Leyla Gencer

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Re: Leyla Gencer

Messaggioda MatMarazzi » mar 14 set 2010, 15:48

Scusa, Francesco, se ho spostato qui il tuo post sulla Gencer.

melomane ha scritto:La Gerusalemme del 1964: sul cofanetto risulta registrazione live del 11/6/1964, l'edizione è MondoMusica mfoh 10608

Grazie mille delle informazioni.

Sto scrivendo una breve recensione, che presto porterò alla vostra attenzione

...che attendiamo con impazienza! :) Grazie mille!


Le Gencer declamatrice: penso che il declamato come categoria elaborata in questo thread non sia "la parola", ma quel recitar cantando dell'ideale degli antichi trattati.


Be' Francesco...
Questo proprio no. Anche perché il concetto di "declamato" da me proposto - ormai da molti anni - in questo forum, ha un'accezione ben precisa.
Ho utilizzato questo termine per definire un tipo di emissione completamente diversa da quella vocalistica, elaborata alla fine dell'Ottocento sulle esigenze innovative e specifiche esigenze di un nuovo tipo di scrittura vocale, in particolare wagneriana.
Il secentesco "recitar cantando" - che per altro non credo condizionasse più l'operismo donizettiano - è tutt'altra cosa; quanto alla Gencer la sua idiosincrasia per tutto ciò che è declamazione (ovviamente nell'accezione "tecnica" che abbiamo attribuito al termine) è ampiamente dimostrata anche dagli esempi proposti, in altra sede, da Triboulet.
Poi nessuno vieta che si possa essere espressivi anche in seno al vocalismo, ma si tratta di un'espressività ottenuta con altra tecnica rispetto al declamato.
Proprio il passaggio che hai citato tu, dal secondo atto del Devereux, dimostra come la Gencer non solo riuscisse a essere molto espressiva, ma che lo fosse proprio sfruttando gli strumenti del vocalismo, arrivando a inventarsi suoni particolari, strani, molto comunicativi, destinati a fare scuola.
Se vogliamo essere anche un po' critici, potremmo dire che quegli infami "colpi di glottide" che di lì a poco la Gencer si sarebbe inventata, nascevano dalla sua incapacità tecnica di dare rilievo all'esplosione delle singole sillabe (effetto tipicamente declamatorio); se fosse stata una vera declamatrice non avrebbe avuto bisogno di ricorrere a questo stratagemma - che infatti ben poche declamatrici applicano.

Ma credo che tu capisca e condivida tutto questo. Il problema è solo il significato che attribuiamo al termine "declamato", come dimostri in questa frase.

tutta declamata, ma non semplice parola, la voce è impostata sul canto, con tanto di acuti,
[/quote]

Ecco...
Nell'accezione che in questo forum ha attribuito al termine, la melodia Genceriana non può essere "declamata" proprio perché - come tu dici - "non semplice parola, la voce è impostata sul canto".

Ora, tu puoi anche contestare che usiamo il termine "declamato" per definire la tipica tecnica dei wagneriani e straussiani otto-novecenteschi, poiché il termine era stato applicato anche prima, per altri repertori, come una variante "stilistica" del canto vocalistico.
Si intendeva semplicemente, con questo termine, un canto più incisivo e sillabico... ma sempre vocalistico.
Capisco quindi che l'usare proprio quel termine per definire una tecnica "nuova" e "diversa" come quella wagneriana possa generare malintesi.

Occorre solo accordarsi... Ma sul termine, non sui concetti.
Infatti, se anche chiamassimo il declamato con un altro nome, non si modificherebbe il punto.
Esiste pur sempre - a cavallo fra ottocento e novecento - una stirpe di cantanti rivoluzionari che respirano, amplificano e proiettano il suono diversamente da come la tradizione vocalistica imponeva. E' di questi cantanti che parlavamo nel thread su Marie-Magdeleine, artisti che potevano ottenere dalla loro emissione cose che la Gencer non potrà mai ottenere (naturalmente è anche vero il contrario: la Gencer otteneva cose precluse ai Wagneriani).

