Voci: classificazioni e scelte di repertorio.

problemi estetici, storici, tecnici sull'opera

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Messaggioda MatMarazzi » sab 23 giu 2007, 22:26

Riccardo ha scritto:Se non sono riuscito questa volta...pazienza, ma se hai vogli scrivi ancora due righe per farmelo sapere! È stato comunque utile. :wink:


Gli argomenti in questione sono effettivamente interessanti ed è appassionante discuterne.
Oggi non riesco a risponderti, ma prometto che cercherò di farlo nei prossimi giorni.
Per farlo, tuttavia, dovrò cercare di sezionare le questioni emerse, perché i nostri ultimi post, Ric, si sono allargati a dismisura ben oltre i confini del topic, assumendo una forma tentacolare, ostica e intimidatoria alla lettura. Dobbiamo cercare in futuro di isolare i vari aspetti del problema e di trattarli separatamente.
Troppa carne al fuoco fa il pessimo arrosto; anche se è carne di buon taglio.
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La "vera voce" di Butterfly

Messaggioda dottorcajus » gio 19 ago 2010, 17:27

Tratto dal thread su Mirella Freni.


Vi sottopongo una breve riflessione sulla cronologia della Madama Butterfly e sul carattere vocale delle sue interpreti. Potrete consultare la cronologia a questo link:
http://www.lavoceantica.it/Cronologia/M%20-%20N%20-%20O/Madama%20Butterfly.htm

Negli anni 1904/05 il ruolo appartenne a tre soprani, Storchio, Krusceninski e Pandolfini.

La Storchio tenne in repertorio il ruolo almeno fino al 1920 con un ultima esibizione al Reale di Madrid ed in totale la cantò in 23 produzioni diverse.
La Krusceninski fino al 1916 (Lisbona/Coliseo Recrejos) e in 13 produzioni.
La Pandolfini la cantò solamente in due occasioni, nel 1904 allo Zizinia di Alessandria d’Egitto e l’anno successivo al Dal Verme di Milano, nella stagione principale.
Può essere interessante un confronto fra i titoli interpretati dalle tre artiste nel bienno 1904/1905 che le vide principali se non uniche titolari del ruolo.
STORCHIO: Faust, Linda, Boheme, Manon, Don P, Wally, Nozze di F. (Susanna), Romeo et J.
KRUSCENINSKI: Aida, Gioconda, Lohengrin, Adriana, Ballo in M., Forza del D,. Cassandra, Cecilia di Montefiore, Walkiria, Wally, Manuel Menendez di Filiasi,
PANDOLFINI: Tosca, Adriana, Falstaff, Wally, Dannazione, Franco Cacciatore, Mignon, Aida

Tre artiste praticamente coeve che iniziano la loro carriera negli ultimi dieci anni del 1800. Questa differenza di repertorio mi fa sorgere il dubbio che allora si ponesse particolare attenzione alle caratteristiche ed alle attitudini interpretative del cantante (ovviamente secondo i canoni dell’epoca) più che ad una sostanziale affinità delle voci. Così fosse il processo attualmente in atto nella lirica non sarebbe altro che un evoluzione legata anche alla tecnologica e tesa ad assecondare il gusto moderno.

Nel 1906 vennero le prime interpreti moderne: Melis e Farneti, due artiste che si iniziavano a distaccare dalla triade ma ancora trovava spazio una Piccoletti, in arte già da 14 anni, che si riallacciava ai canoni del passato.

Nella provincia italiana l’opera fu fatta conoscere da Olga Del Signore e Camilla Iksò. Se la prima ebbe un repertorio misto la seconda preferì i ruoli del novecento riuscendo anche in Thais e Werther.

Il titolo restò nel repertorio di artiste sempre più ancorate al gusto del novecento, al genere di “cantante/attrice”.


La prima cantante che si può avvicinare al soprano leggero è Alice Nielsen, statunitense di formazione e debutto italiano. Il suo repertorio aveva Don Pasquale, Faust, Lucia, Rigoletto.
Debutta il ruolo nel 1910 a Boston.
L’anno successivo è la volta della fiorentina Dora Domar che porta Cio-Cio-San nell’Est europeo.
Nel ruolo ebbero un certo successo anche altre artiste provenienti dall’Operetta come Florica Cristoforeanu o Maria Lais.

Sono anni in cui si confrontano in palcoscenico le nuove artiste con le cantanti di debutto ottocentesco. Ecco che, mentre emergono la Caracciolo e la Baldassarre Tedeschi, si può ascoltare Carmen Bonaplata Bau, artista spagnola dalla quarantennale carriera. Sono anni in cui il ruolo è affrontato da voci che oggi classificherebbero liriche ed in alcuni casi drammatiche.

L’America nel 1915 inaugura la moda delle Cio-Cio-San asiatiche con una lunga tournee dove il ruolo è interpretato dal soprano giapponese Tamaki Miura. Dopo di lei ci saranno altre Cio-Cio-San esotiche fra le quali Teiko Kiwa, Tapales Isang e Nobuko Haro che lasciò traccia della sua voce in un disco Fonotipia. Buon successo ottenne anche la filippina Jovita Fuentes, voce rintracciabile su dischi Parlophon.


Nel 1918 arriva il debutto nel ruolo di Toti Dal Monte, ma questo non cambia l’indirizzo delle scritture ed il ruolo resta patrimonio d’altro tipo di vocalità.
Sulla scia della Toti si possono inserire la russa Olga Simzis, Alice Zeppilli (aveva in repertorio Margherita degli Ugonotti, Ofelia ed altri ruoli leggeri), Rina de Ferrari, Thea Carugati. Poi arrivò la Pagliughi che probabilmente interpretò in teatro dopo il 1940.

La cronologia è ricca di 1518 produzioni, ma ovviamente, è lontana dall’essere completa. Ciò nonostante si evince che la presenza di vocalità simili alla Dal Monte fu episodica e non riuscì a creare una tendenza interpretativa. Il ruolo, perlomeno dal 1906 in poi, fu prevalentemente assegnato a soprani lirici, spesso con evidenti tendenze attoriali.
Roberto
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Re: Mirella Freni

Messaggioda MatMarazzi » gio 19 ago 2010, 18:55

Strepitosamente interessante!!!!
Grazie Roberto!

Io poi ho un debole (come sai) per i primi interpreti - è una delle mie ossessioni! :)
E dalle tre leggende che hai nominato per prime (Stochio, Pandolfini, Kruszelnicka) sia pure così diverse, emerge una costante: centri ampi o comunque penetranti. Soprattutto mi intimorisce il caso della bellissima e seducente Kruszelnicka voluta dallo stesso Puccini, trionfatrice della versione definitiva dell'opera, pur essendo una famosa Bruennhilde, Elektra, Salome, Africaine nonché creatrice della Fedra di Pizzetti.

Io sono anni che vado favoleggiando per Cio Cio San di voci più "piccole" e virginali per la parte, in grado di restituire freschezza giovanile al ruolo e contemporaneamente affrancandolo dalla sontuosità e maturità sensuale dei tradizionali soprani lirici e puccininani.
E tuttavia comincio a pensare che abbia ragione chi ipotizza che la variante "leggera" non sia la scelta giusta (fermo restando che l'ipotesi Dessay di Triboulet continua a sembrarmi fantastica e smanierei per sentirla).
La tua lista di prime interpreti di voce importante, più centrale che acuta, mi rafforza in questo sospetto.

