da Enrico » mar 02 feb 2010, 18:20
Il primo Chénier visto in televisione negli anni '80 era con Carreras: della storia capivo solo che quei due alla fine erano stranamente contenti di andare a farsi ghigliottinare, ma Carreras pareva un personaggio interessante (prima, forse, ne ignoravo l'esistenza). Poi una selezione in cassetta con Domingo, con fascicolo allegato, testi commenti e riassunti. Si capiva meglio, ma mi annoiava: l'ho sentita una o due volte e poi mai più. Di nuovo Domingo in televisione, primi anni'90, quando almeno conoscevo qualche pezzo famoso del tenore e del baritono. In cd i primi acquisti furono l'edizione con Corelli e Tebaldi di Vienna e quella con Gigli: non ricordo se le ho mai ascoltate per intero. Tra le due preferisco quella con Gigli, circondato da tanti cantanti poi diventati famosi -perfino Taddei e la Simionato nelle piccole parti- come testimonianza di un vecchio stile verista popolare sentimentale che non si usa più ma che fa capire i motivi del successo antico dell'opera: la retorica sentimentale e patriottica ne faceva una delle opere più belle al tempo dei nonni.
Quella con la Caballè e Pavarotti è invece l'edizione che ho ascoltato tutta intera almeno due volte e senza annoiarmi: niente di speciale, direzione di Chailly ordinariamente corretta, orchestra forse un po' sacrificata rispetto alle voci (soprattutto se la confrontiamo con la registrazione più vecchia ma esageratamente stereofonica di Gavazzeni con Del Monaco, anche quella da ascoltare a pezzi ogni tanto), ma con pregi "divulgativi" notevoli: prima di tutto la dizione perfettissima di Pavarotti e Nucci (bene, si può ascoltare in macchina anche senza libretto...); poi la chiarezza complessiva del discorso musicale ma anche dell'azione: non un vero dramma recitato con passione sul palcoscenico, forse, ma una sorta di lettura come quelle che una volta si facevano alla radio dei grandi drammi con attori famosi. È vero che la Caballè forse era poco interessata a un'opera che non le permetteva troppi effetti di pura vocalità, ed è vero che Nucci, come in molte registrazioni in studio, appariva abbastanza incolore (non c'è una frase che mi ricordi per particolari intenzioni interpretative); ma Pavarotti secondo me ci credeva, con semplicità, e porgeva anche lui la sua lettura corretta, scorrevole, ben scandita, ben accentata, un po' neutra, senza sovrapporre al peronaggio troppe intenzioni complicate: nel timbro, nella pronuncia ben articolata, nello squillo degli acuti è l'unico che possa ricordare l'antico Tamagno: anche in quel caso un tenore non particolarmente amante dell'opera verista, impegnato però a pronunciare bene e sfumare anche per trovare una via interpretativa "contraltina" ma drammaticamente credibile (come sarà per esempio per Lauri-Volpi, prima di Pavarotti) prima dell'arrivo di Caruso. Nel caso di Pavarotti siamo un po' a metà: tecnica di canto italianissima e ortodossa che deriva da Caruso e da Gigli, interpretazione incentrata sulla facilità vocale e sulla pronuncia pura e semplice delle parole come per Tamagno. Pavarotti nell'Andrea Chénier è un po' come un Lauri-Volpi privo degli aspetti ottocenteschi, o come un Gigli con minore opulenza vocale e senza singhiozzi. Caruso, naturalmente, era tutto l'opposto: ma senza registrazioni complete che si può dire di più?
Se non dimentichiamo che nei tempi antichi cantava Chénier perfino un tenore considerato "di grazia" come Alessandro Bonci, possiamo vedere in Pavarotti, dopo il lungo monopolio di Corelli e Del Monaco (con la concorrenza di Tucker e di Bergonzi), o di altre voci sonore e metalliche come Barioni e Filippeschi, una possibile alternativa, negli anni'80, agli Chénier frequenti e onnipresenti di Carreras e di Domingo (affiancati da quelli di Bonisolli o di Martinucci o di Lando Bartolini): se l'esperimento non fosse rimasto limitato al disco e pochissime recite tardive, forse lo avremmo apprezzato di più anche in questo repertorio (come forse nell'Otello, se non si fosse limitato anche lì a una sorta di "prova generale" subito dimenticata). I frammenti in video delle recite al Metropolitan non sono così brutti come si dice. D'altra parte è un'opera di cui oggi si parla poco e che non si vede spesso. Le edizioni di cui ho avuto notizia o ascoltato qualcosa in anni recenti sono state quelle con Josè Cura e con Armiliato (anche lui sembra, con la Dessì, avere oggi una sorta di monopolio per certi ruoli): interessanti per alcuni aspetti, ma non memorabili. Ho varie edizioni complete in video (Del Monaco-Tebaldi a Tokyo, varie versioni con Domingo o Carreras, con o senza Caballè, il film a colori della Rai con Corelli), ma, per un motivo o per un altro, non ho mai voglia di ascoltarle per intero.
La questione Chénier diventerebbe più interessante se si degnassero di farsi vivi in quest'opera personaggi come Alagna o Villazon, o Kaufmann se mai vorrà studiare un'opera italiana: io, se potessi allestire uno Chénier, proverei a chiamare Florez (ma quello è troppo impegnato con le sue Cenerentole e Marie!). Da una parte avremmo uno Chénier poeta e vero uomo, dall'altra uno Chénier più immaturo e ragazzino. Ma bisognerebbe pensare anche al resto del cast.
Enrico B.