Noi chiamiamo questi cantanti (e la loro vastissima progenie novecentesca, che giunge fino a noi) "declamatori".
La grandezza espressiva della Gencer si esercitava invece in ambito vocalistico.
La sua grandezza era proprio questa.

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Re: Leyla Gencer

Messaggioda Riccardo » ven 17 set 2010, 0:38

MatMarazzi ha scritto:Esiste pur sempre - a cavallo fra ottocento e novecento - una stirpe di cantanti rivoluzionari che respirano, amplificano e proiettano il suono diversamente da come la tradizione vocalistica imponeva.

Viene da chiedersi perché proprio nel secondo Ottocento si sia originata questa frattura.
Insomma, perché paradossalmente sarebbe passata più acqua sotto i ponti tra Donizetti e Wagner che non tra Vivaldi e Rossini.
Le ragioni sono ovviamente storiche e non investono solo questo aspetto...a ben vedere il teatro e l'arte tutta, insieme alla società, hanno subito cambiamenti mai visti prima.

Sarebbe un bell'argomento da sviscerare!

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Canti Ungheresi di Bartok

Messaggioda MatMarazzi » gio 23 set 2010, 23:46

Non ho parole. Questa Gencer non finisce mai di stupirmi.
Sto ascoltando un concerto alla Scala del 78, ossia dello stesso anno degli imbarazzanti Martyres di Venezia.
Be' questa cantante, che in Donizetti, Verdi, Mozart era a quel punto inascoltabile, imbarazzante, finita, qui in Bartok esibisce un dominio vocale perfetto, una capacità di scavo nel suono degno delle più raffinate liederiste, con fiati che non finiscono più, ricami di rubati e colori, indugi ed emozioni da lasciare trasecolati.
E dire che era la prima volta in vita sua che cantava Bartok, oltre alla prima volta che cantava in ungherese...
E' disumana...
Mi fa pensare che ci siamo lasciati scappare l'occasione, allora, di orientarla su altro repertorio in cui avrebbe avuto ancora tanto dare.

Poi passa ai bis (Sonnambula, Roberto Devereux) e torna subito fuori la cantante "finita".
Note calanti, gravi incerti, timbro logoro e arido, tessiture troppo alte, filati faticosi e comunque piazzati ovunque a suon di scappatoia... persino qualche vecchio colpo di glottide.

Perché non cambiare repertorio quando si è in tempo...

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Re: Canti Ungheresi di Bartok

Messaggioda MatMarazzi » ven 24 set 2010, 18:43

MatMarazzi ha scritto:Sto ascoltando un concerto alla Scala del 78


Ecco, ho inserito nella sezione audio il primo di questo canti popolari ungheresi di Bartok.
Il volume è un po' basso, ma vi consiglio di ascoltarlo...
E poi ditemi voi se questa è la cantante delle ...Gencerate, dei colpi di glottide e dell'effettismo tirannico-donizettiano.
Il suono è talmente epurato, talmente lontano, sapiente, nostalgico e ancestrale... il tutto su un'indeterminatezza temporale che a me ricorda una notte fredda, luminosa di stelle, nella puszta ungherese.
I cervellotici contrasti ritmici e armonici rispetto all'accompagnamento pianistico sono dominati con una tale perfezione che pare che la Gencer non abbia mai cantato altro che Bartok.
Quando poi si arriva alla terza strofa, con quel filo di voce che è un filo dell'anima... con l'ultima nota che si prolunga oltre l'orizzonte.
Va be'... sentitelo voi e giudicate.

http://www.operadisc.com/audio3.php?id=303

e questa sarebbe una cantante finita?
No, non esistono i "cantanti finiti"; esistono solo quelli che, invecchiando, non riescono a trovare la musica giusta nella quale ancora far vibrare gli incanti di quel che resta della loro voce...
Il difficile è appunto trovare la musica giusta.