In pratica la Geisha sarebbe una sintesi strana e forse impossibile fra vocalità drammatica e purezza adolescente.
Ma come è possibile mettere insieme in un'unica cantante i due aspetti? Dove trovare una voce centrale e drammatica in una personalità "bambina", vulnerabile e acerba?
E' possibile rovesciare le vecchie equazioni voce drammatica = maestosità e maturità; voce chiara e leggera = gioventù e sentimento?
Non saprei a chi pensare...
Mi viene in mente solo la giovane Silja del Vascello Fantasma, bionda e sottile, che a vent'anni appena compiuti aveva già in repertorio Elektra e Bruennhilde.
Oppure la piccola, bionda e bellissima Herlitzius di quindici anni fa, ma con una voce dagli slanci possenti.

Non mi vengono in mente altre...

Salutoni e ancora grazie!
Mat
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Re: Mirella Freni

Messaggioda Triboulet » gio 19 ago 2010, 19:34

Tutto questo perchè mi sono impropriamente lasciato scappare "sopranino" (che vuol dire soprano ultraleggero) al posto di "soprano lirico-leggero"... ammazza... :D la prossima volta dirò "soprano non drammatico" : WallBash :
Tra l'altro neanche la Dessay da me proposta è più un soprano leggero, ormai è un lirico pure lei quindi...
Ma va bene così, se la cosa ha dato ulteriori spunti...

Tra l'altro, aldilà della sequela pur interessante di nomi, colpisce come la Storchio (correggetemi se sbaglio, la prima interprete del ruolo), fosse lirico sì ma abbastanza leggerina, non certo spinta sul modello Tebaldi-Callas-Stella-Jurinac-Price-Olivero-Kabaivanska ecc:

STORCHIO: Faust, Linda, Boheme, Manon, Don P, Wally, Nozze di F. (Susanna), Romeo et J.

Non avevo mai badato a questo. Quindi filologicamente sarebbe il filone più light quello più corretto (quello lirico, diciamolo bene :D), questo se vogliamo rifarci al primo interprete. Anche se sembra che già all'epoca il ruolo passò in mano ai drammatici.
Mi interesserebbe anche capire se ci sono state delle "tendenze", cioè periodi in cui ha prevalso il lirico più leggero (modello Storchio) e periodi in cui ha prevalso il lirico drammatico (modello Krusceninski), oppure se le due vocalità hanno sempre convissuto.
Perchè io ho la sensazione che dal dopo Tebaldi-Callas, fatta eccezione della Scotto anni '60, quindi ancora leggera, (e se vogliamo della Freni con Karajan, che comunque arriva dopo e solo in studio), sia stato il modello spinto a prevalere, mentre prima era il viceversa, almeno tra le due guerre.
Anche oggi mi vengono in mente voci di un certo peso (Gheorghiu, Cedolins, Dessì) almeno tra i documenti registrati... quindi una Dessay sarebbe una nuova inversione di tendenza (che poi è quello che intendevo dire).

Un'altra cosa mi colpisce:

dottorcajus ha scritto:Tre artiste praticamente coeve che iniziano la loro carriera negli ultimi dieci anni del 1800. Questa differenza di repertorio mi fa sorgere il dubbio che allora si ponesse particolare attenzione alle caratteristiche ed alle attitudini interpretative del cantante (ovviamente secondo i canoni dell’epoca) più che ad una sostanziale affinità delle voci. Così fosse il processo attualmente in atto nella lirica non sarebbe altro che un evoluzione legata anche alla tecnologica e tesa ad assecondare il gusto moderno.


E' interessante questa considerazione, anche se non mi è chiara la parte dell'evoluzione tesa ad assecondare il gusto moderno. Nel senso che stiamo oggi recuperando quello spirito? e perchè parli di tecnologia... perchè aiuta i cantanti a superare limiti tecnici?
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Re: Mirella Freni

Messaggioda dottorcajus » gio 19 ago 2010, 19:47

Grazie.
In realtà ho parlato, omettendo molti nomi (Dalla Rizza, Pampanini), anche di alcune artiste che ho potuto valutare solo dalle loro cronologie non avendo lasciato alcun documento sonoro della loro voce.
Riferendomi alle mie voci sconosciute, a quelle che conosco, posso dire che il parametro di scelta non era probabilmente la voce ma il temperamento interpretativo. Se agli albori i centri robusti erano naturali, successivamente, mi sembra che i centri vengano allargati per un puro effetto interpretativo, per accentare al massimo un passaggio drammatico.
Ho sempre cercato di immaginare, attraverso la lettura di tante recensioni, i criteri di valutazione delle voci formatesi culturalmente e musicalmente nell'ottocento ed attive fino agli anni venti ma ancora non sono arrivato ad una sintesi soddisfacente. Diversamente credo che per il periodo successivo il valore interpretativo dell'artista fosse l'elemento determinante unito ad una certa coerenza con la classificazione delle voci che stava consolidandosi. Non credo però che le voci dei primi venti anni del secolo, appartenenti alla generazione artistica successiva alla Storchio e colleghe, fossero molto diverse. Non saprei dire cosa potessero restituire al personaggio in termini di maturità o giovinezza anche perchè ritengo che dovremmo prima calarci nei vari momenti storici che attraversano l'interpretazione di Butterfly e che inevitabilmente influenzarono le varie interpretazioni del personaggio.
Una Dessay/Butterfly sicuramente potrebbe essere un valido tentativo vista la qualità dell'interprete ma non saprei dire se l'esito potrebbe essere convincente.
In ogni caso non lo metterei mai nel filone Dal Monte poichè il confronto fra le voci di epoche diverse è assai complicato. Fermo restando che non ci è dato conoscere quale fosse il livello di penetrazione di una voce in teatro, posso ritenere che una voce piccola odierna (Florez, Bros etc.) niente ha in comune con una voce piccola del passato.
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Re: Mirella Freni

Messaggioda dottorcajus » gio 19 ago 2010, 20:06

Triboulet ha scritto:Tra l'altro, aldilà della sequela pur interessante di nomi, colpisce come la Storchio (correggetemi se sbaglio, la prima interprete del ruolo), fosse lirico sì ma abbastanza leggerina, non certo spinta sul modello Tebaldi-Callas-Stella-Jurinac-Price-Olivero-Kabaivanska ecc:

STORCHIO: Faust, Linda, Boheme, Manon, Don P, Wally, Nozze di F. (Susanna), Romeo et J.

Non avevo mai badato a questo. Quindi filologicamente sarebbe il filone più light quello più corretto (quello lirico, diciamolo bene :D), questo se vogliamo rifarci al primo interprete. Anche se sembra che già all'epoca il ruolo passò in mano ai drammatici.
Mi interesserebbe anche capire se ci sono state delle "tendenze", cioè periodi in cui ha prevalso il lirico più leggero (modello Storchio) e periodi in cui ha prevalso il lirico drammatico (modello Krusceninski), oppure se le due vocalità hanno sempre convissuto.
Perchè io ho la sensazione che dal dopo Tebaldi-Callas, fatta eccezione della Scotto anni '60, quindi ancora leggera, (e se vogliamo della Freni con Karajan, che comunque arriva dopo e solo in studio), sia stato il modello spinto a prevalere, mentre prima era il viceversa, almeno tra le due guerre.
Anche oggi mi vengono in mente voci di un certo peso (Gheorghiu, Cedolins, Dessì) almeno tra i documenti registrati... quindi una Dessay sarebbe una nuova inversione di tendenza (che poi è quello che intendevo dire).

