Fanciulla del West

opere, compositori, librettisti e il loro mondo

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Fanciulla del West

Messaggioda Luca » mer 30 mag 2007, 22:45

Un altro nome che ho udito un tempo in Ortrud, oggi fa tranquillamente Brunilde e Turandot (esiste un video) è Luana De Vol; ecco lei potrebbe essere una buona Minnie.
Chi la conosce ?

Saluti, Luca.
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Messaggioda pears » gio 31 mag 2007, 8:03

ho da poco ascoltato la Fanciulla di Sinopoli, con Bonisolli e la Dimitrova (anche lei non scherza).

ma quello che più mi colpisce di quest'opera è l'insolita dolcezza del coro maschile, quando si aggregano al canto nostalgico di Wallace... un po' come il Billy Budd... praticamente sono solo uomini e come in tutti i contesti prettamente virili (caserme, carceri ma penso anche a certi cori degli Alpini da far invidia ad un madrigale di Monteverdi) è logico che venga espressa anche una componente femminile... secondo me, Puccini è geniale nel rendere questo.
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Messaggioda pbagnoli » gio 31 mag 2007, 14:20

Il Divino Pirz è arrivato qui!...
Non ho parole per dirti quanto mi faccia felice questo messaggio da parte tua!
Grazie infinite! Spero che tu abbia voglia ogni tanto di dedicare un po' del tuo tempo a questo gruppuscolo di appassionati!
Con affetto,
Pietro
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Messaggioda MatMarazzi » lun 04 giu 2007, 17:03

pears ha scritto:ma quello che più mi colpisce di quest'opera è l'insolita dolcezza del coro maschile, quando si aggregano al canto nostalgico di Wallace... un po' come il Billy Budd... praticamente sono solo uomini e come in tutti i contesti prettamente virili (caserme, carceri ma penso anche a certi cori degli Alpini da far invidia ad un madrigale di Monteverdi) è logico che venga espressa anche una componente femminile... secondo me, Puccini è geniale nel rendere questo.


Sono perfettamente d'accordo. E oltre alla Fanciulla e al Budd citerei (visto che l'ho appena sentito a teatro) anche Da una Casa di morti di Janacek.


Matteo
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Re: Fanciulla del West

Messaggioda pbagnoli » sab 30 giu 2007, 22:28

Luca ha scritto:Un altro nome che ho udito un tempo in Ortrud, oggi fa tranquillamente Brunilde e Turandot (esiste un video) è Luana De Vol; ecco lei potrebbe essere una buona Minnie.
Chi la conosce ?

Saluti, Luca.

Per quello che conosco della DeVol, non credo proprio: sopranone di stampo wagneriano e straussiano, come potrebbe adattarsi al tipo particolarissimo di vocalità richiesto a Minnie?
A mia memoria, solo una wagneriana ha fatto questo passo: la Nilsson
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Messaggioda mR_jOHNSON » mar 03 lug 2007, 0:32

Trovo che La Fanciulla del West sia un'opera purtroppo ancora molto sottovalutata. La sua ponderata maturità, fondata su di un'orchestrazione estremamente evoluta e su di uno spiccato senso drammaturgico, non lascia alcuna ombra di dubbio al riguardo: ci troviamo di fronte ad una prova compositiva di altissimo livello. Infondate sono quindi le accuse di chi vi sottolinea una vaga povertà di contenuti musicali, un progressivo esaursi della vena melodica di Puccini. A tutti costoro si ricordino gli straordinari temi del valzer e del racconto nostalgico di Wallace...
Forse è vero che ho smarrito il sentiero della Micheltorena? :roll:
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Messaggioda MatMarazzi » mar 03 lug 2007, 11:31

mR_jOHNSON ha scritto:Infondate sono quindi le accuse di chi vi sottolinea una vaga povertà di contenuti musicali, un progressivo esaursi della vena melodica di Puccini. A tutti costoro si ricordino gli straordinari temi del valzer e del racconto nostalgico di Wallace...


