Beethoven: Sonate per pianoforte

sinfonia, cameristica e altri generi di musica non teatrale.

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Re: Beethoven: Sonate per pianoforte

Messaggioda teo.emme » lun 28 giu 2010, 21:21

Tra i pianisti di oggi apprezzo particolarmente Pletnev: i suoi concerti beethoveniani sono particolarmente emozionanti (così come quelli di Chaikovskij). Pletnev ha una tecnica inappuntabile e una fortissima visione interpretativa, un approccio "romantico" e personalissimo, che forse oggi, in epoca di pseudo filologia a tutti i costi, è visto con sospetto, ma assolutamente trascinante! Lang Lang, invece, lo trovo semplicemente insopportabile: il nulla condito col niente... Anche dal punto di vista tecnico: ogni anno la Juilliard sforna centinaia di velocista della tastiera (o dell'archetto), ma non diventano certo dei Rubinstein... Si aggiunga poi l'atteggiamento fastidioso, le smorfie, le sceneggiate di arte varia, i kimoni, la gestualità studiata ad arte...tutto distrae dall'essenza di quel che suona...e di essenza, in verità, non ce n'è molta. E poi qualche pasticcio ne combina...tipo in questo video davvero sgradevole:
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Re: Beethoven: Sonate per pianoforte

Messaggioda pbagnoli » mar 29 giu 2010, 16:09

Sono ignorante in modo tragico: a me sembra un fenomeno, almeno da un punto di vista del gesto tecnico.
Mi piacerebbe se mi dicessi cosa c'è che non va, e lo dico - ti giuro - senza ironia di nessun genere.
Sarebbe interessante per quelli che, come me, non capiscono una pera di queste cose.
Grazie!
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Re: Beethoven: Sonate per pianoforte

Messaggioda teo.emme » mar 29 giu 2010, 17:14

pbagnoli ha scritto:Sono ignorante in modo tragico: a me sembra un fenomeno, almeno da un punto di vista del gesto tecnico.
Mi piacerebbe se mi dicessi cosa c'è che non va, e lo dico - ti giuro - senza ironia di nessun genere.
Sarebbe interessante per quelli che, come me, non capiscono una pera di queste cose.
Grazie!


Te lo dico volentieri: pasticcia alquanto con gli accordi (peraltro pesanti come macigni) e, soprattutto, manca di una visione unitaria del pezzo...le battute si susseguono senza filo conduttore, giustapposte senza alcuna idea di struttura. Alla fine sembra un insieme di brani sparsi o, peggio, un'improvvisazione poco riuscita. Non voglio entrare nello specifico del gesto e della diteggiatura (discorso pedante e poco interessante: a certi livelli l'eccellenza tecnica - intesa come capacità di suonare perfettamente le note - è data per scontata), non mi impressiona la velocità o l'atletismo (così come il virtuosismo fine a sé stesso nel canto: ti faccio l'esempio della Bartoli), parlo di pasticci musicali. Il problema è che spesso tutto ciò viene mascherato per interpretazione personale, o estroversa, o creativa...in realtà sono cose ben diverse. Prendi Pletnev: ha un approccio molto più "creativo" nel suonare, fin quasi all'arbitrio (scelta di tempi, dinamiche, abbellimenti). Ama ripetere che suona come se fosse un compositore (richiamandosi a quanto dichiarava Rachmaninov). Ma per arrivare a risultare credibili non basta fregarsene della pagina scritta e sovrapporre il proprio ego (o il proprio show) all'immagine del compositore, come fa sempre Lang Lang, bisogna essere sostenuti da una visione interpretativa forte (ideale, estetica, anche etica), forse più che da una tecnica perfetta (che comunque è base fondamentale). Pletnev "vive" lo spartito, lo adatta alla sua sensibilità, ne modifica tempi e segni al fine di estrapolare ciò che lui ritiene contenga. Una visione "romantica" dell'arte, intesa come missione: l'artista/creatore è concetto forse ottocentesco, ma ben applicabile all'oggi...ormai affogato nella mediocritas del pensiero debole (e talvolta debolissimo). Il suo Beethoven è viscerale, lirico, decadente...non si preoccupa di cercare le supposte sonorità originali (utilizzando, magari, quel trabiccolo che è il fortepiano), ma, con scelta provocatoria, sceglie uno spettacolare Bluthner Gran Piano, dal suono ricco, scuro e profondo. Corretto o scorretto filologicamente? chi se ne importa! Lang Lang, invece, non è mai sincero: si esibisce, si atteggia. Il suo approccio spettacolare è, in realtà, un mero travestimento, una recita... E' veloce? Come tanti. Non è la tecnica a far grande un pianista (ripeto: ogni anno la Juilliard sforna decine di pianisti sempre più veloci, sempre più virtuosi, sempre più giovani). La tecnica è scontata. Ma le continue smorfie, le mosse, l'alzarsi sullo sgabello, le improvvisi interruzioni, le letargiche pause, lo sguardo ora perso ora estasiato...fa tutto parte di una "sceneggiata", secondo me, più simile alle contaminazioni pop di Allevi (mediocrissimo pianista creato dai media) piuttosto che ad un vero interprete.
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Re: Beethoven: Sonate per pianoforte

