Lella Cuberli & Martine Dupuy
I meno giovani come me ricorderanno certamente di quando il grande vate degli anni ottanta stabilì e decise che in mezzo ai tanti semi-dilettanti del canto resi famosi dalle famigerate multinazionali del disco, due sole (o quasi) voci femminili svettassero di gloria eterna, ed erano il soprano americano Lella Cuberli ed il mezzo-soprano marsigliese Martine Dupuy, entrambe “adottate” dal nostro in occasione di un concorso per voci rossiniane e mai più abbandonate.
Il vate, come sempre i meno giovani ricorderanno, faceva ai tempi parecchi proseliti tra i cd. cultori del canto corretto (quello che oggi trova usbergo sul corriere della Grisi) e pertanto in breve tempo il duo citato divenne una sorta di icona dei più fanatici rossiniani, quasi una sorta di manifesto della rivoluzione anti-Oscar contro lo strapotere delle major, al punto che ogni loro alternativa veniva fatta per ciò stesso bersaglio di contestazioni e di lazzi spesse volte pure preconcetti, Ricciarelli e Valentini-Terrani tra tutte ma non solo... in pratica solo l’inattaccabile magistero della storica coppia Sutherland/Horne ne andò immune, anche perché in quegli anni non cantava più o quasi quel repertorio.
Tutt’oggi le varie Ganassi, Barcellona, Bartoli et similia pagano lo scotto di osare dove loro fecero…capita vd, Callas in poi, coi “vedovi” di varia natura.
I miti del passato, anche di quello più recente, sono necessariamente destinati ogni venti o trent’anni ad una giusta rivisitazione, alle volte (ed è il caso di un Di Stefano o di un Cappuccilli o di un Pavarotti per esempio) per uscirne più valenti di prima, alle volte (ed è il caso di un Carreras o di una De Los Angeles) per uscirne un tantino ridimensionati rispetto al ricordo di allora, oppure, ed è quello che ci si augura, per confermarsi ancora saldamente miti (ed è il caso di gente come Callas, Sutherland o Kraus).
Le due signore in questione all’ascolto di oggi mostrano invece pregi e difetti che andando tanto di moda la vivisezione al microscopio delle voci sia odierne che dei tempi che furono proprio tra i loro più sfegatati fans, vale la pena di quivi riassumere per i meno giovani attraverso quello che le copiose registrazioni ci hanno lasciato.
Si trattava di due stiliste impeccabili e di due vocaliste eccelse e questo è fuori discussione e non a caso le prime edizioni ancora pionieristiche del festival di Pesaro le videro in prima fila in quel meritevole recupero della giusta rilettura del Rossini soprattutto quello serio che fu il principale evento operistico degli anni ottanta.
Personalmente mentre provai autentiche estasi uditive di fronte a quei veri e propri prodigi di agilità che sciorinava la Cuberli nel Viaggio a Reims o in uno dei suoi tanti Tancredi ove la sua compassata e come giustamente disse qualcuno canoviana celeberrima e mai più superata Amenaide surclassava quasi sempre il protagonista en travesti, fui sempre assai meno “travolto” dal parallelo fenomeno Dupuy.
Trovavo insopportabile quel timbro così arido e povero di armonici che mi faceva sempre rimpiangere in certi ruoli le screziature malinconiche di una Valentini (vd. Cenerentola o Donna del lago) ed in altri i funambolici scoppiettii multicolore di una Horne (Semiramide o Italiana in Algeri) e persino le plateali forzature tutto adrenalina di una Verrett (Assedio di Corinto), nè amavo troppo quel suo ostentato registro acuto che per mio conto volgeva spesse volte al grido.
Onestamente se oggi si prende la incisione della scaligera Donna del lago di Muti le pur valide intenzioni della stilista (celebre per le sue variazioni acute) non paiono sostenute da adeguato materiale vocale ed il suo Malcom risulta all’odierno ascolto davvero deludente per non dire brutto assai, ma anche, per restare nelle numerose registrazioni live degli anni d’oro, il suo celebrato duettone di Isabella esce oggi surclassato da quello che la strepitosa Horne incise per la Erato (io la vidi a Venezia nel 1984 con Ramey ed era una iradiddio).