Un'altra cosa mi colpisce:

dottorcajus ha scritto:Tre artiste praticamente coeve che iniziano la loro carriera negli ultimi dieci anni del 1800. Questa differenza di repertorio mi fa sorgere il dubbio che allora si ponesse particolare attenzione alle caratteristiche ed alle attitudini interpretative del cantante (ovviamente secondo i canoni dell’epoca) più che ad una sostanziale affinità delle voci. Così fosse il processo attualmente in atto nella lirica non sarebbe altro che un evoluzione legata anche alla tecnologica e tesa ad assecondare il gusto moderno.


E' interessante questa considerazione, anche se non mi è chiara la parte dell'evoluzione tesa ad assecondare il gusto moderno. Nel senso che stiamo oggi recuperando quello spirito? e perchè parli di tecnologia... perchè aiuta i cantanti a superare limiti tecnici?


Non si debbono fare paralleli fra oggi ed il passato perchè i criteri di valutazione delle voci sono molto cambiati. Oggi è ancora in essere una classificazione di voci che si basa su determinati paramentri e che entrò in vigore intorno al 1915, quando la generazione di artisti formatasi in epoca post/1890 tese a sostituire completamente la precedente. Ecco perchè il repertorio di una Storchio non è indicativo se valutato con i criteri moderni. La triade delle prime interpreti era di formazione pre-1890, avendo tutte debuttato nell'ultima decade del secolo, e nel primissimo novecento, anche se sempre meno, era consuetudine avere un repertorio estremamente allargato ed incompatibile con la classificazione attuale delle voci.
L'elenco tratto dalla cronologia dimostra che l'invasione delle voci leggere nel ruolo fu veramente marginale e che il ruolo fu posseduto da voci tendenzialmente liriche e certamente non drammatiche. Probabilmente ai tempi della Storchio la connotazione "drammatico" veniva associata al ruolo e non al tipo di voce. Il dopoguerra ha rappresentato un consolidarsi della classificazione vocale ed ha ancorato ancor di più i cantanti al repertorio, ma per discutere di questo dovremmo allargare il discorso allontanandoci dal tema originale.

Pur avendo letto tante recensioni dell'epoca ancora non ho trovato una sintesi che mi permetta di capire come venissero veramente valutate le voci del periodo pre/1890. Penso però che vi fosse una certa attenzione alla capacità di rendere il personaggio da un punto di vista interpretativo ed in questo trovo una somiglianza con quanto sta avvenendo oggi in una parte del teatro lirico. Il riferimento tecnologico non è rivolto al microfono in teatro nè al nefasto editing discografico che, come il reality televisivo, spesso spaccia per vero quello che non è. Mi riferisco al fatto che la tecnologia, modificando il rapporto fra ascoltatore ed esecutore, ha spinto il teatro lirico in una determinata direzione facendo emergere sempre più il fattore visivo anche se, in qualche caso, questo ha nuociuto al fattore uditivo e modificando drasticamente i parametri con cui si tende a valutare le voci.
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Re: Mirella Freni

Messaggioda Triboulet » gio 19 ago 2010, 21:27

dottorcajus ha scritto:Una Dessay/Butterfly sicuramente potrebbe essere un valido tentativo vista la qualità dell'interprete ma non saprei dire se l'esito potrebbe essere convincente.In ogni caso non lo metterei mai nel filone Dal Monte poichè il confronto fra le voci di epoche diverse è assai complicato.


Ma neanche io, credo di aver chiarito che quando ho detto "sopranino" (in maniera impropria) mi riferivo semplicemente a qualcosa di diverso dal lirico spinto.
Neanche quando era soprano di coloratura puro la Dessay poteva essere paragonata alla Dal Monte, figuriamoci ora.

dottorcajus ha scritto:Non si debbono fare paralleli fra oggi ed il passato perchè i criteri di valutazione delle voci sono molto cambiati. Oggi è ancora in essere una classificazione di voci che si basa su determinati paramentri e che entrò in vigore intorno al 1915, quando la generazione di artisti formatasi in epoca post/1890 tese a sostituire completamente la precedente. Ecco perchè il repertorio di una Storchio non è indicativo se valutato con i criteri moderni.


Questo è interessantissimo, ma non mi è molto chiaro. Cioè vuoi dire che la Storchio, che in pratica cantava tutti i ruoli che daremmo oggi ad un lirico puro tipo Freni o anche più leggera (solo Wally mi pare un po' più spintarella), in realtà non è assimilabile al lirico di oggi. E come allora? più leggera, più pesante? c'erano differenze di emissione? Il repertorio però è terribilmente coerente anche oggi, come si spiega?

dottorcajus ha scritto:L'elenco tratto dalla cronologia dimostra che l'invasione delle voci leggere nel ruolo fu veramente marginale e che il ruolo fu posseduto da voci tendenzialmente liriche e certamente non drammatiche.


Non so come dirlo più, ma penso che nessuno (io per primo) abbia creduto che la Dal Monte in Butterfly avesse fatto scuola : Chessygrin :
Tutto sembra essere nato da un equivoco dovuto ad una mia semplificazione linguistica.
La mia domanda adesso era se dagli anni 30/40 ad oggi ci sono state delle tendenze precise nella storia che hanno privilegiato ora il modello lirico puro (giovane Steber, Albanese (che a me non pare così spinta), Moffo, Scotto, De Los Angeles ecc.) oppure soprani lirico-spinti tendenti al drammatico (le già citate Tebaldi-Callas-Stella-Jurinac-Price-Olivero-Kabaivanska, tutta gente che in repertorio aveva anche ruoli più heavy).
Si è capito che l'ambivalenza del ruolo fa sì che si vada nell'una o nell'altra direzione, volevo capire se c'era una tendenza storica o queste vocalità hanno sempre convissuto.
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Re: Mirella Freni

Messaggioda dottorcajus » ven 20 ago 2010, 0:12

Caro Triboulet nessuna incomprensione fra noi. L'idea di offrire un elenco di artiste impegnate in Butterfly nasce dal mio archivio cronologico e dalla passione per questo tipo di ricerca.
Riconosco che non è facile capire il mio discorso sulla Storchio ma questo deriva da un modo completamente diverso di catalogare il cantante lirico e dal fatto che ai tempi della Storchio la definizione di "lirico", "lirico-spinto" etc. era lungi da venire. Non è importante che la cantante avesse un repertorio assimilabile a quello dell'odierno soprano lirico poichè le ragioni di tali scelte si basavano su criteri diversi dal tipo di voce.

Ad un primo sguardo mi sembra corretto dire che il ruolo di Cio-Cio-San, almeno fino al 1940, è stato nel repertorio del soprano "lirico", un soprano che spesso cantava anche ruoli oggi definiti più pesanti, all'epoca interpretati in virtù di qualità espressive o temperamentali che rispondevano alle richieste del pubblico dell'epoca. Ancora prima della guerra non era il tipo di voce l'unico elemento che determinava la possibilità di cantare un determinato ruolo.
In ogni caso preparerò delle piccole cronologie di artiste sufficientemente famose che tennero stabilmente il ruolo in repertorio e lo sottoporrò alle vostre riflessioni.