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Re: Canti Ungheresi di Bartok

Messaggioda Tucidide » ven 24 set 2010, 19:49

MatMarazzi ha scritto:E poi ditemi voi se questa è la cantante delle ...Gencerate, dei colpi di glottide e dell'effettismo tirannico-donizettiano.

Beh, sì... qualche indizio di una voce compromessa si intuisce, qua e là, specialmente nel registro grave e in generale nel timbro.
Però la poesia del fraseggio è talmente "giusta" che sembra quasi che quella voce, quelle crepe, siano necessarie. :)

No, non esistono i "cantanti finiti"; esistono solo quelli che, invecchiando, non riescono a trovare la musica giusta nella quale ancora far vibrare gli incanti di quel che resta della loro voce...
Il difficile è appunto trovare la musica giusta.

Se posso dire una banalità, cito un proverbio greco: l'arte del ceramista è nella ciotola. Dai questo brano ad un cantante nel pieno delle forze, ma mediocre interprete, e ti farà una schifezza tale che non vedrai l'ora che sia finita.

Grazie del contributo: sapevo che questo concerto era in commercio (Naxos, se non erro) ma la data me l'aveva sempre fatto evitare.
Ora me lo procurerò. :D
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Re: Canti Ungheresi di Bartok

Messaggioda MatMarazzi » ven 24 set 2010, 21:18

Tucidide ha scritto:Beh, sì... qualche indizio di una voce compromessa si intuisce, qua e là, specialmente nel registro grave e in generale nel timbro.
Però la poesia del fraseggio è talmente "giusta" che sembra quasi che quella voce, quelle crepe, siano necessarie. :)


:) devi sentire quando attacca Donizetti e Bellini... Se qua ti sembra di scorgere indizi di crepe (e ci sono, è vero) là ti si spalancheranno le voragini.
Io ho sempre pensato che la Gencer post 75 fosse tutta omogeneamente oscena (tranne Chopin e le soirées). E, anche quando imbrocca in concerto qualche bel cantabile o riesce a staccare picchettati sorprendenti, le condizioni vocali appaiono tanto disastrate da farti cascare le braccia.
Qui è davvero un'altra cosa... Sembra un'altra voce... è modernissima, anche se con indizi di crepe. Il timbro così liquido e screziato, confidenziale, sussurrato, ambrato di riflessi lunari non è affatto quello che ci si aspetterebbe da lei in quella fase della carriera... E' il sussurro di una sofisticata signora dell'Anatolia che canta alla notte.
E tutto perché la pagina è nella tessitura giusta per esaltare ciò che è rimasto della sua voce... e l'atmosfera della musica smuove le corde segrete rimaste sepolte sotto strati e strati di gencerate...

Ora me lo procurerò. :D

Non tutto il concerto è a questa altezza. Nemmeno Listz (i soliti sonetti), anche se cantato sufficientemente bene.
Solo i primi quattro brani di Bartok sono una cosa sublime: io, che della Gencer ho veramente tutto, penso di poterli collocare fra le cose più alte che ci sono rimaste di lei...

Che riflettano i disgraziati che all'epoca le facevano cantare Anna Bolena (Roma), Lucrezia Borgia (Firenze), Martyres (Venezia), Macbeth (Treviso) e addirittura Medea in Corinto (Napoli) o Donna Elvira (Torino).
Quante cose belle si potevano ancora ottenere da lei...

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Re: Canti Ungheresi di Bartok

Messaggioda Tucidide » ven 24 set 2010, 23:29

MatMarazzi ha scritto:
Ora me lo procurerò. :D

Non tutto il concerto è a questa altezza. Nemmeno Listz (i soliti sonetti), anche se cantato sufficientemente bene.
Solo i primi quattro brani di Bartok sono una cosa sublime: io, che della Gencer ho veramente tutto, penso di poterli collocare fra le cose più alte che ci sono rimaste di lei...

