Riprendiamo le fila del discorso Nourrit, che per altro (me ne sono accorto facendo una piccola ricerca) è stato ampiamente trattato nel nostro forum
Lo amiamo molto; ne abbiamo spesso parlato; e non solo perché fu il prototipo per una fetta importantissima del repertorio tenorile, ma perché rappresenta (più di Duprez, più dello stesso Rubini) l'artista che amiamo noi: quello per cui il canto non è un fine ma un veicolo di emozione teatrale e musicale, quello che usa la sua vocalità come un poeta utilizza le parole e le figure della Poetica.
Ma c'è un'altra ragione per cui spesso lo abbiamo citato.
Il fatto è che nell'interpretazione recente (e in generale novecentesca) non si è trovato un modo adeguato per tradurne i personaggi.
Di possibili interpreti Rubini ne sono saltati fuori, anche se la scrittura rubiniana è fra le più ardue mai concepite (intrinsecamente più ardua di quella di Nourrit).
Di possibili interpreti Duprez ancora di più: perché in fondo il modello Duprez è quello che ha avuto maggior fortuna, prolungandosi per tutto l'Ottocento e arrivando a occhieggiare il ventesimo secolo.
Con Nourrit invece sono dolori: nessuno che veramente persuada fino in fondo nei suoi personaggi.
In essi si mescolano problemi di natura fisico-tecnica e problemi di natura poetica.
I primi non sono dovuti tanto a una reale difficoltà di scrittura (vocalmente Nourrit non era un superman! Era un tenore morbido, elegante, baritonale, con un efficacissimo falsetto e una discreta agilità), quanto al fatto che la tecnica dell'haute-contre, e in generale del tenore pre-romantico, è estinta da moltissimo tempo.
Come è stra-noto, i tenori precendenti a Duprez erano straordinari falsettisti. Avevano imparato a gestire il registro acuto e sopracuto in modo sopraffino con un falsetto oggi molto difficile da emulare, perché - dopo un secolo e mezzo (quasi due) di abolizione di questo tipo di tecnica - i nostri cantanti uomini ne hanno perso la familiarità; i contro-tenori si stanno impegnando da circa tre generazioni per riconquistare il terreno perduto, ma il loro falsetto è ancora piuttosto primordiale; possiamo accettarlo in una buona fetta di repertorio, ma difficilmente lo accetteremmo in ambito rossiniano, francese e protoromantico.
E così continuiamo a tollerare il minore dei mali: piuttosto che ricorrere a falsettisti ancora tecnicamente immaturi, ci rivolgiamo a tenori molto acuti e quindi in grado di raggiungere note che erano scritte così alte proprio perché pensate per falsettisti, a costo di sacrificare gli equilibri timbrici e armonici legati alla scrittura per voci più gravi e sombrées.
Lo stravolgimento è necessario (almeno fino a che i tenori non ricominceranno a studiare il falsetto) e tuttavia non esente da vistose conseguenze...
Solo per fare un esempio, ci si scandalizza tanto che Domingo canti Rigoletto: eppure tra l'estensione e il baricentro di un baritono "Varesi" e quella di un tenore baritonale come Domingo la distanza è perfino minore di quella che intercorre fra l'estensione e il baricentro di un Pavarotti o di un Gedda (famosi Arnoldi discografici) e quella che sicuramente aveva Nourrit, il quale era in difficoltà nell'agganciare di petto anche solo un si bemolle.
Non parliamo di un Florez alle prese con il Comte Ory!!
Va poi detto che per i ruoli scritti per David o Rubini la scappatoia funziona: sono scritture già di per sé particolarmente eteree e slanciate.
Con Nourrit invece sono dolori.
Infatti Nourrit non solo era più centralizzante e baritonale (come tutti gli haute-contre che l'avevano preceduto), ma il suo timbro possedeva velluti scuri, morbidi, sensuali che oggi assoceremmo alla corda baritonale; ce lo dimostrano gli stessi compositori che appresero assai presto a trarre partito dalla morbidezza calda del suo registro centrale per sviluppare suggestive dinamiche sonore, ad esempio in termini di orchestrazione (l'esempio più famoso è la viola d'amore negli Ugonotti).