Un ultima precisazione: quando scrivo di voce "piccola" non mi riferisco alla Dessay, cantante che non posso giudicare non avendola mai vista a teatro, ma alla tendenza odierna di utilizzare, in determinato repertorio, delle voci piccole che in passato, salvo rari casi (in ogni caso voci di diverso spessore), non riuscivano ad andare oltre il buon comprimariato se non erano confinate fra le utilites.
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Re: Mirella Freni

Messaggioda Triboulet » ven 20 ago 2010, 0:25

Insomma se ho capito il lirico di ieri riusciva a fare di più (semplifico) rispetto al suo equivalente odierno. Un po' come parlare dei cantanti della prima metà dell'ottocento, c'era una diversa versatilità diciamo così, e quindi meno problemi di associazione tra registro e ruolo, piuttosto si andava per temperamenti (tipo Pasta conturnata VS Pasta elegiaca).

dottorcajus ha scritto:In ogni caso preparerò delle piccole cronologie di artiste sufficientemente famose che tennero stabilmente il ruolo in repertorio e lo sottoporrò alle vostre riflessioni.


Sarà estremamente interessante! grazie mille Roberto
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Re: Mirella Freni

Messaggioda MatMarazzi » sab 21 ago 2010, 12:14

Triboulet ha scritto:Insomma se ho capito il lirico di ieri riusciva a fare di più (semplifico) rispetto al suo equivalente odierno. Un po' come parlare dei cantanti della prima metà dell'ottocento, c'era una diversa versatilità diciamo così, e quindi meno problemi di associazione tra registro e ruolo, piuttosto si andava per temperamenti (tipo Pasta conturnata VS Pasta elegiaca).


Caro Trib,
Quello che Dr. Cajus sta dicendo, e che è stato oggetto di appassionanti dibattiti in passato, è che non esisteva prima della prima guerra mondiale (se non a un livello molto embrionale) un rapporto stringente fra il nesso colore-volume di una voce e il repertorio che gli sarebbe stato affidato.
Si cercavano affinità fra la personalità di un artista e un certo tipo di personaggio, anche a costo di pesanti aggiustamenti.
Ecco perché, come cercavo di dirti tempo fa, nell'800 non esisteva contrapposizione "vocale" fra Pasta coturnata e Pasta elegiaca: la voce, il temperamento, la visione interpretativa della Pasta era la stessa nell'uno e nell'altro personaggio.
D'altronde anche nei decenni successivi era più facile sentire la Grisi (voce sicuramente più acuta e piccola della Pasta) in Norma che in Sonnambula.
In compenso come Amina si poteva ascoltare persino ...Marietta Alboni, il più impressionante contralto del secondo ottocento.
Il fatto stesso che ancora ai primi del Novecento un tenore dalla vocalità immensa, scurissima e baritonale come Caruso trovasse in Elisir d'Amore uno dei suoi ruoli "tipo" dimostra che le voci venivano distinte solo in base al registro (ossia l'altezza della voce... e poi, e poi...) ma non sulla base del colore-volume.

Quest'ultimo criterio di classificazione si impose soprattutto fra le due guerre mondiali un po' per la magniloquenza imperante (che premiava i suoni robusti e sensuali), un po' per le mutate condizioni di fruizione (la maggiore ampiezza dei teatri, l'allargamento delle orchestre, la diffusione dello stile "declamatori" che premiavano il suono in sé rispetto al fraseggio). Tutto questo portò i cantanti e il pubblico a concepire nuove ripartizioni vocali - fondate sul volume-colore, talvolta a danno dello stesso registro (vedi i mezzosoprani tedeschi in Lady Macbeth o i tenori drammatici in Otello).
la conseguenza grave di queste nuove distinzioni fra le voci fu la sua applicazione indiscriminata a tutto il repertorio precedente, ottocentesco, sulla base di assurde equivalenze fra volume e "cattiveria" o "autorità" (o fra leggerezza e "dolcezza" o "vulnerabilità"), provocando clamorosi fraintendimenti anche delle caratteristiche psicologiche dei personaggi (Edgardo che divenne palestra di raffinatezza e delicatezze; Don Giovanni che fu sprofondato fra bassi sempre più neri e cattivi).
Il fatto stesso di distinguere ciò che non andrebbe distinto (ad esempio la Pasta coturnata da quella elegiaca, ovviamente affidando la prima a voci di volume ampio e colore scuro e la seconda a voci di caratteristiche opposte) è una conseguenza abbastanza nefasta di questa mentalità.
La rivoluzione callassiana e in generale le preoccupazioni stilistiche indotte dal recupero filologico ci hanno insegnato che per il repertorio scritto precedentemente la prima guerra mondiale occorre fondarsi su distinzioni più sfumate, molto meno sottoposte al nesso "volume-colore" di marca novecentesca.

Oggi ci affascina recuperare le caratteristiche fisiche "vere" dei primi interpreti (anche quel volume-colore che pure, nel 700 e 800 non era così importante), perché oggi ci teniamo a ricostituire il più possibile gli equilibri che il compositore aveva in mente quando componeva: difficilmente tollereremmo alterazioni di tonalità clamorose o sostituzioni di arie, come nell'800 era prassi.
E quindi per capire le caratteristiche vocali e poetiche del creatore di un ruolo non ci possiamo fondare sul suo repertorio, perché esso - a differenza di oggi - veniva "acconciato" alle sue caratteristiche!

Così per ritrovare il tipo di voce a cui Puccini pensava mentre scriveva la sua Butterfly può risultare fuorviante fondarsi sul repertorio delle creatrici.
Se dovessimo partire da lui ci verrebbe spontaneo collocare la Storchio tra i soprani leggeri, la Pandolfini fra i lirici (di cui in effetti fu la madre), la Kruszelnicka fra i drammatici.
Ma, come dice il dr.Cajus, questo ci poterebbe a fraintendere le caratteristiche della scrittura (che in effetti è centralizzante e con momenti pesantissimi al secondo e al terzo atto).
Un aiuto maggiore può arrivarci dalle registrazioni che, fortunatamente, ci sono rimaste di tutte e tre le artiste (quelle della Pandolfini poi sono incredibilmente rare e preziose: miraggio di tutti i collezionisti).

la Storchio ad esempio aveva una voce potente e penetrante, molto centralizzante. Sul volume non è forse opportuno esprimersi, ma sull'estensione sì: la Storchio era povera di sopracuti, il massimo della brillantezza lo conseguiva nel centro e nei primi acuti (fino al do e poco oltre).
Lì poteva tirare fuori uno squillo talmente perentorio che, solo trent'anni dopo, l'avrebbero sicuramente orientata su un repertorio ben diverso.
Se la ascolti in "Ah non giunge" resterai colpito proprio dalla pienezza del timbro, facilità nei gravi e splendore di primi acuti; ti colpirà inoltre l'assenza dei sopracuti tradizione e lo squillo. Che cantasse Wally (ruolo in effetti pesantissimo) o che abbia creato nientemeno che Zazà di Leoncavallo non stupirà nessuno; nè stupirà che a lei Puccini avesse affidato la prima versione di Butterfly.