Se sono tutti così, davvero ne vale la pena! :D
Fra l'altro, correggo: mi pare che non sia Naxos, ma Myto serie economica. Dovrei averlo visto anche di recente in uno scaffale.

Quante cose belle si potevano ancora ottenere da lei...

Domanda a un genceriano di ferro: :D oltre a certo repertorio cameristico, quali ruoli operistici pensi che la Gencer post-1975 potesse cantare?
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Re: Canti Ungheresi di Bartok

Messaggioda MatMarazzi » dom 26 set 2010, 18:02

Tucidide ha scritto:Domanda a un genceriano di ferro: :D oltre a certo repertorio cameristico, quali ruoli operistici pensi che la Gencer post-1975 potesse cantare?


La risposta non è affatto facile.
Per prima cosa occorre osservare qual'è l'estensione e il baricentro della Gencer in questi anni.
Come estensione si avvertono limiti vistosissimi in alto e in basso.
In alto, anche se lei continuava ad avventurarsi sui do e sui re sopracuti (con risultati mostruosamente brutti), già il la naturale è a rischio di stridore e durezza. Idem per le sue famose filature: sul sol, sul la bemolle erano ancora sorvegliatissime (e non è poco), oltre erano sempre una scommessa.
Se poi parliamo di baricentro dobbiamo scendere ancora.
Ad esempio in "Ah non credea mirarti" (brano proposto in questo CD) la linea batte nella zona fra il do e il sol acuti: la Gencer fatica un po' a sostenerla, rischiando ogni tanto di essere calante e comunque comunicando un senso di innaturalezza.
Il diverso effetto che ci fa il brano di Bartok è dovuto anche al fatto che tutto il centro gravitazionale della melodia è più basso di una terza.
Insomma, la zona migliore della voce della Gencer si è spostata in zona mezzosopranile.
Però... attenzione.
Anche nel grave la voce è compromessa. Le note ci sarebbero anche, ma sono - specie nel passaggio dal misto al petto - consunte, afone e la Gencer vi si inciampa spesso. Fino al mi (in registro misto) tutto bene, dopo ci sono le mine.
Così occorre trovare brani di tessitura ed estensione mezzosopranili, ma che non eccedano su fraseggi gravi.

Detto questo, occorre anche rispettare la sua personalità: non parti di grande repertorio, ma sofisticate e intellettuali come era diventata lei in quegli anni.
E che conservino tracce di regalità e primadonnismo.

Ecco cosa propongo: tutti i ruoli Saint-Cristophle di Lully (di cui parlavo in altro thread) si adattano benissimo. E quelli sono già in bel numero di straordinari personaggi (per altro tutti pensati per una primadonna regale, ma ultra-cinquantenne).
Per altro, benché tragicissimi e sontuosi, sono ruoli più di fioretto che di sciabola (e la Gencer, avendo sbraitato troppo in precedenza, aveva perso ogni smalto e ogni squillo anche al centro della voce: il fascino del brano di Bartok dipende anche dal fatto che libera la voce sul fiato, leggerissima, spogliandola di suono: che quel suono non abbia più sostanza manco ce ne accorgiamo).

Ecco un assaggio della scrittura lullyana: Armide (forse un pelino acuto per l'ultima Gencer)



Sempre in ambito secentesco potremmo pensare a tantissimi altri ruoli, da Cavalli a Charpentier...
Ad esempio, per restare a quelli famosi, una Ottavia fatta con rigore filologico (dopo l'affascinante obbrobrio della Scala 1967).
Anche una Dido di Purcell... un po' passatella, ok, ma regale (io non ce la vedo molto, ma sempre meglio della polenta riscaldata della Berganza).