Musicalmente, hai ragione, è un'opera splendida.
E anche emotivamente, occorre ammetterlo, è molto coinvolgente.
Invece teatralmente, scusa se te lo confesso, sono un po' raffreddato da tutti quegli "augh", le lezioni di catechismo e le altre bravate da Western per famiglie. So che il mio giudizio è ingiusto: nel 1910 la gente non si era ancora dovuta sciroppare la cascata di western di seria A, B, ...Z che il cinema e la tv ci hanno regalato nei cento anni successivi, e queste note di colore nell'opera pucciniana erano molto probabilmente ancora fresche e sincere...
Ma anche riconoscendo tutto questo, faccio un po' fatica a digerirle.
Comunque... ce ne fossero di più di opere così!

Vedo che hai messo come avatar la cotonatissima Tebaldona al Met.
Ne devo dedurre che è la tua Minnie preferita?

Salutoni,
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Messaggioda mR_jOHNSON » mer 04 lug 2007, 21:26

MatMarazzi ha scritto:Vedo che hai messo come avatar la cotonatissima Tebaldona al Met. Ne devo dedurre che è la tua Minnie preferita?


Credo che Renata Tebaldi sia una Minnie di assoluto riferimento, per capacità vocali ed incisività degli accenti. Qua e là si possono riscontrare dei limiti, specie nel registro acuto (ad esempio, nell'incisione DECCA con Del Monaco il "su, su, su fino alle stelle" o l'acuto del "laggiù nel Soledad"), ma complessivamente trattasi di una grande interpretazione, alla faccia di chi è solito etichettare questa cantante come "inespressiva"...

A parer mio quest'opera manca purtroppo di una rilettura discografica moderna di riferimento. L'incisione DG diretta da Metha ha in sè molti aspetti positivi, ma credo che Carol Neblett sia ancora troppo generica per essere definita "Minnie della contemporaneità" per antonomasia.
Forse è vero che ho smarrito il sentiero della Micheltorena? :roll:
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Messaggioda Luca » gio 05 lug 2007, 22:17

Torno volentieri sull'argomento di una possibile interprete di Minnie oggi: Janice Baird. Anche lei si è prodotta in Wagner e R. Strauss, ma ha cantato anche Santuzza, Giorgetta, Turandot, ecc.
Forse potrebbe essere un'idea. Chi la conosce ? Che ne pensate ?

Saluti, Luca.
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Re: Fanciulla del West

Messaggioda MatMarazzi » ven 06 lug 2007, 12:24

Luca ha scritto:Janice Baird. Anche lei si è prodotta in Wagner e R. Strauss, ma ha cantato anche Santuzza, Giorgetta, Turandot, ecc.
Forse potrebbe essere un'idea. Chi la conosce ? Che ne pensate ?


L'ho sentita solo una volta: nella Walkiria a Venezia l'anno scorso.
L'ho trovata brava, ma non è che mi ha davvero sconvolto.
Però hai ragione: una Minnie fatta da lei potrebbe essere interessante.

Quanto al problema posto da MrJohnson, quello di una lettura dell'opera attuale convincente, sono d'accordo: non è ancora stata proposta.
La stessa Neblett (che poi tanto attuale non è più) si rifaceva troppo scopertamente ai moduli western anni '50.
Temo che anche per la Fanciulla si ponga il problema del Rosenkavalier.
Come proporre quest'opera in modo che ancora possa colpire la sensibilità del pubblico odierno? Su quali temi fare leva?

Salutoni
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Messaggioda fadecas » sab 07 lug 2007, 11:10

Salve,
l’argomento per me è stimolante, per cui mi permetto di sottoporvi alcune considerazioni.
Convengo che l’aspetto più caduco di Fanciulla sia proprio la programmatica “americanità” dell’assunto esteriore dell’opera, e il bozzettismo western che, più che mai oggi – ma non solo – dopo un secolo in cui il filone è stato consacrato con ben altri risultati nella cinematografia, appare posticcio e insoddisfacente.
Però ci sono ben altri aspetti originali e moderni rispetto a Puccini e alla temperie musicale e drammaturgia del primo ‘900 che in quest’opera vengono alla luce.
Ad es., come è già stato ricordato, la raffigurazione , nuova del tutto per il nostro autore, di una comunità integralmente maschile, pure intimamente inquieta e lacerata da una strisciante nostalgia anelante ad un “altrove” – nello spazio forse più che nel tempo – e, nel contempo, e in modo strettamente connesso, alla ricerca disperata di un prototipo femminile che funga da rifugio domestico e consolatorio (madre, sposa, e casa allo stesso tempo).
Con quel che di consapevolmente e anticonformisticamente regressivo comporta in Puccini il sostanziale rifiuto dell’ideologia patriarcale e l’assunzione a cardine della propria poetica drammaturgia e musicale una sorta di maternalità – mi richiamo a un passo estremamente stimolante del libro di Luigi Baldacci “La musica italiana : Libretti d’opera dell’Ottocento”, Milano, Rizzoli, 1997, che ruota su questo tema, approdando ad un accostamento fra la concezione femminile puccinana e quella pirandelliana (la “naturalità” delle figure femminili contro la asfittica chiusura raziocinante di quelle maschili, sinonimo di negazione delle pulsioni vitali, in Sei personaggi…)