La Kruszelnicka è una delle cantanti più impressionanti della sua generazione. Forte del suo fascino monumentale, della sua intensità attorale e prodigiosa bellezza, divenne un pilastro della Scala dove creò alcuni fra i più giganteschi personaggi del repertorio.
Che la sua voce fosse grande credo sia fuori discussione: non tanto grande quanto oggi ci aspetteremmo da una Elektra o Bruennhilde, ma certamente più grande di quella della Storchio.
Eppure come "baricentro" la sua voce non doveva essere poi così diversa: le zone migliori della loro voce dovevano gravitare pressapoco allo stesso livello. come la Storchio la Kruszelnicka aveva acuti facilissimi fino al do, squillo e pienezza nelle zone centrali.
E' molto significativo, per l'indagine che stiamo facendo (ossia sulla vocalità che Puccini aveva in mente), che alla Kruszelnicka Puccini abbia affidato la rinascita dell'Opera dopo il tonfo clamoroso alla Scala (con la Storchio) e la cantante ucraina vi abbia colto un successo semplicemente grandioso.

http://www.youtube.com/watch?v=2aSl4IijV08

La Pandolfini è considerata dagli storici il primo soprano "lirico" italiano, laddove con questo termine non si puntava ancora il dito su un certo tipo di vocalità, quanto su un certo repertorio, uniformemente costruito su personaggi del naturalismo francese e del verismo meno bruciante (significativamente fu la creatrice di Adriana Lecouvreur). La personalità sofisticata, il canto morbido e la linea pura - alla francese appunto - rappresentò un modello per una lunghissima progenie di cantanti da lei direttamente discese.
Ma anche la sua voce doveva essere particolarmente acuta, anzi doveva trovare la sua maggiore brillantezza nel centro (con disinvolte discese nel registro di petto, seppure sempre molto sorvegliato).
Qui puoi la puoi ascoltare in Adriana e Susanna.



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Re: Mirella Freni

Messaggioda Triboulet » sab 21 ago 2010, 15:03

MatMarazzi ha scritto:Quello che Dr. Cajus sta dicendo, e che è stato oggetto di appassionanti dibattiti in passato, è che non esisteva prima della prima guerra mondiale (se non a un livello molto embrionale) un rapporto stringente fra il nesso colore-volume di una voce e il repertorio che gli sarebbe stato affidato.Si cercavano affinità fra la personalità di un artista e un certo tipo di personaggio, anche a costo di pesanti aggiustamenti.


Sì questo mi era abbastanza chiaro... ma:

MatMarazzi ha scritto:nell'800 non esisteva contrapposizione "vocale" fra Pasta coturnata e Pasta elegiaca: la voce, il temperamento, la visione interpretativa della Pasta era la stessa nell'uno e nell'altro personaggio.


è a questo che faccio difficoltà a credere.
Cioè, che Amina e Norma siano due facce della stessa medaglia (e che quindi non vadano alla Dal Monte e alla Cigna come si faceva) è stato ampiamente dimostrato, così come è stato dimostrato che tanto la Dessay (lirico-leggero) quanto la Bartoli (contralto) possono fare Sonnambula...
ma che temperamento e visione intepretativa fossero gli stessi io francamente ci credo poco, o meglio se fosse così sarebbe una delusione.
Mi vuoi dire che la Pasta cantava Sonnambula esattamente come cantava Norma? Peggio della Sutherland mi vien da dire : Chessygrin :
La Pasta io l'ho sempre immaginata come la Callas, insomma una che sa quel che sta cantando, ti fa capire se è una contadinella delle alpi svizzere mollata dal fidanzato, o una sacerdotessa incazzata a cui hanno messo le corna : Chessygrin : Solo poi possiamo anche tirar fuori tutti i discorsi sul background filosofico-culturale di Romani e quel che c'è di comune tra i due ruoli... La Callas sguazza nella stessa dimensione, ma temperamento e interpretazione cambiano eccome. E se la Pasta era così leggendaria mi auguro sapesse essere al pari versatile. Comunque torniamo al tema...

La mia domanda ora è: se il discorso è che nell'800 c'era una associazione registro-baricentro/ruolo e non volume-colore/ruolo come avverrà dopo, come mai Storchio e Kruszelnicka avevano un repertorio con così pochi punti in comune? evidentemente c'era anche (se non in maniera così netta) una associazione con volume e colore, o se neghiamo anche questa allora con la sensibilità dei personaggi (ruoli elegiaci. ruoli drammatici ecc.)... perchè altrimenti non mi spiego questo:

STORCHIO: Faust, Linda, Boheme, Manon, Don P, Wally, Nozze di F. (Susanna), Romeo et J.
KRUSCENINSKI: Aida, Gioconda, Lohengrin, Adriana, Ballo in M., Forza del D,. Cassandra, Cecilia di Montefiore, Walkiria, Wally, Manuel Menendez di Filiasi

A parte Butterfly e Wally mi pare che siano due repertori totalmente diversi. Se è vero che le due cantanti differivano solo nei parametri volume-colore e non in quelli registro-baricentro (tu dici "Eppure come baricentro la sua voce non doveva essere poi così diversa: le zone migliori della loro voce dovevano gravitare pressapoco allo stesso livello. come la Storchio la Kruszelnicka aveva acuti facilissimi fino al do, squillo e pienezza nelle zone centrali.") e l'associazione era proprio registro-baricentro/ruolo (quando dici, se ho capito bene: "Il fatto stesso che ancora ai primi del Novecento un tenore dalla vocalità immensa, scurissima e baritonale come Caruso trovasse in Elisir d'Amore uno dei suoi ruoli "tipo" dimostra che le voci venivano distinte solo in base al registro ma non sulla base del colore-volume."), io mi sarei aspettato molti più ruoli in comune!

Ecco perchè, scartando entrambe le associazioni (volume-colore/ruolo e registro-baricentro/ruolo) che mi sembrano insufficienti a spiegare la faccenda, mi rimaneva solo l'associazione sensibilità/ruolo utile a spiegarmi tale divergenza di repertori.
Se mi dici che non vale neanche questa non so che pensare :D
scusami sono un po' tardone su certe cose.... :cry:
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Re: Mirella Freni

Messaggioda MatMarazzi » sab 21 ago 2010, 17:10

Triboulet ha scritto:ma che temperamento e visione intepretativa fossero gli stessi io francamente ci credo poco, o meglio se fosse così sarebbe una delusione.
Mi vuoi dire che la Pasta cantava Sonnambula esattamente come cantava Norma? Peggio della Sutherland mi vien da dire : Chessygrin :
La Pasta io l'ho sempre immaginata come la Callas, insomma una che sa quel che sta cantando, ti fa capire se è una contadinella delle alpi svizzere mollata dal fidanzato, o una sacerdotessa incazzata a cui hanno messo le corna : Chessygrin : Solo poi possiamo anche tirar fuori tutti i discorsi sul background filosofico-culturale di Romani e quel che c'è di comune tra i due ruoli... La Callas sguazza nella stessa dimensione, ma temperamento e interpretazione cambiano eccome. E se la Pasta era così leggendaria mi auguro sapesse essere al pari versatile. Comunque torniamo al tema...


Caro Trib,
secondo me la tua delusione nasce dal tuo preconcetto! :) ...che non è il tuo, ma di tutti noi, usciti dai criteri novecenteschi.
Il preconcetto è che Norma e Amina siano tanto diverse... ne consegue che se una canta bene entrambe allora è un mostro di versatilità (come amiamo considerare la Callas) o doveva sicuramente esserlo (la Pasta).

Facciamo un esempio: la Cerquetti cantava sia Amelia del Ballo in Maschera sia Leonora della Forza del Destino.
Che c'è di incredibile? Nulla.
Per carità! La Cerquetti è bravissima in entrambi i personaggi; riesce giustamente a differenziarli!
E, non di meno, io mi renderei ridicolo se andassi scrivendo per i fora: "pensate che interprete mostruosamente versatile era la Cerquetti: cantava sia la Forza, sia il Ballo in Maschera!"