Messaggioda Donizetti » gio 08 lug 2010, 16:29

Un saluto a tutti voi.

Sono del tutto d'accordo con quanto ha scritto Teo su Lang Lang. Anche a me dà fastidio il suo modo di suonare: sembra chiamato a recitare uno show, anziché a suonare uno strumento come il pianoforte e, soprattutto, a interpretare musica. Poi, ovviamente, ha i mezzi tecnici per fare esibizioni del genere, in cui ciò che sembra contare è solo strappare l'applauso con tanto di gridolini e stupire a tutti i costi. Un po' come al circo, insomma.

E il paragone con Pletnev, egregiamente fatto da Teo, è molto calzante: se è vero che ho ascoltato poche volte il pianista russo, pure si nota subito in lui una coscienza del tutto diversa della musica che suona. Indubbiamente interpreta e mette la tecnica al servizio della musica, senza farne un mero strumento con cui sbalordire.

A proposito di questi due pianisti e delle differenze evidenziate da Teo, vorrei mettere sul piatto una questione che, a mio modesto parere, le spiega tutte: mi piacerebbe sapere cosa ne pensate voi. Ho sempre immaginato che se fossi stato cinese, o asiatico in generale, oppure africano, probabilmente avrei fatto enorme fatica a "capire" la musica occidentale ed europea in particolare; cioè io credo che per suonare, interpretare la musica di Bach, di Mozart, di Beethoven, occorre in qualche modo che la tua vita e i tuoi studi siano, come posso dire?... impregnati della cultura che l'ha generata. Come posso capire cosa voleva comunicare Beethoven scrivendo, che so, l'Eroica, oppure l'Appassionata, se non conosco in maniera approfondita il clima culturale in cui egli ha composto quei brani, se non conosco più che bene il periodo precedente, se non ho una visione di insieme piuttosto forte del periodo storico che ha generato quel tipo di musica?
Attendo impaziente vostre considerazioni.
Ciao.

Donizetti
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Messaggioda Riccardo » ven 09 lug 2010, 12:13

Donizetti ha scritto:Ho sempre immaginato che se fossi stato cinese, o asiatico in generale, oppure africano, probabilmente avrei fatto enorme fatica a "capire" la musica occidentale ed europea in particolare; cioè io credo che per suonare, interpretare la musica di Bach, di Mozart, di Beethoven, occorre in qualche modo che la tua vita e i tuoi studi siano, come posso dire?... impregnati della cultura che l'ha generata. Come posso capire cosa voleva comunicare Beethoven scrivendo, che so, l'Eroica, oppure l'Appassionata, se non conosco in maniera approfondita il clima culturale in cui egli ha composto quei brani, se non conosco più che bene il periodo precedente, se non ho una visione di insieme piuttosto forte del periodo storico che ha generato quel tipo di musica?
Attendo impaziente vostre considerazioni.

Caro Donizetti, spunto interessantissimo!