Perfettamente "in tessitura" ci sono alcuni personaggi artistocratici e "cammeo" ottocenteschi.
Una buona idea (visto che la Gencer era madre-lingua polacca) sarebbe stata quella di montare per lei uno dei capolavori di Moniuszko, il "Castello posseduto", in cui lei avrebbe potuto fare la parte della sontuosa zia (grande personaggio di scrittura mezzosopranile).
Inoltre, in omaggio all'antico rapporto con Donizetti, avrebbe potuto darci una bella (tirannica e materna) marchesa di Berckenfield, invece degli orripilanti, imbarazzanti, grotteschi Donizetti degli ultimi anni '70. Entrambi i ruoli avrebbero anche potuto sottolineare la vocazione comica che la Gencer sperimentò negli ultimi anni (Albert Herring e Prova di un'opera seria).

Poi spulciando qua e là di personaggi ne sarebbero venuti fuori vari: ve la immaginate apparizione-cammeo nella Strega di Endor del Saul di Handel?
E, domanda delle domande, sarebbe stata in grado di osare l'Agrippina?
Be' considerando il buon risultato di "Tornami a vagheggiar" (che pure è di scrittura molto più acuta di Agrippina), chissà?

Queste sono le prime opere che mi sono venute in mente.
Ma ragionandoci potrebbe saltare fuori ben altro.

A proposito di Gencer rivelatrice in ambito novecentesco, sentite questi 3 minuti dal Monte Ivnor di Rocca.
Non fatevi spaventare dalle prime bruttissime note "non so... non so", resistete perché subito dopo partono i miracoli che continuano fino alla fine del brano (fra cui uno dei più bei do filati che siano mai stati incisi).

Ahimé, temo che con questa ossessione del Belcanto a tutti i cosi (che prese tutti dopo la Callas), abbiamo impedito alla Gencer di usare alcune delle sue incredibili cartucce.



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Re: Leyla Gencer

Messaggioda pbagnoli » dom 26 set 2010, 21:18

E' una meraviglia questo brano. Tra l'altro, opera a me totalmente sconosciuta: mi (ci) puoi dare qualche informazione?
"Dopo morto, tornerò sulla terra come portiere di bordello e non farò entrare nessuno di voi!"
(Arturo Toscanini, ai musicisti della NBC Orchestra)
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Re: Canti Ungheresi di Bartok

Messaggioda Riccardo » dom 26 set 2010, 21:41

Mat, è semplicemente stratosferica in questo pezzo del Monte Ivnor (vero che era il '57)!

E pure mi è piaciuta un sacco l'idea dell'Armide di Lully.

Grazie!!
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Re: Canti Ungheresi di Bartok

Messaggioda MatMarazzi » dom 26 set 2010, 22:09

Riccardo ha scritto:E pure mi è piaciuta un sacco l'idea dell'Armide di Lully.


E i ruoli Christophle sono anche meglio (nel senso di più adatti a lei) perché più centralizzanti e maturi: Alceste (Alceste), Cybèle (Atys), Stenobea (Bellérophon), Giunone (Isis), Cerere (Proserpine), e, naturalmente Medea (Thésée).
In particolare nel personaggio di Cerere la Gencer sarebbe stata fantasmagorica!

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Re: Leyla Gencer

Messaggioda MatMarazzi » dom 26 set 2010, 22:13

pbagnoli ha scritto:E' una meraviglia questo brano. Tra l'altro, opera a me totalmente sconosciuta: mi (ci) puoi dare qualche informazione?


Non so nulla.
So quello che racconta la Cella sul libro della Gencer.
Che lei si offese mortalmente che l'avessero chiamata per un'opera in cui i Turchi sono i cattivi.
e che pensò di mollare il progetto (che venne contemporaneamente dalla RAI e dal San Carlo di Napoli).

Poi pare che Rocca abbia insisto moltissimo per farle cantare altre opere, ma lei avvertiva una certa insufficienza tecnica a contatto con questo repertorio.
Certo che a sentirla cantare così, verrebbe voglia di proporle la Lulu di Berg!
E' fantastica.