Il fatto è che le tradizioni novecentesche non hanno mai contrapposto - giustamente - questi due personaggi, scritti per la medesima tipologia vocale.
Quasi tutte le "verdiane" li hanno cantati entrambi e non c'è nulla di sconvolgente.
E' vero che Leonora non è Amelia (come Norma non è Amina)
Leonora è un'adolescente, lacerata fra passioni calienti e religiosità sacrificale, tipiche dell'adolescenza; Amelia invece è una ben più matura madre britannica, sposata a un notabile (creolo) nelle Americhe coloniali.
E tuttavia entrambe sono figlie di una stessa estetica e, quel che più conta, pensate per vocalità sovrapponibili.
Per cui posso girarla come voglio, ma non c'è nulla di strano che una Cerquetti si sia cimentata e distinta in entrambi i ruoli.

Bene.
Cosa sarebbe stato, però, se - per una strana devianza novecentesca - avessimo ascoltato per decenni solo Leonore in stile "sopranino" (a prezzo di aggiustamenti spaventosi con la scrittura, e interpolazioni di sopracuti, proprio come è avvenuto per Lucia e Amina)?
E al contrario in Amelia avesse trionfato la variante "mezzosoprano drammatico" (ovviamente tagliando gli acuti e spianando i pianissimi, come fecero le Lady Macbeth tedesche o tutte le Adalgise)?
Semplice: che di fronte a una Cerquetti - che improvvisamente negli anni '50 se ne esce cantando entrambi i personaggi (Leonora e Amelia) - avremmo gridato al miracolo e evocato chissà quali spettacolari versatilità.

Ciò vale tanto di più per Amina e Norma che (a differenza di Leonora e Amelia) furono scritte praticamente una dopo l'altra e - quel che più conta - per la stessa identica cantante.
Di fronte alla grandezza della Norma e della Amina della Callas è giusto gridare al miracolo: ma in termini di versatilità è ben più incredibile che riuscisse a cantare Turandot e Kostanze! Lì sì che c'è una scrittura diversa, un'estensione diversa, un'emissione diversa, un'universo estetico diverso.


Triboulet ha scritto:La mia domanda ora è: se il discorso è che nell'800 c'era una associazione registro-baricentro/ruolo e non volume-colore/ruolo come avverrà dopo, come mai Storchio e Kruszelnicka avevano un repertorio con così pochi punti in comune? evidentemente c'era anche (se non in maniera così netta) una associazione con volume e colore, o se neghiamo anche questa allora con la sensibilità dei personaggi (ruoli elegiaci. ruoli drammatici ecc.)...


Così diceva il Dr Cajus:

dottorcajus ha scritto:Penso però che vi fosse una certa attenzione alla capacità di rendere il personaggio da un punto di vista interpretativo


Ed ecco cosa dicevo io:

Si cercavano affinità fra la personalità di un artista e un certo tipo di personaggio, anche a costo di pesanti aggiustamenti.


In pratica sia io che il dottor Cajus ipotizziamo che, nell'appropriarsi di un determinato ruolo, venissero nell'800 tenute in maggior considerazione questioni di natura teatrale, più che vocale. E se la vocalità non corrispondeva alla scrittura, non si esitava a ricorrere aggiustamenti.
Visto che tu citi il repertorio della Storchio (fra cui anche Linda di Chamounix), ti ricordo che la creatrice di Linda - ossia la Tadolini, che oggi classificheremmo come "lirico" - aveva in repertorio anche Lady Macbeth, Giselda e Odabella.

La cosa oggi ci sembra incredibile, ma se fai il paragone con gli attori tout-court la cosa può diventare chiarissima.
Silvana Mangano poteva fare la romanaccia moglie di Sordi nello Scopone Scientifico, ma anche la cinica e sofisticata alto-borghese nel Gruppo di famiglia di Visconti. Poteva interpretare la mondina tutto sesso e peccato nel Riso Amaro oppure per Pasolini la Regina Giocasta nell'Edipo Re.
E nessuno che si sia preoccupato che... era troppo bassa per quel ruolo o troppo magra per quell'altro! :)
le caratteristiche fisiche (come la personalità) sono un elemento in più che l'interprete si porta dietro nel dare corpo a un ruolo.
Così valeva - per i cantanti ottocenteschi - la questione del loro volume e del loro timbro.

Si chiamava un'Alboni a fare Amina o una Grisi a fare Norma indipendentemente dalla dimensione e dal colore della loro voce. Anzi, per meglio dire, il loro specifico colore e il loro specifico volume erano elementi di "originalità" che rendevano più interessanti e uniche le loro interpretazioni, più distinguibili dalle altre; non erano la condizione minima per affrontare un ruolo (come invece avvenne nel '900).

Tu giustamente ti chiedi come trovare allora una coerenza nel repertorio di questa o quell'altra cantante.
Certo che una coerenza c'era! Non esistono solo il volume-colore per definire la coerenza di un repertorio.

La Storchio, ad esempio, era una cantante affascinata dal "passaggio" fra i secoli: la sua scuola era "antica" ma la sua sensibilità la spingeva verso le conquiste del naturalismo. Era evidentemente affascinata da personaggi "popolani", tanto da farsi affidare alcune prime del più scatenato versimo (Siberia di Giordano!!! Ho detto niente!). Cantava moltissimo il repertorio ottocentesco, ma sempre prediligendo ruoli di estrazione popolana, spesso semiseri e comici.

La Krusceninski era animata al contrario da una formidabile vocazione aulica e classicheggiante: anche la sua figura - alta, splendida, severa - la predisponeva a questo tipo di personaggi. Il suo canto, pur essendo virtuoso e ancora totalmente vocalistico, subiva il fascino del moderno declamato, perché ad attrarla erano i grandiosi personaggi del tardo-romanticismo (da Meyerbeer a Catalani a Isolde).
Tutto questo basta a differenziare un'artista da un'altra e a spingere i direttori artistici ad affidare loro personaggi diversi. Dirò di più: secondo me rappresenta un criterio di classificazione molto più intrigante e suggestivo che non la semplice "pesa" dei decibel e (più a meno artificiosi) colori timbrici.

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Re: Mirella Freni

Messaggioda Triboulet » sab 21 ago 2010, 18:34

MatMarazzi ha scritto:Il preconcetto è che Norma e Amina siano tanto diverse... ne consegue che se una canta bene entrambe allora è un mostro di versatilità (come amiamo considerare la Callas) o doveva sicuramente esserlo (la Pasta).


E' vero io le sento diverse, ma non tanto nell'estensione o nel peso richiesto quanto nel carattere (tanto che la Maria si sentiva quasi in obbligo di riservare alle due eroine due voci differenti in termini di colore).
Ammetto che l'esempio della Cerquetti è stato chiarificatore! effettivamente tutti i ruoli tardo-verdiani finiscono in bocca agli stessi cantanti e la cosa ci stupisce poco, mentre tutt'oggi le interpreti che intercambiano Norma e Amina sono pochissime. A pensarci l'Aida in studio della Callas è più "leggera" della sua Amelia (coerentemente alla differenziazione che operava nei ruoli Pasta), e ti confesso che anni fa, la prima volta che l'ascoltai, mi stupii AL CONTRARIO, ovvero di trovare un Aida diversa! uno pensa: come? una Aida così "esile"? perchè non ha la voce, chessò, di Elisabetta di Valois? Mentre fu normale trovare Sonnambula e Norma diverse (e fu strano trovare la Norma della Joan!). Non ci avevo mai pensato con cognizione.


