super-esperto rossiniano) fai con Rossini.
Più gli interpreti sono "specifici" per quella scrittura (e capaci di valorizzare le differenze con il resto del repertorio) più ti piacciono.
Il Singspiel ha la "sua" verità, che non è quella dell'opera romantica e men che meno (come affermava Teo.Emme) quello dell'opera seria barocca.
Omologarlo ad altre forme di spettacolo ce lo rende più digeribile solo sul momento e solo a tratti.
Poi ce lo fa odiare su tutto il resto (finiamo per considerarlo un genere stupido e secondario... proprio perchè non sarà mai all'altezza delle forme di opera a cui vogliamo assimilarlo).
E così se assimiliamo la regina della notte (ruolo leggero e ironico da Siengspiel) al grande soprano drammatico (di successiva applicazione) ...forse ci divertiamo di più per il tempo delle sue arie, ma ci annoieremo in tutto il resto dell'opera, che infatti spesso risulta noiosa, pachidermica, lenta, concettosa: la maggior parte dei melomani vi si annoia più o meno dichiaratamente.
Per forza: ciò dipende proprio dal fatto che non abbiamo colto il respiro e la specificità di quel teatro e di quella musica: quasi ci vergogniamo della sua natura "popolare" (fermo restando che era un popolanità estremamente erudita e progressista); vi applichiamo il linguaggio di altre espressioni operistiche col risultato di farne una minestra monotona e concettosa.
Venendo alle regine che hai citato, sposo gli elogi alla Moser, che - è vero è fin troppo aggressiva - ma lo fa in modo non barocco e nemmeno da primadonna belcantistica; era infatti profondamente immersa nel Singspiel come nell'Operetta e in generale nella musica popolare ed è questa esperienza che vi mette in campo.
La Gruberova poi io la considero, a differenza tua, strepitosa: proprio lei che solitamente è assurda come interprete, qui trova una via per fare della regina un personaggio "comico" (madre ipocrita, ansiosa, domestica seppure incoronata, che piagnucola ipocritamente la scomparsa della figlia, salvo poi scintillare nell'occhio fulminante e nel vestitone improbabile). Individua un cammino quanto mai originale, attingendo a sua volta all'esperienza col Singspiel e l'opera buffa... (vocalmente è vero ha fatto di meglio).
Sepoi arriviamo alle Dessay, Damrau e Petibon tutte e tre hanno rappresentato, recentemente, una svolta verso l'autenticità popolaneggiante del ruolo, giocandovi - specie le ultime due - un taglio pop che le rende finalmente convincenti (la Damrau la sentii anche dal vivo a Salisburgo, purtroppo affiancata da un direttore che più lontano di così dallo spirito dell'opera non poteva essere).
La Lipp declinava in astrazioni lunari un virtuosismo freddo e lucente alla Erna Sack e i suoi sopracuti natalizi: io la trovo rivelatrice, tutt'altro che datata. Ma questi sono gusti.
So anche io che resistere alla Deutekom e soprattutto alla Sutherland è difficile! Di quest'ultima poi (lo ricorderai) sono stato io a perorare la causa con te, vari anni fa, quando non la gradivi troppo in questo ruolo.
Però resto dell'idea che esse rappresentino per noi, quello che per l'anziano di cui sopra era la Dimitrova in Norma!
Ma temo di non poter convincerti!
Salutoni,
Mat