Il fatto che ci sia indubbiamente un denominatore comune per la musica occidentale rispetto a quella delle altre aree del mondo secondo me non basta per argomentare questo tipo di suggestioni... Perché a me verebbe immediatamente da domandarmi se in quest'ottica un vero viennese non abbia una percezione più genuina ed autentica della musica di Schubert, così come io dovrei averla di Rossini e Bellini. Ah no, però accidenti io li sento miei ma non sono né marchigiano né catanese... Né erano pesaresi Marilyn Horne e Samuel Ramey. E il jazz? Lo capiscono meglio gli afroamericani che non un americano di origine inglese? A quel punto quest'ultimo sentirebbe meglio Elgar che però ritengo di comprendere anch'io!
Insomma, non mi convince questa idea. Preferisco credere a una tesi più imperialista, secondo cui la forza della musica occidentale sta anche nella sua maggiore universalità rispetto alle altre tradizioni. E che Lang Lang, Sumi Jo e Seiji Ozawa la interpretino a modo loro, fecondandola di nuove esotiche suggestioni, non può che farle bene.
Che poi anche a me Lang Lang non finisca di convincere è ancora un'altra storia, ma qui se proprio vogliamo vedere il problema oltre l'individualità dello strumentista, forse dovremmo riflettere più su una certa idea di occidente che vige in Cina, sul tipo di istruzione e sullo sviluppo sregolato che sta vivendo oggi quel paese, che non sul riduttivo dualismo occidente-non occidente.

Salutoni,
Riccardo
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Re: Beethoven: Sonate per pianoforte

Messaggioda Triboulet » dom 15 ago 2010, 16:16

MatMarazzi ha scritto:Forse anche fra i cultori di pianoforte c'è una forte tendenza passatista?
NOn lo nego: è possibile che a metà del Novecento ci fossero personalità più forti, più poetiche... Non me intendo abbastanza, e quindi non escludo che ciò possa essere vero. E che oggi sia un'epoca i crisi.
Ma non escludo nemmeno che anche nel mondo del pianoforte (come in quello dell'opera) la nostalgia sia dovuta anche all'attuale enormità di materiale ascoltabile, il pochissimo tempo che la vita ci concede, la difficoltà di orientarsi in un mondo sempre in movimento, con migliaia di nomi nuovi e a noi estranei e un linguaggio artistico (il canto? il suono pianistico?) che evolve a tradimento e che ci lascia indietro, prima che ce ne rendiamo conto.

In pratica passatismo operofilo e passatismo pianofilo hanno la stessa radice?

E dire che si tratta di passatismo assai diversi: il "passatismo" dell'opera lamenta una crisi della "tecnica" (oggi non si canta più bene come una volta); mentre il secondo lamenta l'opposto: ossia il sopravvento della tecnica a scapito dei contenuti (vedi fenomeni come Lang Lang).
Ma se partiamo dal concetto che solo dalla non conoscenza del presente nasca il passatismo, allora in realtà sono atteggiamenti uguali: rimpiango perché non ho il tempo, l'energia, la forza di tenermi al passo.


Il passatismo secondo me è dovuto a mille fattori. Uno è quello a cui ti riferisci, è più facile pescare interpreti istituzionalizzati che pescare dal presente. Pescare dal presente presuppone uno sforzo maggiore, non solo in termini di ricerca ma anche in termini di comprensione (digerire una "novità", tecnica o interpretativa che sia, per molti è tragedia, molto meglio assimilare quel che è stato già masticato). Ci si è fondamentalmente abituati a sentire certe cose in una certa maniera (del resto la storia del disco ad alta fedeltà è molto breve, ha poco più di 50 anni). Nel momento in cui la novità non è così evidente ecco che ci "suona derivativo", e quindi da cestinare pure. Le nuove generazioni sono anche scoraggiate dai confronti, io per primo li faccio, come tutti.
E pensare che tutti sono stati un po' derivativi, solo derivavano da modelli di cui ormai si sono perse le tracce, con i quali non si possono fare più confronti.
Meglio ancora se un repertorio è stato riscoperto ex-novo. La Gencer è stata la prima a fare i ruoli Ronzi e, giocoforza, oggi è lei il primo riferimento.

La tecnica, bah secondo me è una questione di punto di vista anche quella. La Netrebko non è certo meno brava della Freni, e magari ha pure qualcosa in più da dire rispetto ad una Antonietta Stella (sì, brava... però ha mai fatto qualcosa di realmente memorabile?). Stiamo aspettando la nuova Callas? quello è un altro problema. Quante Callas ci sono state in 100 anni? quante Gencer? Ma anche, quante Dessay ci saranno da qui a 20 anni? i fenomeni fanno eccezione. Gente come la Tebaldi o la Price avevano poco da dire dal punto di vista interpretativo, facevano leva su doti naturali secondo me. A sto punto tutta la vita la Fleming, dal timbro non meno suggestivo, e con una tecnica ed una audacia intepretativa superiori. Non so io non lo vedo questo gran divario. Nè rimpiango un soprano "fila e fondi" (pur pregevolissimo) come la Caballè.

