Enrico ha scritto:A me sembra uno dei pezzi più noiosi e insopportabili di tutta la storia della musica dai tempi di Pitagora fino ad oggi (sopporto, ma solo in parte, la registrazione della Callas): vediamo se riuscite a farmi cambiare opinione...
Ehehehe... cattivissimo contro il nostro Puccini.
Caro Enry,
io non so se riuscirò a farti cambiare idea, posso solo dirti che per me questo brano - spesso malmenato da pucciniane piagnucolose, adorate da un pubblico superficiale che dice di amare Puccini e in realtà lo vuole morto - è invece molto interessante.
E' vero che (per citare Maugham, che a sua volta cita South Park) è uno dei brani più ricchi di "note marroni". Il che significa che si presta a evocare filmetti sentimentali con Yvonne Samson e Amedeo Nazzari. E' vero che a prima vista rischia di dare il diabete, specie se preso da solo (ossia sganciato dal contesto in cui è inserito): l'ideale sarebbe sentire quest'aria sempre dopo i cinque minuti che la precedeno e magari con l'aggiunta della seguenza successiva, con il coro.
Non di meno trovo che, come sempre in Puccini, si possano tentare letture più profonde, sotto la superficie del piagnisteo.
Io lo trovo degno di un trattato di psicanalisi: procede in "sezioni" (tre per l'esattezza) articolate fra loro da nessi psicologici sempre più spaventosi...
dalla scoperta della realtà (rivelata dal crollo dell'ossessione) si passa alla negazione della realtà e su un vero e proprio urlo di morte si arriva nuovamente alla realtà: alla determinazione razionale di uscirne (dalla realtà).
Nella prima "sezione" la musica di Puccini descrive una specie di indefinitezza armonica, di inocerenza statica: un limbo appunto.
Angelica è priva di quella "ossessione" mentale (il figlio) che era cresciuta in lei in sette anni di solitudine e di isolamento, che era diventata il tronco d'albero su cui appoggiarsi, che era diventata la sua ragione di vita. Il fatto che quell'albero sia stato divelto in pochi minuti, la immerge - per la prima volta in sette anni - nella realtà.
Privata della sua ossessione, che era anche il suo puntello, la donna vede la "realtà", la sua vita priva di senso, priva di prospettive, priva di tutto. Nell'armonia "limbica" di puccini è come se vacillasse, vi vagolasse dentro, a tastoni, con gli occhi sbarrati, cercando qualcosa, ma ben sapendo che non troverà un altro puntello in cui appaggiarsi.
Poi improvvisamente la musica assume una "forma": "ora che sei un agelo del Cielo".
e' come se Angelica si rendesse conto che senza la sua ossessione non può vivere.... e come fanno tutti i dissociati, quando la perde... se la inventa, la riplasma. E così si "ricrea" nella testa quella stessa immagine del bambino che, in sette anni, si era abituata a costruirsi nei minimi dettagli.
E' vero che la musica assume (in questa seconda sezione) un andamento infantile, dolciastro, ma è proprio quello che lo rende atroce: il rifiuto della realtà?
Morto... ma no! Il bambino c'è ancora; è un angelo! Anzi ora sì che mi è vicino! Quando era in vita non sapeva nemmeno chi fossi, adesso invece mi bacia, mi accarezza, mi parla... E' più vero che mai! O che bello!
Recensendo l'ultimo CD della Fleming, Tucidide ha espresso benissimo proprio quello che sto cercando di dire: in questa seconda "sezione", si dovrebbe sentire l'autodifesa psichiatrica di chi nega la realtà e se ne inventa un'altra; di chi ha talmente bisogno della propria ossessione da negare la realtà.
La Fleming (usando quei toni da mammina, toni sciocchini da coccole) coglie nel segno, salvo che poi - questa seconda sezione non è immobile: essa prevede un crescendo importantissimo, perchè conduce alla "terza" (spaventosa) tensione.
E' un crescendo di esaltazione, che sale, sale, sale fino a che Angelica, quasi senza renderseno conto, arriva alla realtà, e ci arriva con un urlo (il primo fortissimo di voce e orchestra del brano): "quando potrò mo-ri-re".
Non più frasi "edulcorate" (quando in cielo con te potrò salire, ecc...) ma la pura e semplice realtà: VOGLIO MORIRE!
Su questo grido di morte Angelica ritorna alla realtà: lo ripete, ma questa volta nella zona bassa della voce "potrò... morire".
Angelica è tornata alla realtà, e questa realtà (l'assenza bel bambino, la perdita di senso di tutta la sua vita) domina la "terza sezione" (le ultime battute).
La musica di Puccini ritorna come all'inizio, con un accompagnamente grigio e arido, armonicamente inerte.
Angelica, ora, continua a far finta di parlare col bambino, come pochi secondi prima ("dillo alla mamma"), ma in realtà è tornata sulla terra. E in quelle parole, quei sussurri, non vibra più l'esaltazione di prima... si rivolge al bambino, ma in modo meccanico, non ci crede più. E' come se quel grido di morte l'avesse fatta tornare con i piedi per terra: non è vero che il bambino è lì con lei... non c'è nessuno che la "bacia e l'accarezza".
Solo le grandi interpreti riescon a conferire a quelle ultime battute il giusto senso di gelo sgomento e determinato, di verità che ritorna, ma sussurrata a fior di labbra (invece degli sdilinquimenti lacrimolenti con i portamentoni e filatoni di tante "pucciniane doc")
Anche perché ora la realtà ha un nome: "morte". Ecco la nuova ossessione, anzi il nuovo "puntello" per continuare a vivere. La volontà di morire.
Anche nello stralunatissimo la naturale filato (occasione di tanti cantantucole per passatisti per una bella gigionata che gli "esperti" segneranno con penna rossa e blu) dovrebbe avvertirsi più che mai il grigio colore della morte.
Scusa l'entusiasmo, ma trovo che questo pezzo sia una delle prove di come Puccini, da musicista, sapesse imprimere anche ai testi più banali, significati di psicologia finissima.
Anche per questo mi sono permesso di proporvelo.
Ora pituttosto dimmi cosa ne pensi delle interpreti che ho postato io (l'invito ovviamente è estesa a tutti).
Salutoni,
Mat