MatMarazzi ha scritto:La Storchio, ad esempio, era una cantante affascinata dal "passaggio" fra i secoli: la sua scuola era "antica" ma la sua sensibilità la spingeva verso le conquiste del naturalismo. Era evidentemente affascinata da personaggi "popolani", tanto da farsi affidare alcune prime del più scatenato versimo (Siberia di Giordano!!! Ho detto niente!). Cantava moltissimo il repertorio ottocentesco, ma sempre prediligendo ruoli di estrazione popolana, spesso semiseri e comici.La Krusceninski era animata al contrario da una formidabile vocazione aulica e classicheggiante: anche la sua figura - alta, splendida, severa - la predisponeva a questo tipo di personaggi. Il suo canto, pur essendo virtuoso e ancora totalmente vocalistico, subiva il fascino del moderno declamato, perché ad attrarla erano i grandiosi personaggi del tardo-romanticismo (da Meyerbeer a Catalani a Isolde). Tutto questo basta a differenziare un'artista da un'altra e a spingere i direttori artistici ad affidare loro personaggi diversi. Dirò di più: secondo me rappresenta un criterio di classificazione molto più intrigante e suggestivo che non la semplice "pesa" dei decibel e (più a meno artificiosi) colori timbrici.


Assolutamente sì! certo adesso una roba del genere suona stranissima (un po' come la Gencer che finì per cantare tutti i ruoli regali/sacerdotali che trovava, o la Sutherland alle prese con ruoli fiabeschi senza tempo tipo Alcina e Turandot)... chi lo fa? selezionare il repertorio per affinità poetiche intendo, ci vuole anche la voce per poterlo fare. Però se si ricominciasse a far così ritroveremmo una verità nei personaggi (e negli interpreti!) che si è un po' persa per strada.
Mi chiedo la Freni (visto che il thread è suo) cosa avrebbe dovuto cantare in quest'ottica... sicuramente non Puccini.
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Re: Mirella Freni

Messaggioda dottorcajus » sab 21 ago 2010, 23:56

Credo che sarebbe utile la lettura delle recensioni dell’epoca, meglio quelle dei quotidiani che quelle delle pubblicazioni specializzate. Queste ultime, spesso, erano di parte. Se il loro artista non andava bene, non lo citavano nella recensione e lo stesso facevano per quegli artisti che non rappresentavano o che non avevano interesse a rappresentare. Ovviamente questo non poteva riguardare i vari big che trovavano sempre spazio nelle recensioni. D'altronde è anche vero che i big furono un numero esiguo rispetto alla miriade di artisti che popolavano lo sterminato numero di teatri lirici nel mondo e, per i quali, valevano le stesse regole.
Contrariamente a quello che oggi pensano in molti, i recensori, ieri come oggi, prestavano la massima attenzione a tutte le componenti della prestazione, sia vocali sia scenici. La valutazione vocale riguardava l’intonazione, la potenza, gli acuti, le note centrali, le eventuali agilità. Si guardava anche l’espressività del canto e si giudicavano le doti d’attore. Si guardava anche la scenografia come pure si sottoponeva al vaglio la direzione ma, specie se si trattava di una prima esecuzione locale, si sviscerava l’opera e si dedicava molto spazio ai cantanti. Naturalmente tutto era rapportato ai canoni dell’epoca.
Vuoi il diverso diapason, vuoi le orchestre solitamente sottodimensionate, vuoi esigenze di repertorio, i ruoli erano assegnati con criteri diversi da quelli odierni. All’epoca le compagnie venivano organizzate scritturando cantanti per le prime parti assolute, le prime parti, le altre parti (in genere comprimari) e gli utilites. Questi ultimi si prestavano ad interpretare le parti più piccole che venivano di volta in volta adattate alla loro voce. Normanno nella Lucia poteva essere interpretato da una qualsiasi delle voci maschili. Altro elemento diverso da oggi era la programmazione della stagione che solitamente si basava su alcuni titoli certi più altri che l’impresario proponeva a seconda degli umori del pubblico. Se oggi si annuncia un elenco di titoli con dei cast assegnati allora si comunicava la compagnia, si comunicavano i titoli ma ci si riteneva liberi di diminuire le repliche di un titolo per aumentare quelle del titolo che aveva successo.
Infine una considerazione sul pubblico. Era un pubblico che conosceva la musica essendo questa patrimonio della cultura popolare, era un pubblico cattivo capace di non far continuare la recita se le cose non andavano bene, era un pubblico spesso intollerante verso un cantante che non rispondeva alle loro attese, era un pubblico capace di far protestare ben 6 baritoni in una produzione di Carmen per poi finalmente applaudire il settimo. Questo poteva accadere anche nei grandi teatri ma sicuramente era più frequente nei teatri popolari ed in quelli di provincia dove l’attenzione del pubblico verso la rappresentazione era forse maggiore, dove la passione poteva sfociare anche nello scontro fisico.
Qualcosa inizia a cambiare, quando arriva sul palcoscenico la generazione degli anni ’70, il Caruso, gli Amato, artisti che seppur formati da maestri appartenenti alla vecchia generazione si avvicinano all’opera quando questa sta cambiando muovendosi verso il verismo e le altre nuove forme musicali ed espressive. Questi artisti sono tecnicamente molto legati al passato, ma iniziano a variare la loro interpretazione e, aiutati dalle nuove produzioni musicali, muovono i primi passi verso un’interpretazione più attenta alla parola ed al testo cantato e produce. Questo processo si consolida sempre più e si stabilizza con la generazione successiva che, pur studiando spesso con i vecchi maestri (da qui la continuità dell’impostazione tecnica che ancora oggi impera nel canto all’italiana) ha una formazione musicale e culturale definitivamente distaccata dal passato. Questi artisti non solo portano le nuove concezioni interpretative nelle produzioni a loro coeve ma la applicano anche nei titoli del vecchio repertorio. Intorno al 1920/25 questo processo è praticamente concluso e si consolida definitivamente la classificazione delle voci con un preciso abbinamento voce/repertorio. Un effetto collaterale di questo lungo processo di trasformazione è il progressivo irrobustimento della sezione centrale della voce con il conseguente scurimento del timbro. Per primi sono i baritoni ad iniziare questo processo che poi si estende alle altre voci e ciò influenza ancora buona parte del pubblico.
Tutto ciò comporta il progressivo e definitivo abbandono delle libertà musicali, degli adattamenti, dando inizio al lento cammino verso la filologia. Un’eccezione a tutto ciò, fra i famosi, fu Lauri Volpi che rimase espressivamente ancorato ai canoni ottocenteschi.
Non meno importante in questo percorso è la figura del direttore d’orchestra e quello dei corpi corali ed orchestrali. Prima il numero medio degli orchestrali era di 40/50 e le masse corali superavano raramente le quaranta unità. Entrambe venivano formate con un mix di professionisti integrati da dilettanti locali (va detto però che lo studio della musica e del canto era diffuso anche nelle classi più popolari e tutti i paesi avevano la loro banda, la loro filarmonica).
Ovviamente in questo si distinguevano i grandi teatri con le loro orchestre, non sempre stabili, ma sicuramente più accurate.
Quel folle melomane di Hammerstein, un tipo capace di giocarsi un patrimonio (per poi ricostruirlo) per inseguire il sogno di essere il più grande impresario lirico del mondo, mette su un’orchestra di 117 elementi, quando propone al pubblico di New York la Salomè (prima americana in forma scenica), cantata in francese ed interpretata da Mary Garden.
Se avessimo un dubbio sulla centralità del ruolo del cantante l’esempio della prima americana di Salomè (siamo già nel 1909) dovrebbe chiarire ogni cosa. Si dà Salomè in francese per farla cantare alla diva Garden che non la avrebbe cantata in altra lingua, nonostante il pubblico americano sia abituato alle esecuzioni in tedesco. Ma è anche vero che buona parte del pubblico non andava a vedere la Salomè di Strauss ma la Salomè della Garden.

