Non hai torto, intendiamoci.
Ma come ti sembrava Gedda in questo ruolo? Sbagliato? Fuori posto?
A me piaceva, ma io sono di parte con Gedda quindi non attendibile
Moderatori: DocFlipperino, DottorMalatesta, Maugham
pbagnoli ha scritto:Non hai torto, intendiamoci.
Ma come ti sembrava Gedda in questo ruolo? Sbagliato? Fuori posto?
A me piaceva, ma io sono di parte con Gedda quindi non attendibile
pbagnoli ha scritto:Il Di Stefano prima maniera (quello, cioè, di prima degli Anni Cinquanta) è per me il più grande tenore di tutti i tempi. Sono completamente d'accordo con te: sarebbe stato perfetto in questi ruoli.
E un Masaniello? Come l'avrebbe fatto, secondo te?
MatMarazzi ha scritto:Vorrei cogliere l'occasione per allargarmi un po' sui ruoli Gueymard.
Mi sono fatto l'idea che risultasse più efficace nei ruoli popolani, semplici, esuberanti e poco intellettuali, di giovani tutto fuoco e in sostanza manipolabili.
Rodrigo ha scritto:Io nella parte ci avrei visto ottimamente il Pavarotti degli anni '70 (quello del Trovatore targato Bonynge): timbro giovanile, acuti facilissimi, aria "ruspante". Chissà, negato per i ruoli psicologicamente complessi, Luciano ci avrebbe sorpreso con questo ruolo.
.nientemeno che Arnould del Guglielmo Tell, il più impestato dei ruoli Nourrit nel quale solo Merritt aveva osato, e senza particolare fortuna, avventurarsi.
Riccardo ha scritto:le proposte che avanza per il futuro sono indiscutibilmente avvincenti.
Proprio in questo periodo mi sto occupando di un'opera che Garcia sr. scrisse come compositore per sé Nozzari e la Colbran per il San Carlo di Napoli nel 1814, ossia l'anno prima dell'arrivo di Rossini. Mi piacerebbe davvero capire quali elementi a Napoli hanno indirizzato Rossini verso un tipo di scrittura che è molto diversa da quella delle opere scritte per il nord Italia.
I pubblici erano evidentemente diversi, così come diverse erano le realtà politiche. In aria di festeggiamenti per il 2011, potrebbe quasi diventare spunto per uno studio sulla storia italiana partendo da quella realtà musicale che precede la già ultrastudiata retorica risorgimentale verdiana.
Sempre a proposito di Ford, qualcuno di voi conosce il disco Opera Rara "Three Tenors", dove lui (grandioso), Austin Kelly (accettabile) e Matteuzzi (già cotto) cantano duetti rossiniani con la chicca del terzettone dell'Armida?
pbagnoli ha scritto: Cavoli, Matteo: sin dal recital di Vercelli che l'aveva rivelato a noi italiani, e poi sino alle recite della Scala, Chris Merritt aveva rivelato al mondo che la sua voce, impostata sugli estremi acuti in falsettone rinforzato, era proprio l'ideale per un ruolo del genere.
se la memoria non mi tradisce, questo era proprio un ruolo in cui il tenore di Oklahoma City veniva portato sugli scudi!
i tenori delle opere di Rossini non erano stati letti nelle loro specificità: erano considerati pane per voci piccole e gentili, omoegnee nei registri, leggere nella linea, scarsamente virtuose e dagli stessi modi signorili e delicati già adottati in Mozart e nel Donizetti semiserio.
Se ancora negli anni ’70 ci fossimo chiesti cosa distingueva un tenore rossiniano dai tenori di area “belcantistica”, probabilmente avremmo risposto che c’erano solo tante note in più (tanto valeva tagliarne due terzi).
Con l’apparire dei tenori coloristi d’oltre-oceano tutto cambiò e la questione del “tenore rossiniano” si rivelò ben più complessa. Dal serbatoio Napoletano e dalle edizioni critiche emergevano inattese contraddizioni non solo fra i tenori dell’opera seria e dell’opera buffa, non solo fra quelli delle opere italiane e francesi, ma addirittura fra i diversi ruoli per tenore di una stessa opera: limitandoci ai “tipi” dominanti, i personaggi composti per il tenore Giovanni David avevano certe caratteristiche (proiezione acutissima, propensione all’elegia, fragilità sentimentale), mentre quelli scritti per Nozzari reclamavano altro suono (più virile, scuro e reattivo) e altre prospettive drammatiche (insoddisfazione, rivolta, sensualità).
Le sorti cambiarono allo scoccare del nuovo millennio; a un certo calo di “creatività” da parte degli Americani si contrappose il ritorno in grande stile di un rossinismo di vecchio stampo, latino, “pre-americano”, il quale - riorganizzate le fila e forte di un fuoriclasse come Juan Diego Florez – ha lanciato la propria controffensiva al "colorismo”.
Per certi versi fu la restaurazione anche in ambito rossiniano dell’antico “tenore di grazia”, giusto un po’ irrobustito sul fronte virtuosistico, più fiero del proprio sopracuto e accuratamente aggiornato nell’immagine: non più soft e gentilizio, ma simpatico e giovanilista.
Bisogna anche ammettere che la vittoria della “reazione anti-colorista” ha diverse buone ragioni dalla sua: anzitutto a Florez e compagnia vanno riconosciuti eccellenti risultati nel Rossini comico (nel quale gli Americani non si erano altrettanto distinti); inoltre un canto più piacevole e tradizionale come il loro può spingersi oltre i confini rossiniani, verso gli orizzonti romantici dei ruoli Rubini e dell’Opéra Comique (oggi di gran moda), nei quali gli Americani - troppo aspri e irregolari proprio a causa del colorismo - non avevano espresso il loro meglio.
Semmai è nel Rossini Serio e segnatamente “napoletano” che i nuovi rossiniani rappresentano un passo indietro, un livellamento di quegli aspetti nuovi, inquietanti e grandiosi che il “colorismo” aveva rivelato.
L’incontro fra il giovane Kunde e Rubini è qualcosa di straordinario.
Nessun altro interprete novecentesco – a parere di chi scrive – è riuscito quanto lui a cogliere e valorizzare i misteri della scrittura rubiniana. Fra le volute luminose e disincarnate del suo canto, i Puritani, la Straniera, Anna Bolena, Bianca e Fernando recuperarono non solo il miraggio sublimante dell’aurora romantica, l’astrazione celestiale che a quelle parti appartiene, ma soprattutto – diretta conseguenza - una pienezza poetica rivelatrice.
Persino l’algida sobrietà dell’attore, la sua prevedibilità bionda e sostenuta contribuivano a restituire luce e incorpereità a tali personaggi, così come il melodizzare inargentato, liquido, screziato di colori pastello. E non parliamo della disumana facilità con cui si elevava nell’esosfera della vocalità maschile, su quei sopracuti impossibili che fanno tremare i grandi.
La naturalezza con cui il giovane Kunde si innalzava fra le progressioni belliniane, ne impreziosiva di rubati le pulsazioni, si arrendeva, con decoro cavalleresco, alle esaltazioni melodiche ci danno un’idea molto convincente di che effetto paradisiaco dovesse produrre Rubini sui suoi contemporanei.
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