I pianisti, quanti hanno delle visioni così profondamente personali, radicali e tecnicamente impeccabili come Arrau, Horowitz, Gould, Richter? sono stati fenomeni che hanno coniugato virtuosismo a intepretazioni eccezionali e personalissime, sono i fenomeni, che secondo me fanno poca media.
Ma sono stati anche tra i primi che abbiamo ascoltato. Chi si prende la briga di andare più avanti, e anche più indietro (le terribili prime registrazioni)? alle volte neanche esistono i dischi. Come quando pensiamo che la Casta Diva della Callas sia una sua "invenzione" e poi ascoltiamo la Ponselle, la Muzio, la Mazzoleni.
Quando c'è confronto diretto diventa ancora più difficile colmare i "vuoti" interpretativi, perchè la sensazione è che non ce ne siano più.
In più il piano non è il canto, lo strumento è (quasi) sempre quello, e te la giochi tutto sui tempi, le dinamiche e i colori. Rubinstein è stato un pianista eccellente, ma non certo di rottura. Come lui anche Zimermann, per citarne uno più recente, o il Pletnev già citato da teo.emme. Per me sono tutti eccezionali, solo di Rubistein abbiamo una diversa (e forse falsata) prospettiva storica, e ci sembra il migliore di tutti.
In Cziffra (che passa per essere uno dei più autorevoli interpreti di Liszt) non ci ho mai trovato niente di eccezionale se non una grande bravura tecnica. E del resto è rimasto famoso per la sua spettacolarità. Vogliamo dire che era il Lang Lang di qualche anno fa?

Mat vuoi un Beethoven contemporaneo che valga la pena di essere ascoltato? (per tornare in topic)
Giovanni Bellucci!
Da l'anno scorso è partita la pubblicazione del suo integrale. Pianista di tecnica e spessore intepretativo assoluti! E pure italiano tra l'altro (alla faccia di chi pensa che ci siamo fermati a Pollini).





Teo ha scritto:Quello che c'è di incredibile nel suo modo di suonare è la profonda aderenza del corpo con la testiera, dove le dita, diventano solo un terminale, come il pennello per un pittore o come la bocca per un cantante. Il lui il suono nasce dal corpo (tutto), è il corpo che vibra prima ancora delle corde del suo pianoforte.Il suo forte non è MAI ripeto MAI pestato o spinto, il suo forte è "imponente" perché "è presenza".Il suo virtuosismo non è MAI ripeto MAI sospeso o distaccato dalla tastiera, ma sempre in penetrazione (pur essendo leggero come il volo di una farfalla).Tutto ciò in lui a mio modesto avviso, è possibile proprio perché lui canta con il suo corpo e il pianoforte canta con lui.Il suo desiderio fin da piccolo era infatti quello di poter cantare con il pianoforte; penso che sia uno dei pochi che vi sia riuscito per davvero.Genio, pazzo, schizzato e comunque sia UNICO.


Horowitz è uno dei miei pianisti preferiti!

Però volevo fare qualche considerazione. La sua dinamica così ampia è data da due fattori, una tecnica particolare (polsi molto bassi, articolazione delle dita, impostazione della seduta e del peso del corpo ecc.) e anche da un pianoforte particolare. Horowitz suonava quasi esclusivamente sul suo Steinway modificato. Il suo pianoforte aveva già in partenza una meccanica molto leggere, ed era stato ulteriormente tarato per avere una maggiore sensibilità al tocco.
Rubistein, per fare un esempio, aveva invece un pianoforte pesantissimo! lui per realizzare la il suo suono aveva bisogno di pestare un sacco su un piano poco reattivo ma col suono molto rotondo. Molti "piano" di Rubistein sono realizzati suonando "forte" col pedale "una corda" azionato. Anche lui aveva le sue tecniche. Ciò non toglie che Horowitz ci ha regalato intepretazioni che sono fuori da ogni schema, secondo me era un po' un Gould in chiave romantica (non a caso i due si odiavano e avevano un repertorio quasi complementare).