Ma questo breve racconto non ci aiuta a sciogliere i nodi. Se è vero che nel passato la critica seguiva lo stesso metodo di giudizio applicato oggi perché queste stranezze nel repertorio ancora presenti fino ai primissimi anni del novecento? Esso era sicuramente un retaggio del passato, del tempo in cui il compositore scriveva per un determinato cantante ma ormai il compositore, pur avendo in mente un cantante, compone per un tipo di voce e di personalità.
Forse la risposta va ricercata altrove lasciando da parte la voce con le sue caratteristiche.

Un dato certo e costante è la qualità della personalità artistica dei cantanti che si è adeguata continuamente al cambiare delle varie epoche. Questo era un valore importante nel tardo ottocento ma lo rimane anche per la generazione del ’70. Non si spiegherebbe altrimenti perché anche dopo la classificazione delle voci alcuni ruoli siano interpretati da voci che oggi definiremmo inadeguate. Personaggi come Otello, Sansone, Canio vengono cantanti da tenori con voci robuste ma il robusto non corrisponde all’odierno drammatico. Evidentemente persiste la tendenza a rendere i ruoli più lirici ed anche questo prova che il lato drammatico del ruolo era ricercato nell’interpretazione. Occorre aspettare gli anni cinquanta perché quest’associazione si sposti sul colore della voce, mentre prima il tenore con voce robusta aveva un colore decisamente più chiaro, probabilmente un buon volume che gli permetteva di essere penetrante a livello sonoro. Il vecchio filmato di Salazar che canta Otello, siamo già negli anni trenta, penso chiarisca questo ultimo concetto.
La personalità spiega anche perché nella mia collezione di vecchi 78gg vi siano artisti dotati di voci molto interessanti che però non arrivarono alla massima fama. Erano in tanti, ma questo non può bastare a spiegare ciò. Tempo fa lessi l’intervista alla figlia del baritono spezzino Bione, cantante dotato di voce bellissima e di una linea di canto splendida, esecutore di uno dei migliori “Oh dei verd’anni miei” che io abbia ascoltato. Dichiarò che il padre era una persona dal carattere modesto che non amava esporsi per arrivare al successo. Quindi, accanto alla personalità artistica, vi era la componente caratteriale ed il livello di ambizione.
In conclusione credo che almeno fino agli anni quaranta la voce, come oggi la classifichiamo, non sia stato l’elemento decisivo per l’assegnazione di un ruolo.
Coerentemente con le varie epoche si guardava che il cantante avesse le note per il ruolo e avesse la personalità necessaria per renderlo nel modo in cui voleva vederlo il pubblico dell’epoca.
Certamente negli anni, con l’aumentare del numero degli orchestrali, anche il volume della voce ha acquistato importanza, ma bisogna sottolineare che il volume è sempre stato importante, anche se nel lontano passato era preso in considerazione in rapporto con le dimensioni del teatro dove il cantante si esibiva, vale a dire un tenore poteva aver sufficiente volume per cantare al Verdi di Pisa ma sarebbe risultato inadeguato in un teatro molto più ampio.

Spero di non aver fatto troppa confusione.
Roberto
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Re: Mirella Freni

Messaggioda MatMarazzi » dom 22 ago 2010, 11:46

Davvero interessantissima, Dr Cajus, la tua analisi.
Ci dobbiamo tornare sopra: ci sono tanti dettagli che vorrei approfondire.
Per ora mi limito solo a una piccola precisazione (che d'altronde non modifica il succo del discorso e nemmeno l'efficacia del tuo esempio).

dottorcajus ha scritto:Quel folle melomane di Hammerstein, un tipo capace di giocarsi un patrimonio (per poi ricostruirlo) per inseguire il sogno di essere il più grande impresario lirico del mondo, mette su un’orchestra di 117 elementi, quando propone al pubblico di New York la Salomè (prima americana in forma scenica), cantata in francese ed interpretata da Mary Garden.
Se avessimo un dubbio sulla centralità del ruolo del cantante l’esempio della prima americana di Salomè (siamo già nel 1909) dovrebbe chiarire ogni cosa. Si dà Salomè in francese per farla cantare alla diva Garden che non la avrebbe cantata in altra lingua, nonostante il pubblico americano sia abituato alle esecuzioni in tedesco. Ma è anche vero che buona parte del pubblico non andava a vedere la Salomè di Strauss ma la Salomè della Garden.


A dire il vero, la prima americana (e newyorkese) di Salome era caduta due anni prima, nel 1907 al Met.
Fu uno degli scandali più clamorosi del prestigioso teatro: il pubblico rimase indignato dalla scabrosità dell'opera che fischiò sonoramente, tanto che per vent'anni non osarono riproporre la Salome al Met.
Protagonista in quell'occasione (in cui l'opera fu data in tedesco) era un'altra diva mitica: Olive Fremstad.

Triboulet ha scritto:selezionare il repertorio per affinità poetiche intendo, ci vuole anche la voce per poterlo fare. Però se si ricominciasse a far così ritroveremmo una verità nei personaggi (e negli interpreti!) che si è un po' persa per strada.


Infatti secondo me oggi dobbiamo combinare diversi fattori nell'elaborazione di un cast.
Come dicevo sopra, Triboulet, non possiamo oggi applicare sic et simpliciter il modello "personalità" come si faceva nell'800, aggiustando le parti sulle caratteristiche del cantante, perché oggi questo non rientra più nelle "regole del gioco".
Visto che ora si punta alla valorizzazione fin nei dettagli di un determinato testo (legato alle ur-edizioni o successive rivisitazioni d'autore) assunto come base statica dell'interpretazione - senza alterazioni di tonalità, tagli, addirittura in lingua originale - occorre essere proprio certi di disporre del cantante giusto, anche dal punto di vista vocale, intendendosi per giusto il più vicino possibile al primo interprete o comunque in grado di far fronte alla scrittura originale senza aggiustamenti di sorta.
Quindi anche il problema volume-colore (grosso modo) può tornare alla ribalta, certo non più sottoposto alle semplificazioni sballate in auge nel '900, elaborate non sul testo ma su equazioni moralistiche (cattivi = voce scura; buoni= voce chiara, ecc...).
Inoltre, sempre per rispetto al "testo", oggi possiamo anzi dobbiamo porci problemi tecnici, stilistici, storici (in termini di emissione) che un secolo fa non ci si poneva. Oggi è quasi superata ad esempio la vecchia equazione "declamato=grande personaggio" o "vocalismo=personaggio inconsistente"; per cui non ammettiamo più Lady Macbeth declamatrici (per Leonore del Fidelio ci vorrà invece ancora qualche anno).

E tuttavia, ferma restando la centralità - oggi - di queste considerazioni vocali-tecniche-stilistiche, la "personalità" dovrebbe tornare ad essere un elemento determinante nell'attribuzione di un certo ruolo a un cantante. Le prime infatti garantiscono l'adeguatezza, ma la seconda garantisce l'arte.

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