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Re: Leyla Gencer

Messaggioda Triboulet » lun 27 set 2010, 1:21

Ascolti stratosferici!! Artista da brivido, che per quanto io possa conoscere (alla fine meno di quel che merita) riserva sempre immense sorprese.
La Gencer si è spinta davvero molto oltre la Callas, in fatto di ricerca del repertorio e di apertura culturale (anzi penso fosse molto più intellettuale della Callas), e se non fosse rimasta prigioniera pure lei del suo mito e delle sue "regine" (fino al 79 a cantare Borgia, Bolena, Macbeth ecc., davvero poteva evitare) sarebbe davvero potuta andare da Handel a Berg con risultati sconvolgenti! mi meraviglio che ancora rimanga per certi versi una artista nell'ombra. Chissà se qualche grossa casa discografica si decidesse mai a pubblicare una opera omnia (come ha fatto la Emi con la Callas, pubblicando anche svariate memorabili serate dal vivo), sarebbe una colossale rivelazione.
E visto che nel 900 l'abbiamo ascoltata, sentite che emozione questo Tamerlano (e siamo nel 1985...ma è possibile?!?!):

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Re: Leyla Gencer

Messaggioda Tucidide » lun 27 set 2010, 9:33

Non conoscevo nemmeno di nome l'opera di Rocca. Pezzo bellissimo, questo cantato dalla Gencer! :shock:
Ma dove le scovi 'ste meraviglie??? :shock: :shock:
Splendido anche il pezzo handeliano. In un brano centrale, senza sbalzi, la voce sembra sanissima e si stenta a credere che si fosse già nel 1985.
Le proposte "francesi" di Mat sono interessanti, ma in particolare mi piace l'idea di Moniuszko.
Per la Didone di Purcell invece non me la vedo. A proposito della sovrana cartaginese, mi sono sempre chiesto se per Didone sia davvero necessaria la "regalità". E' vero, Didone è regina, ma è anche e soprattutto donna. Il suo ruolo politico, in Virgilio, è fondamentale, ma il dramma da lei vissuto è prettamente umano. Non mi dispiace, in questo ruolo, l'idea di un personaggio marcatamente umano, carico d'una sofferenza umana e terrena. Per questo, la Gencer "trasfigurata", scarnificata nel timbro e nell'emissione, mi suonerebbe troppo astratta, iperuranica, poco umana e polposa.
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Re: Leyla Gencer

Messaggioda MatMarazzi » lun 27 set 2010, 18:30

Sono contento di tutte le considerazioni emerse.
E' la prova che il fisiologico cambiamento di un cantante (anche se gravissimo come nel caso della Gencer matura) non dovrebbe essere necessariamente inteso come la sua fine.
E che ragionandoci si possono trovare (per fortuna, in quattro secoli di repertorio) tante soluzioni indicate al suo tipo di vocalità.


Triboulet ha scritto:penso fosse molto più intellettuale della Callas

Penso che tu abbia ragione. Soprattutto nell'ultima parte della carriera (grazie alle frequentazioni un po' "snob" della sua maturità, dai cenacoli Gavazzeniani, ai "ragazzi", fino all'Intellighentsia milanese di Grassi, Ciani, Strehler...).
E questo elemento andava sfruttato di più e meglio: ad esempio non proponendole Odabella dell'Attila nel 1972.
Grazie infinite, Trib, del brano del Tamerlano.
E' illuminante: ci dimostra come la Gencer fosse in quegli anni predisposta all'eloquenza sontuosa di certo Handel e come sarebbe stato possibile pensare di sfruttare questa disposizione per sottoporle personaggi scelti ad hoc.
Ha ragione Tucidide: se a un cantante "finito" (come lei appariva e in parte era nel 1985) fai eseguire un brano in cui si valorizzi quel che resta della sua voce, senza sollecitare quel che non c'è più, allora non ci apparirà più finito, anzi!