Ecco, io credo che sottolineare questo paradossale ribaltamento interno alla drammaturgia di Fanciulla, per cui quell’universo maschile che dovrebbe essere portatore di una concezione dinamica, proiettiva e affermativa è in realtà incrinato da uno Spleen che condanna questo mondo a rimanere perdente e lascia emergere vittoriosa, - ma soltanto alla fine, e dopo un lungo travagliato percorso - la voce (unica voce!) della femminilità , anche a prescindere dall’involucro dell’ambientazione americana, sarebbe un modo per vitalizzare quanto di nuovo sa dirci Puccini in Fanciulla.

Premessa indispensabile per essere coerenti con questa intepretazione, a mio parere, è spogliare anche il profilo vocale di Minnie di quell’alone “epico” – termine del tutto inappropriato per gli assunti che ho cercato di illustrare sopra – che tante interpreti hanno cercato di darle, e che ha comportato l’affidamento ad una vocalità rotonda e dispiegata, dalle emissioni d’acciaio (Nilsson, Steber e Tebaldi prima di tutte), dal fraseggio rassicurante e corposo, ed insistere sull’intimismo e la fragilità nevrotica del personaggio, come avrebbero potuto fare – e purtroppo non si sono mai accostate al ruolo! – Kabaivanska e Scotto, ad es.,
Passando in rassegna le Minnie discografiche, mi pare che Neblett e Daniels rimangano prigioniere entrambe di un prototipo troppo robusto ed aggressivo (come se Minnie dovesse competere a mimare la mascolinità del mondo in cui si trova immersa, e da cui dovrebbe invece librarsi per antitesi), e salverei qualcosa, però a livello puramente di intuizione interpretativa, purtroppo irrealizzata per mezzi vocali non adeguati, nella Minnie di Mara Zampieri. Alla fine, l’unica interprete storica che riesco a trovare coerente con quanto ho cercato di indicare è ancora oggi la Minnie della Olivero, la più suasiva e sottile nel trascolorare fra le mezze voci e le volute nevrotiche di un fraseggio smozzicato e inquieto, che sembra inventare di volta in volta la sua intonazione.
Non so quale interprete oggi potrebbe realizzare una Minnie di riferimento, forse una straussiana di intuito più moderno come la citata Baird od altre … o anche Daniela Dessì, che già ha affrontato il personaggio, se si liberasse da una pregiudiziale ancora un po’ troppo edulcorata e buonista di fronte a questo ruolo.

Grazie per l'attenzione, e saluti

Fabrizio
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Messaggioda VGobbi » sab 07 lug 2007, 13:27

La disamina di Fadecas sembra precludere, almeno per il momento, di affrontare il personaggio di Minnie sull’intimismo e la fragilità nevrotica del personaggio, come avrebbero potuto fare – e purtroppo non si sono mai accostate al ruolo! – Kabaivanska e Scotto, ad es.,. Confesso che non amo molto i quadri d'insieme, assai presenti nel primo ed ultimo atto, mentre i duetti od i momenti solistici dell'opera sbalzano a tutto tondo la modernita' di linguaggio del compositore lucchese. Se dovessi citare la mia edizione di riferimento, ritengo la Steber (il live da Firenze con Del Monaco e la direzione di Mitropoulos) pressoche' insuperabile. La facilita', la sicurezza in cui affronta l'aspra parte resta qualcosa di straordinario ed allo stesso tempo stupefacente.