Qualcuno, condizionato dalle derive novecentesche, pensa di poter confondere il baricentro "centralizzante" della voce di Nourrit con l'anacronistica categoria della drammaticità (è noto che il 900 sviluppò la semplicistica equazione tenore baritonale = tenore drammatico).
In realtà nulla nel canto e nella personalità di Nourrit ci induce a pensare che egli fosse anche solo avvicinabile ai successivi tenori "di forza" (modello sviluppatosi da Duprez e proseguito attraverso Tamberlick fino a Tamagno). Errore gravissimo!
Il canto di Nourrit (come la sua personalità, la sua fragilità umana e artistica) era morbidissimo, sentimentale, nostalgico. Che avesse sensibilità tragica è vero, ma la sua tragedia era di introversione, di turbamento, di sfumature dell'anima.
Tutti i personaggi scritti per lui confermano che a prevalere sono i grandi abbandoni romantici, la palpitazione, gli abissali sconforti... e anche nei momenti "trascinanti" era più la passione del suo canto (più che non la forza) a esaltare il pubblico di Parigi.
Non soprende, in questo senso, che egli abbia portato a Parigi (dimostrando una prospettiva culturale stupefacente) i lieder di Schubert, praticamente in tempo reale. Egli fu infatti il più liederista dei tenori romantici (altro che Tamberlick! Altro che Tamagno! E altre trombette del romanticismo posteriore e barricadero).
Baritonale sì, ma non eroico, non possente in senso dupreziano: il contrario stesso.
Eccoci quindi già in difficoltà.
A quali tenori odierni affidiamo i suoi ruoli?
Tenori dal medium denso, vibrante, morbido, vellutato, patetico (praticamente baritoni lirici), ma con un registro acuto che di petto raggiunga almeno il re bemolle sopracuto... capaci, più che di virtuosismo, di lacerante intensità melodica... come un violoncello.
A questo problema (tecnico-vocale) se ne aggiunge uno ancora più grave, più drammatico.
Che Rubini non fosse (drammaturgicamente) un genio è acclarato. Nemmeno Duprez lo era.
Erano già modelli di un tenorismo più allegorico che psicologico; attori non sempre efficaci, uomini di limitata cultura, formidabili nel riprodurre formule più o meno adatte a evocare schemi emozionali consolidati.
Nulla di male: l'interprete (e segnatamente l'interprete d'opera) non deve solo rappresentare personaggi, ma alle volte anche solo modelli emozionali, e in questo senso sia Rubini, sia Duprez furono sensazionali (e nei loro interpreti anche attuali... la schematicità psicologica è un pregio).
E tuttavia Nourrit non era di questa pasta.
Lui era un vero psicologo dell'interpretazione canora.
A lui i "modelli" non interessavano affatto; piuttosto arricchiva i personaggi di chiaroscuri shakespeariani, di sfumature inaudite, di orizzonti impensabili, cosa che si avverte meravigliosamente bene in tutte le opere composte per lui: i personaggi Nourrit hanno TUTTI una dimensione poetica e umana di irresistibile grandezza.
Persino Rossini, trovandosi di fronte un tipo simile, scatenò contraddizioni poetiche e profondità di turbamenti inusuali per i suoi personaggi.
Non parliamo dei due ruoli Nourrit di Meyerbeer...
Quando mai erano stati affidati personaggi di tale complessità psicologica alla voce del tenore?
Creature torbide o fragili, o sanguinarie, o anziane, devastate (come il vecchio Ebreo della Juive il Macbeth di Shakespeare) in qualsiasi epoca sarebbero state orientate a voci gravi: bassi o baritoni.
Non se c'è Nourrit in giro...
Quale che fosse l'età, la positività, se c'era un personaggio enorme lo si affidava al tenore!
L'abnorme ricchezza umana e artistica di questo artista è dunque una componente essenziale non solo per la comprensione dei personaggi composti per lui, ma anche per la sua esecuzione.