Venendo a Tuc
Per la Didone di Purcell invece non me la vedo. A proposito della sovrana cartaginese, mi sono sempre chiesto se per Didone sia davvero necessaria la "regalità". E' vero, Didone è regina, ma è anche e soprattutto donna. Il suo ruolo politico, in Virgilio, è fondamentale, ma il dramma da lei vissuto è prettamente umano. Non mi dispiace, in questo ruolo, l'idea di un personaggio marcatamente umano, carico d'una sofferenza umana e terrena. Per questo, la Gencer "trasfigurata", scarnificata nel timbro e nell'emissione, mi suonerebbe troppo astratta, iperuranica, poco umana e polposa.


E' curioso come arriviamo alla stessa conclusione partendo da presupposti completamente diversi.
Anche io infatti non approverei la scelta di Didone (l'ho lanciata solo perché come scrittura vocale avrebbe potuto affrontarla degnamente... E perché mi immaginavo i sol di "remember me" soffiati e smorzati come sapeva fare lei).
Secondo me invece Didone è regina, ma non in senso donizettiano e genceriano... Per me è regina in senso antropologico: ossia grande figura materna, non semplice tutrice della Patria, ma creatrice, nel suo caso, edificatrice, "madre di Cartagine" nel vero senso del termine.
La grandezza di Didone sta in questo: nel suo statuto sublime, quasi intangibile, di figura intrinsecamente grande.
Il sentimento o se preferisci il "furor" - qui la penso diversamente da te - che costituisce il suo dramma "umano" non è la sua condizione abituale (e proprio Virgilio sottolinea che è l'intervento divino a precipitarla in questa disperazione). Didone è, teatralmente e narrativamente parlando, più "grande" che "umana". Contro il sentimento umano che le è imposto dal Dio, ella schianta sé stessa e la sua grandezza.
Ora... sono d'accordo con te sul fatto che la Gencer della maturità fosse a disagio nell'esprimere il sentimento, la passione devastante...
Ma anche la grandezza (quella vera, quella interiore) non è mai stata il suo forte.
Erano le reazioni della Gencer a essere grandiose, non i suoi personaggi nell'intimo.

Siccome fatico a esprimere il concetto, vorrei chiedere aiuto a me stesso :) citando qualcosa che scrissi un po' di tempo fa, sempre a proposito della Gencer.

Era davvero "forte" la Gencer?
Ossia riusciva davvero convincente in personaggi intimamente grandiosi e distruttivi, esplosivi come vulcani?
Io non lo credo.

Sì, è vero: sapeva comunicare un senso di forza spettacolare nelle reazioni, quando si issava sui troni e da lì lanciava invettive o quando, avvolta nei suoi pepli, malediceva consorti, eserciti o popoli.
Ma non era una forza interiore del personaggio, reale, come la musica che sgorga da Elektra: quella della Gencer era una forza "sociale", di apparenze, di doppiezze, di fierezza (appunto) di reazioni.
E questo vale (secondo me) anche per Lady Macbeth, che infatti è strepitosa proprio per l'incoerenza, il corto circuito fra la spietatezza (esibita e autoimpostasi) e la progressiva caduta nell'ombra, nel fallimento di quel sonnambulismo dal tono smarrito, dalle rabbrividenti dolcezze.

Secondo me, nessuna come la Gencer aveva tanto bisogno di piedistalli autorevoli per fingere i suoi sdegni e per maneggiare le sue sfumatissime contraddizioni. Per questo ritengo che i suoi maggiori personaggi fossero più autorevoli che forti, più contraddittori che tragici, magari multistratificati, alteri e intellettuali, dalle complessità non trasparenti e non confortanti e talora nemmeno confessabili.


In sostanza non riesco a vederla intimamente grande come vorrei che fosse Didone.

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