Al giorno d'oggi, se proprio mi obbligassero a fare un nome, punterei sulla Herliztius. Mi sembra che abbia dimostrato di essere autoritaria e baldanzosa come Brunhilde oltre che capace di mostrare l'infelicita' coniugale nella Lady Macbeth di Shoskatovic. D'altronde Minnie non e' una sintesi, azzardata ma non troppo, tra questi due personaggi?
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Messaggioda pbagnoli » lun 09 lug 2007, 22:20

fadecas ha scritto: Convengo che l’aspetto più caduco di Fanciulla sia proprio la programmatica “americanità” dell’assunto esteriore dell’opera, e il bozzettismo western che, più che mai oggi – ma non solo – dopo un secolo in cui il filone è stato consacrato con ben altri risultati nella cinematografia, appare posticcio e insoddisfacente.


Dici, Fabrizio?
Io credo che in un momento in cui John Ford e Sam Pekhinpah erano ancora di là da venire, questo western intriso di puccinismi poteva apparire una buona sintesi. Ancora adesso, questa figura di sceriffo (Rance) duro come la roccia, cattivo, non privo di un suo senso della morale e di rispetto della Legge (vedi come amministra la giustizia con i minatori bari) mi sembra che abbia una sua forza evocativa nettamente superiore a tutti quegli sceriffi senza macchia e senza paura propinatici successivamente.

fadecas ha scritto: Ecco, io credo che sottolineare questo paradossale ribaltamento interno alla drammaturgia di Fanciulla, per cui quell’universo maschile che dovrebbe essere portatore di una concezione dinamica, proiettiva e affermativa è in realtà incrinato da uno Spleen che condanna questo mondo a rimanere perdente e lascia emergere vittoriosa, - ma soltanto alla fine, e dopo un lungo travagliato percorso - la voce (unica voce!) della femminilità , anche a prescindere dall’involucro dell’ambientazione americana, sarebbe un modo per vitalizzare quanto di nuovo sa dirci Puccini in Fanciulla.

Considerazione molto interessante, Fabrizio, e anche molto bella.
Personalmente trovo che quello che di veramente nuovo ci dice Puccini in Fanciulla sia questo curioso happy end, che di happy ha - a ben vedere - ben poco.
Cosa aspetta Minnie e Johnson?
Il duro lavoro quotidiano?
Tre o quattro figli?
Perché Puccini si nega la consueta catarsi dell'amore distrutto, come al solito, dalla morte femminile?
E' una strada che pratica per un attimo e che abbandona subito: Turandot finisce bene, è vero, ma non la finisce lui, che segue nella tomba la vera protagonista, quella che sente più vicina alla propria poetica tradizionale


fadecas ha scritto: Premessa indispensabile per essere coerenti con questa intepretazione, a mio parere, è spogliare anche il profilo vocale di Minnie di quell’alone “epico” – termine del tutto inappropriato per gli assunti che ho cercato di illustrare sopra – che tante interpreti hanno cercato di darle, e che ha comportato l’affidamento ad una vocalità rotonda e dispiegata, dalle emissioni d’acciaio (Nilsson, Steber e Tebaldi prima di tutte), dal fraseggio rassicurante e corposo, ed insistere sull’intimismo e la fragilità nevrotica del personaggio, come avrebbero potuto fare – e purtroppo non si sono mai accostate al ruolo! – Kabaivanska e Scotto

Dubito assai che Kabaivanska e Scotto sarebbero riuscite a venire a capo delle difficoltà di un ruolo così ispido. E tuttavia, Fabrizio, c'è del vero in quello che dici: la nevrosi come antidoto alla fatica del vivere quotidiano.
D'altra parte, c'è anche da sottolineare che il tardo Puccini doveva essere affascinato dall'estetica dell'urlo angosciato di fronte alla violenza del mondo: non urla forse Giorgetta la propria disperazione e il proprio anelito ad una vita diversa? Non urla forse Angelica la propria ribellione di fronte all'ennesimo sopruso? Non urla forse Turandot quando racconta al popolo di Pechino e al Principe Ignoto le proprie nevrosi?
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Messaggioda fadecas » mar 10 lug 2007, 0:15

pbagnoli ha scritto:Personalmente trovo che quello che di veramente nuovo ci dice Puccini in Fanciulla sia questo curioso happy end, che di happy ha - a ben vedere - ben poco.
Cosa aspetta Minnie e Johnson?
Il duro lavoro quotidiano?
Tre o quattro figli?
Perché Puccini si nega la consueta catarsi dell'amore distrutto, come al solito, dalla morte femminile?


