Rodrigo ha scritto:Condivido in toto l'osservazione di Tuc sul rapporto cultura-statura artistica. Semmai mi limito a precisare che l'artista, il grande artista è interprete della temperia in cui è immerso non grazie alla sua "cultura personale" (che può essere profonda o mediocre), ma per la sua straordinaria capacità di "respirare" il contesto (nel senso più vasto del termine) in cui è immerso. Palestrina, pur rispecchiando perfettamente la sensiblità tridentina, non era certo un teologo e neppure un asceta ma un "borghese" dalla vita tutto sommato ordinaria. Paganini, Donizetti e Bellini non vantavano certo chissà che studi e neppure erano particolarmente interessati alle discussioni letterarie, eppure con che perspicacia sono stati interpreti di certo romanticismo! Non escluderei che questa capacità di "leggere" il proprio ambiente sia in un certo senso inconscia. Forese c'è un po' di vero nel famoso aneddoto su Rossini che, di fronte ad un pomposo complimento per la modernità della sua musica se ne uscì con un: "Mio Dio! Ho scritto musica dell'avvenire senza accorgermene!".
Scusa Rodrigo,
forse non hai letto bene i messaggi di questo thread (e di quello da cui è nato, il cui titolo era "nella Parigi di Proust".
Mi permetto di pensarlo proprio perché ciò che hai scritto collima esattamente con il mio pensiero e non con quello di Tucidide.
Il fatto di "contestualizzare" un artista e giudicarlo nella sua temperie è quello che affermavo io.
La grandezza di Tosti non è assoluta, ma relativa al contesto in cui si è espressa.
E se il contesto della romanza da salotto italiana era decisamente meno ricco, stimolante, "considerato" quanto lo era quello della Mélodie francese di fine '800 non era certo colpa sua!
Proprio per questo ficcare un brano di Tosti - come ha fatto Tuc - in un thread dedicato a un gigante come Hahn (e al contesto gigantesco in cui agiva) voleva dire svilire Tosti, farlo apparire ingenuo (mentre in teoria non lo era), scontato nei processi armonici e ritmici (mentre non lo era), ridotto a musicare versi strappalacrime e prevedibili (mentre non lo erano). Eppure questa era l'impressione che si aveva ascoltando quel brano di Tosti a diretto confronto con l'incredibile modernità, bellezza, suggestione, raffinatezza di composizione dell' Heure exquise!
Esaltare le finezze "orchestrali" di Bellini è giusto.
Ma occorrerà avere ben chiaro "rispetto a chi, a cosa" l'orchestrazione di Bellini è raffinata.
Non certo in assoluto, non in rapporto a Haydn, non in rapporto a Brahms, non in rapporto a Bruckner.
E' in rapporto al "suo" contesto, questo sì, che Bellini era un orchestratore eccezionalmente sensibile e raffinato.
Nel suo contesto infatti (ossia nei teatri d'opera italiani o dove si faceva opera italiana, come agli "Italiens" di Parigi) i tempi di composizione erano troppo stretti, le orchestre erano spesso maldestre e antiquate, il tempo per le prove era contato...
Ma quello che più conta era il giudizio del pubblico: non rientrava nel giudizio collettivo il valutare la bravura di un operista sulla base della ricchezza orchestrale. E questo rende ancora più considerevoli alcune raffinatezze di scrittura che - in altri contesti - sarebbero sembrate da primo anno di composizione.
E' in base a queste considerazioni (di contesto) che si può valutare la grandezza di Bellini come orchestratore!
NON FICCANDOLO in un thread dove si sta parlando dell'arte della scrittura orchestrale in Mahler.
L'unica cosa che si ottiene così è far passare Bellini per uno scolaretto.
Scusa ma era giusto puntualizzare.
Matteo