Finalmente ho trovato il tempo di guardarmi il Messiah con la regia di Guth. In realtà è tale l'entità del lavoro di vera e propria "scrittura dramaturgica" -in fin dei conti si tratta di un oratorio!- fatto dal regista che si tratta più propriamente del Messiah di Guth con musiche di Haendel.
Sono rimasto semplicemente sbalordito dal risultato sia per quanto riguarda il versante musicale (Spinosi e coro in stato di grazia e interpreti tutti bravissimi, apice un Mehta strepitoso) sia, soprattutto, per il virtuosismo tecnico della regia.
Solo, mi domando... accidenti! Questo diavolo d'un regista ha preso nientemeno che un oratorio dedicato a Gesù Cristo, utilizzandone le musiche per raccontare la vita di un grande uomo d'affari
! Qui il lavoro di creazione sull'opera originaria (utilizzata come un canovaccio) è davvero spinto al massimo grado (nulla a che vedere con la Theodora di Sellars, che comunque manteneva l'atmosfera e l'ambientazione religiosa; peraltro Guth, la Theodora di Sellars dimostra di averla assimilata profondamente!). Eppure i conti tornano, e tornano eccome! La musica calza come un guanto alla scena e all'atmosfera della vicenda. Eppure musica e testo appartengono pur sempre ad un oratorio cristiano!
Ora può sembrare a prima vista "riduttivo" mettere in scena una vicenda che c'entra davvero gran poco con quanto viene cantato "riducendosi" a costruire una "storia con sottofondo di musiche di Haendel". Eppure, sebbene la vicenda sia diversa (o meglio, nello spettacolo di Guth c'è una vicenda che nell'oratorio manca) gli "affetti" sono gli stessi! In fin dei conti, gli "affetti" sempre quelli sono: odio e amore, gioia e dolore, rabbia e serenità, speranza e disperazione (anche se spesso Guth procede per "contrasto" tra l'"affetto" rappresentato in scena e quello suggerito da musica e testo)...
L'eccellenza del risultato la dice non solo sulla genialità di Guth, ma sul senso profondo della musica nel repertorio teatrale barocco: la musica è "cassa di risonanza" emotiva, mentre le vicende (che qui, propriamente non sono presenti, in quanto di oratorio si tratta) sono confinate alle aree di "puro testo", cioè ai recitativi). Ora, sfruttare proprio (e solo) la "cassa di risonanza emotiva" di quest'opera (la musica) per costruirvi sopra una vicenda che (apparentemente) più lontana di così dall'originale non si potrebbe la dice lunga sulle possibilità espressive e drammaturgiche del teatro di regia moderno. E, a costo di sembrare provocatorio, potrebbe perfino essere considerata un'operazione di filologia.
Che dite?
DM