Personalmente dubito che si possa mai parlare di catarsi finale, in Puccini.
Forse la differenza di Fanciulla rispetto alle altre opere sta nel fatto che mentre altrove si rappresenta direttamente il frantumarsi di un’aspirazione femminile alla felicità dell’amore, attraverso la delusione e la morte della protagonista, in Fanciulla il compositore esercita il suo “sadismo” soprattutto nei cfr. del microcosmo maschile che quella femminilità ha eretto fin dall’inizio ad oggetto del suo desiderio nostalgico, e che rimane altrettanto deluso ed inappagato dalla sua sparizione. Perché di una scomparsa irrimediabile si tratta, anche in Fanciulla, quindi di uno svanire nello spazio che costituisce il presupposto di un lutto da elaborare …
Anche se Johnson, il tenore, fortuitamente si “salva” ricongiungendosi a Minnie solo per la pretestuosità dell’intreccio, ma la sua vera presenza “vocale” dell’ultimo atto si spegne, come Rance, sulle note del Ch’ella mi creda, quindi del rimpianto e della sconfitta …
Io almeno, personalmente, non intravedo salvezza nemmeno in questo caso.

Saluti, Fabrizio
Fabrizio
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Messaggioda MatMarazzi » mer 11 lug 2007, 15:51

Caro Fabrizio,
ho letto con piacere e attenzione la tua analisi della Fanciulla pucciniana e l'ho trovata estremamente stimolante e condivisibile.
Devo però confessare che quando dalla teoria sei passato alla pratica (ossia hai suggerito le interpreti "giuste" per questo tipo di lettura) sono rimasto un poco spiazzato.

Quella "voce della femminilità" a cui aspiri a me non pare proprio potesse essere incarnata da cantanti come la Olivero, la Kabaywanska e la Scotto.
Tutte e tre, ognuna a suo modo, mi paiono rappresentare piuttosto tre diverse espressioni del più sofisticato e retorico "manierismo" melodrammatico.
La femminilità, secondo me, non esiste in nessuna di loro: solo una imitazione elaborata e sofisticata, quella sì rassicurante.

Dico questo senza alcun intento polemico: non c'è nulla di male ad essere retorici e sofisticati.
La "finzione" connaturata ad ogni forma di arte non è meno importante della volontà di imitare il reale (la mimesi).
C'è e ci sarà sempre un posto d'onore per quegli artisti che, senza inseguire una supposta Verità, giocano con gli strati di retorica e convenzioni di cui ogni forma d'arte si alimenta.

E visto che parliamo di interpretazione (perché questo fanno gli interpreti d'opera) un linguaggio retorico e manierato può essere spesso più veritiero che mai, precisamente quando descrive personaggi che, per l'appunto, vivono di finzione.
La Schwarzkopf era grande quando cantava la marescialla proprio perché finiva per scomparire dietro la maschera del suo maquillage... proprio come faceva il personaggio che descriveva.
La Gencer era grande quando cantava Maria Stuarda perché della menzogna e dell'ambiguità più sordida faceva la propria verità e persio la propria innocenza.