Visto che si parla di Beethoven, il Beethoven di Horowitz è squisitamente romantico, ma di un romanticismo "dell'est", filo-chopiniano-listziano. A tratti salottiero (e non è certo un demerito). Siamo abbastanza distanti dal romanticismo filo-germanico di molti altri interpreti, e altrettanto distanti dall'asciuttezza neoclassica di gente come Gulda o Gould. Lo stesso Gould amava le prime sonate e le ultime, dove ravvisava una perfezione architettonica e contrappuntistica neo-bachiana e proto-novecentesca. Horowitz invece non andò praticamente mai oltre l'opera 101 concentrandosi maggiormente sulle sonate preromantiche e in qualche modo evocative, dove insomma poteva spingere di più con la sua visione. Visione quindi eccezionale ma non meno estrema e parziale di quella di Gould, diciamo anzi agli antipodi. Non mi sento quindi di definirlo interprete beethoveniano dato che sarebbe stato secondo me incapace di far quadrare con coerenza l'intero corpus sonatistico di Beethoven (Gould, che pure non incise mai tutte le sonate, ci provò incidendo versioni della Tempesta, del chiaro di luna e della Appassionata assolutamente - e genialmente - snaturate).
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Re: Beethoven: Sonate per pianoforte

Messaggioda Triboulet » dom 15 ago 2010, 19:03

Volevo aggiungere una cosa:

preciso che sono sostanzialmente daccordo sulla mediocrità artistica di Lang, che ritengo comunque inferiore a Cziffra, il mio era solo un paragone estetico, dato che Cziffra è diventato famoso per l'aspetto virtuoso in prima istanza. E quindi pure in passato c'era chi privilegiava un aspetto rispetto ad un altro.
Il discorso di Lang Lang è che secondo me non ha neanche tutte queste doti da virtuoso, come sottolineava già teo. E' tutto arbitrario, ma non nel senso di un Horowitz, che era arbitrario ma seguiva un suo DISEGNO, nè come un Cziffra che poteva essere meno raffinato e originale e magari più ruffiano, ma aveva senso del ritmo e della frase, e una tecnica davvero impeccabile. Tanto per cominciare il video proposto dà l'impressione di una improvvisazione sul tema di Liszt (e ci sono anche varianti, non so se sono di suo pugno, ma non è una novità che questi pezzi vengano personalizzati), è tutto a casaccio, o meglio si percepisce che certi passaggi sono esasperati in senso esteriore. Il paragone con la Bartoli ci stà ma solo per la politica da showbiz, continuo a ritenere la Bartoli qualcosa di "particolare" (pur non amandola intendiamoci) e a suo modo di artistico (quando non indulge e non fa passi più lunghi della gamba).
Quì non trovo proprio niente, non un messaggio, non una innovazione tecnica. E' più cross-over (che va benissimo, ma lo dobbiamo considerare diversamente).
Ma poi toppa non meno di quanto non facessero i suoi illustri colleghi del passato (lo trovate davvero così perfetto?!).
Ho un amico pianista che ci ha suonato una sera a casa sua questo pezzo in maniera più convincente (e con tutta la simpatia non lo si può certo definire un grande pianista). Mi ha pure confessato che il pezzo è più "semplice" di quanto non si possa pensare ("è tutta scena, Listz era abilissimo a far sembrare difficile le cose... Brahms e Beethoven sono molto più impegnativi da suonare!").
In sintesi è una roba che possono fare tutti i pianisti discretamente preparati e con una certa faccia tosta, il fatto che molti non ce l'abbiano non vuol dire che non siano potenzialmente in grado : Chessygrin : nè credo che incarni il pianismo attuale...
Ho trovato la stessa Rapsodia eseguita dal giovanissimo Andaloro, che credo abbia meno di 30 anni (allievo peraltro del grandissimo e mai ricordato Sergio Fiorentino). Sarà pure meno ruffiana, ma ha una sua personalità e una sua coerenza, oltre ad essere virtuosisticamente non inferiore (semmai il contrario):



Se poi vogliamo parlare di super-famosi del music-mainstream a questo punto prendo la Netrebko del pianoforte, che secondo me ha ancora un buon margine di crescita:



Qualcuno ha citato Dino Ciani, quello era (purtroppo è prematuramente scomparso) un altro bell'esempio di pianismo virtuoso di abilità e spessore.
Il suo Beethoven è consigliatissimo.
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