Insomma quando si ascolta la Dupuy si ha sempre la impressione che ella ci mostri come si dovrebbe cantare ma che poi a farlo ci vorrebbe una…altra voce rispetto alla sua, per non parlare di quando si avventurava fuori Rossini dove davvero era poca cosa, visto che al suo Maffio Orsini bolognese io c’ero e dire che non mi colpì in un solo punto è benevolo (sentire Verrett on disco RCA pliis) e così pure metto tra i premi noia 1980 e seguenti il suo noiosissimo e reiterato Romeo dei Capuleti belliniani.
Diverso come dicevo il caso Cuberli che aveva voce neutra nel senso che non era né bella né brutta e che era soprattutto una grande signora e di grande classe con una straordinaria facilità nell' eseguire le terzine rossiniane che parevano essere state scritte per lei.
Però anche la Cuberli aveva qualche difettuccio che le impedì di passare alla storia come altre prima e dopo di lei, ed erano non tanto il volume assai ridotto della voce ma soprattutto quella clamorosa inerzia interpretativa e quella altrettanto clamorosa mancanza di differenziazione degli accenti.
I suoi recitativi (lo riconobbe anche il vate) erano “mortali”, ricordo un Lucio Silla in Scala eseguito da padreterno nei cantabili ma di noia micidiale nel resto, e come ho già detto in altra sede prendiamo la grande scena di Ermione del suo bellissimo recital Fonit Cetra. La intera scena dura, si sa, poco meno di 20 minuti dal “Essa corre al trionfo” al “se a me nemiche stelle” e onestamente i suoi primi 18 minuti richiedono una tonnellata di caffè nero forte per restare desti fino al brioso finale eseguito da padreterno, e così pure il cantabile malinconico del belliniano Bianca e Fernando “Sorgi o padre” è così monocorde che alla lunga (ed anche alla corta !) ti vien voglia di cambiare disco.
Insieme cantarono moltissimo, ma la loro Semiramide ha gli stessi difetti (e pregi) del Bianca e Falliero pesarese che fatto il giusto plauso alla correttezza di tutte le note emesse lasciò però meno soddisfatti del precedente dell’anno prima seppure meno esatto, e poi aggiungo che la Cuberli, proprio perché fu la migliore Amenaide di sempre, aveva voce del tutto inadatta (per volume, colore, accento etc.) alla regina assira che ella cantava appunto da gran signora scivolandoci sopra come se intrattenesse un salotto bene per un suo saggio di fine corso.
Anche la sua Fiorilla della edizione pesarese del Turco mostra che alla grande cantatrice si accompagnava una ben modesta interprete perché bisogna proprio non avere capito nulla del personaggio per cantare il secondo (ma anche il primo…) duetto con Ramey (pure lui serioso anziché no) come se fosse un andante austero di Handel…ma la Callas l’ha sentita la signora ? Mah…
Durarono di base un decennio, non molto per essere come diceva Celletti le migliori cantanti del mondo (il suo vituperato Domingo, a suo dire “finito” nel 1970, canta ancora….), però vanno loro riconosciuti alcuni momenti rossiniani di grande rilievo, poi la Scala scippò alla Cuberli la prevista inaugurazione del Guglielmo Tell a favore della Studer e bene avrebbe fatto a scippare anche alla Dupuy quella bruttissima Donna del lago che credo sia la sua unica incisione ufficiale che di certo non le rende giustizia, in ogni caso poco dopo sparirono abbastanza rapidamente dalla circolazione.
Brave e pure importanti ma non due cantanti storiche insomma, checchè ne abbiano detto e ne continuino a dire oggi i pochi figli e i tanti figliastri del compianto vate seppellendo di palate di non dico cosa tutte quelle che si azzardano incautamente ad eseguire Rossini dopo queste due.