Allo stesso modo Magda Olivero, che si trascinava dietro, con decenni di ritardo, tutto quel mondo di sospiri borghesi e di telefoni bianchi, di verismo edulcorato e di buoni sentimenti da piccola Italia, era letteralmente grandiosa quando trasferiva tutto questo in personaggi di bagliori sinistri (Medea), fideismo terrorizzante (Madre Maria), pazzia latente (Mazeppa) o rivolta immorale (Tabarro).
La sua "ipocrisia" stilistica (volendo chiamare così quel mondo di stucchi polverosi, di carte da parati sbiadite, di filatini, legatini, vibratini che caratterizza il suo manieratissimo gusto espressivo) si faceva verità sconvolgente a contatto con questi ruoli e tanti, tanti altri.
Discorso simile io farei per la Scotto.
Il suo accento era terribilmente eloquente, vario, fantasioso. Ma sempre mi lascia la sensazione di un "atteggiarsi" altezzoso a grande artista, di un rincorrere la sfumaturina più adatta a definire sentimenti fin troppo studiati e ricercati.
Sarà per questo che la trovo mille volte più emozionante in Elena dei Vespri che in Violetta. Violetta è un personaggio sincero, immediato: non è ruolo che si possa rendere vivo compiacendosi di ricercatezze di fraseggio e e millimetriche elaborazioni coloristiche.
La duchessa Elena invece non è mai sincera, o per lo meno lo è solo nella maschera che indossa. Si nasconde dietro ai pesanti veli a lutto (riccamente adornati di pizzi nobiliari); va fiera delle proprie responsabilità civiche e patriottiche (che a conti fatti consistono nella rinascita della propria oligarghia) e sempre, quando eccita i popoli o quando amoreggia col ragazzino di umili origini, resta schiava del proprio primadonnesco modello di virtù.
Ecco che tutto il gongolare della Scotto, il suo studiatissimo agitare di veli, il suo delibare pianissimi e rubati compiacendosene con narcistica soddisfazione, diventano verità psicologica ed espressiva.
Secondo me è proprio nei ruoli "falsi" che la Scotto è più vera.
La sua Giorgetta è mille volte meglio della sua Suor Angelica.
la sua Fedora trionfava sulla sua Adriana.
La sua Madame Flora stracciava la protagonista della Voce Umana.

Quando parli di voci possenti (dalla scarsa aderenza al personaggio di Minnie per come lo descrivi) tu citi la Nilsson, e hai perfettamente ragione.
Citi la Tebaldi e, per certi versi, posso ancora darti ragione.
Ma non posso concordare sul fronte della Steber.

Intanto però occorre dire che non sempre le voci "grandi" e possenti sono poco "nevrotiche" e rassicuranti.
Proprio la prima interprete di Minnie (la Destinn) era un bell'esempio di vocalità fulminante ma anche di personalità inquieta, combattiva, passionale.
Allo stesso modo, la voce della Steber era un fuoco di femminilità e nevrosi, esaltata dalla bellezza fisica, giovane e seducente come quella di un'eroina da film anni '40.
la sua voce, nel momento d'oro (i primi anni '50) era sì sfolgorante ma non per questo tellurica: in repertorio aveva persino Kostanze del ratto dal Serraglio; non mi pare il caso della Nilsson e della Tebaldi.

Non era affatto rassicurante nè come donna, nè artista.
Il suo repertorio era una continua ricerca: poteva vivere tranquillamente sui suoi Puccini internazionali, invece fu Elsa a Bayreuth, fu la prima Marie del Wozzeck negli Usa, fu Imperatrice della Donna senz'ombra, fu la prima Vanessa di Barber.

Personalmente nella sua Minnie sento la verità febbrile e luminosa di una Maureen O'Hara.
Sento che è vera quando si batte, quando aggredisce, o quando prega e sogna a occhi aperti. Non teme ingenuità, anzi vi si lancia a capofitto.

Questa verità è merce rarissima in un ruolo come Minnie, che comunque si porta dietro un bel po' di retorica western.
E niente mi risulta più irritante di vedere altere primedonne tradizionali "giocare" a nascondersi gli assi nelle giarrettiere o scolare bicchieri di Whisky.
La Steber era americana fin nel patrimonio genetico e culturale.
Non era solo per la passione e l'inquietudine che fu una grande Minnie.
Lo fu anche, secondo me, perché credeva davvero in tutto ciò che il personaggio fa e dice.

Non arrivo a immaginare che una simile verità si sarebbe potuta trovare nelle pose bertiniane di una Kabaywanska e nel suo puccinismo molto ben educato (quello sì rassicurante).
Meno ancora penso che la si sarebbe potuta trovare nelle pose e sofisticazioni di una Scotto (come puoi trovare femminilità e umanità in una che dalla propria cameriera si faceva chiamare "la signora contessa").

Quanto alla Olivero, possiedo diverse edizioni della sua Minnie e, per quanta ammirazione mi strappi, non riesco nemmeno per un attimo a credere che in questa sobria e devota signora torinese cinquantenne, dai modi controllati, possa celarsi una "padrona di bettola e di bisca" che, nel selvaggio West, è disposta a galoppare nella notte con le pistole sguainate e i capelli al vento per salvare dal linciaggio il suo uomo.


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