Tanto di cappello a Riccardo che ha colto perfettamente il nocciolo della questione della soppressione della "gelosia" nei Martyres da parte di Donizetti.
Riccardo ha scritto:.
Il fatto di aver tolto nei Martyrs il motivo della gelosia, aver spiritualizzato fortemente il personaggio, privandolo di quel tremendo dissidio tra umanità e religione, causandone anche la caduta dal titolo dell'opera, è dovuto al fatto che la parte doveva funzionare per un Duprez che certo non era una personalità complessa come il suo infelice collega, né naturalmente poteva avere tutto l'entusiasmo ai limiti dell'autobiografia che Nourrit coltivava nei confronti della conversione di Poliuto e che è presentissimo ed avvertibile in come Donizetti ha composto questa parte.
COMPLIMENTI Ric!
Ed eccoci quindi in ambasce ancora maggiori.
Non solo dobbiamo dannarci per trovare tenori che sappiano combinare slanci sopracuti in tessiture baritonali, senso della sfumatura liederistica, del chiaroscuro e del fraseggio strumentale, ma anche forti, profonde, trascinanti personalità di interpreti.
Lungo tutto il 900 ci abbiamo provato.
Ma se si trovavano voci con gli acuti al posto giusto (l'Arnoldo di Pavarotti o il Masaniello di Kraus) poi mancavano i centri vellutati e baritonali.
Se c'erano quelli (Corelli, che con Nourrit ci provò due volte: Poliuto e Ugonotti, entrambi mai più ripresi), mancava la consapevolezza del grande musicista.
E se c'era la consapevolezza del grande musicista (Gedda), la tecnica antica e il fraseggio aulico (Lauri Volpi), mancava la palpitazione emotiva del grande poeta romantico.
E se c'era la palpitazione romantica (e la musicalità, e gli acuti, e il velluto "coloristico" dei centri), mancava la grande dimensione tragica: e questo è il caso di Kunde, finora il più completo interprete di Nourrit (Arnoldo, Raoul, Poliuto) ma nemmeno lui, alla fine delle fini, ideale.
Questo di Nourrit e dei suoi personaggi è un problema apparentemente insolubile.
Per favorire il dibattito, vi stilo l'elenco dei personaggi da lui creati all'Opéra, nel decennio in cui vi regnò (1826 - 1836).
Se ne ho dimenticato qualcuno, attendo correzioni.
1826 - Rossini: Le siège de Corinthe (Néoclès)
1827 – Chelard: Macbeth
1827 – Rossini: Moïse et Pharaon (Aménophis)
1828 – Auber: La muette de Portici (Masaniello)
1828 - Rossini: Le Comte Ory
1829 – Rossini: Guillaume Tell (Arnould)
1830 - Ginestet: François Ier à Chambord (Leonardo da Vinci)
1830 - Auber: Le Dieu et la bayadère (Il Dio)
1830 - Weber: Euryanthe, vers. francese (Adolar)
1831 - Auber: Le Philtre (da cui è tratto l'Elisir d'Amore)
1831 – Meyerbeer: Robert le diable
1832 - Auber: Le Serment
1833 – Auber: Gustave III (da cui è tratto il Ballo in Maschera)
1833 - Cherubini: Ali Baba ou les quarantes voleurs
1835 – Halévy: La juive (Heleazar)
1836 – Meyerbeer: Les huguenot (Raoul)
1836 - Bertin: Esmeralda (Phoebus)
1836 - Niedermeyer: Stradella
Anche solo scorrendo i titoli si resta sbalorditi... L'Opéra non sapeva più dove andare a recuperare personaggi abbastanza complessi per lui.
Da miti storici come Leonardo da Vinci e Stradella, a miti letterari come il Phoebus di Victor Hugo, alla traduzione francese del don giovanni di mozart.
Ovviamente a questa lista spettacolare vanno aggiunte le creazioni italiane: l'Elena da Fletre di Mercadante e il Poliuto, purtroppo annullato all'ultimo momento.
Salutoni,
Mat