Riccardo ha scritto:I dischi per me sono un mezzo meraviglioso e incredibile, ma sono altra cosa dall'ascolto in teatro. Quello può essere dato soltanto dagli artisti della propria epoca purtroppo.
Cominciamo a fare quanto promesso!
Ossia a segmentare i tanti argomenti messi sul piatto nell'ultimo lungo dibattito fra me e Riccardo, isolarli e farne un argomento di conversazione.
Partirei dal rapporto fra la "verità" dei dischi e quella del "teatro".
Un'antica tradizione (che mi pare ben rappresentata anche in questo forum, a giudicare almeno da qualche affermazione di Roberto o anche di Gianluigi) vede il disco come un surrogato (ahimè, ben poco fedele) del canto dal vivo.
Anche Riccardo incalza in questo senso: sentire a teatro non è come sentire un'incisione.
Io, al contario, vedo il problema non in termini di concorrenza, ma di diversità.
La registrazione è cosa completamente diversa dall'esecuzione a teatro.
Proprio la loro diversità non ci autorizza a farle duellare: meglio l'una o meglio l'altra?
Il canto dal vivo permette tante cose.
Il canto registrato nel permette altre.
Anche in termini di fruizione.
a teatro devi fidarti della prima impressione; nel disco puoi sentire e risentire uno stesso passaggio mille volte.
Con i ricordi di cantanti sentiti a teatro possiamo "bluffare"; con i dischi non si "bluffa".
Certe magagne (in senso fisico e atletico) il disco le risolve.
Ma dal punto di vista dell'espressione e della ricerca infinitesima del colore e dell'accento, il tecnico del suono non può aiutare...
E in studio il cantante ha modo di dire "davvero" ciò che pensa, mentre a teatro (lottando per la concentrazione, con l'orchestra fuori tempo, il collega non ispirato, il pubblico che tossisce) potrà solo avvicinarcisi.
Il teatro permette, è vero, di capire davvero volume, dinamica, atletismo, virtuosismo (tutte cose per le quali il disco è testimone ben poco attendibile), ma solo in studio il cantante potrà dar fondo alle sue risorse espressive e liberare davvero il suo pensiero.
E' vero che il disco copre molte magagne; ma ne rivela impietosamente altre. Gente che a teatro passa per essere espressivissima, in disco si scopre retorica e manierata. Gente che a teatro maschera il proprio pressapochismo musicale (dietro allo splendore di effetti facili), in disco precipita miseramente.
C'è poi un'ultima questione, ma quella di gran lunga più interessante.
Il disco richiede una tecnica diversa da quella che si richiede a teatro.
Se a teatro la proiezione del suono è importante, nel disco è inutile e anzi dannosa.
Bisognerà elaborare suoni più colorati e non necessariamente potenti e propulsivi.
Si dovrà lavorare di più di articolazione consonantica e un po' meno di vocalismo astratto.
Basta sentire la Callas (una delle prime ad avvedersene): le incisioni dal vivo della seconda metà degli anni 50 ce la presentano con un certo tipo di canto (coperto, scuro, proiettato nello spazio, a suo modo grande); le registrazioni degli stessi anni ce la mostrano quasi aperta, parlante, miniaturista dell'accento e del colore.
Inosmma, disco e teatro sono cose talmente diverse (anche se interagiscono sempre) che non so quanto abbia senso "scegliere" e metterle in competizione fra loro.
Che ne dite?
Salutoni,
Matteo