Charles Workman

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Charles Workman

Messaggioda MatMarazzi » gio 04 dic 2008, 9:53

Alle fine degli anni '90 ho scoperto questo strano tenore.
Cantò a Ferrara, con Abbado, il Così fan Tutte e il Pulcinella di Stravinsky.
Mi persuase abbastanza con Fernando, mi piacque da impazzire nel Pulcinella.

I tenori inglesi forgiati sul repertorio barocco/britteniano sembrano tutti "strani" alle nostre orecchie foderate di suoni gonfi, morbidi, vibratissimi. Ma questo Workman era strano davvero.
Persino io dovevo riconoscerlo.
L'emissione era brillante al centro, ma chiara, quasi bianca. In alto trovava scintilii da campanello, ma sempre col sospetto che il suono finisse indietro. I suoni erano altissimi di posizione e avevano qualcosa di "punk", tanto erano stralunati e lunari.
Visto che ne abbiamo parlato di recente, suonavano strani quasi come quelli di Morino.
Molti conoscenti ne erano scandalizzati (ma era gente che si scandalizzava persino di Rolfe-Johnson, quindi non faceva testo); io invece gli diedi fiducia, confermata - devo dirlo - anche dalle registrazioni gluckiane di Minkowski e altri dischi.
Continuai a difenderlo anche quando andammo a vedere la Donna del Lago a Pesaro (correva, credo, il 2001).

In quell'epoca tutti stravedevano per il giovane Florez (naturalmente anche quelli che oggi ne parlano male).
Io invece scrissi che la superiorità di Florez era essenzialmente vocale e stilistica, ma che dal punto di vista della definizione drammaturgica e dell'autorevolezza musicale il Rodrigo di Workman era più interessante.
Tra me e me, però, ho pensato che per il futuro avrebbe fatto meglio a lasciar perdere i ruoli Nozzari e Rossini in generale, cosa che ha fatto.

Diversi anni dopo l'ho risentito a Parigi nell'Affare Makropulos e, francamente, la sensazione è stata modesta. Sono così arrivato alla conclusione di aver, a suo tempo, sopravvalutato il "caso Workman", essendo rimasto più colpito più dalla stranezza dei suoni (che in generale esercita su di me un certo fascino) che dai reali meriti teatrali e musicali, valutabili solo sulla distanza.

Bene! Questo fino a ieri, quando - quasi per caso - mi sono riascoltato la registrazione radiofonica della grande scena di Rodrigo di Dhu, quella stessa di Pesaro del 2001.
E mi sono ricordato perché all'epoca avevo dato tanta fiducia a questo bizzarro vocalista del nord, tanto da considerarlo una delle maggiori realtà del nostro tempo: il suo Rodrigo a me pare strabiliante (mentre, sentito oggi, il Giacomo V di Florez non ha nulla di interessante da dire).
Difficoltà vocali in "Eccomi a voi" ci sono (ma ci sono sempre in questo brano), in compenso suoni a dir poco lunari, scarti timbrici favolosi, legato strumentale, dinamica rapinosa, espressione penetrante, gusto da vero musicista (quello che mancava a Merritt anche negli anni d'oro) ma soprattutto la sensazione di sorpresa che, in questa pagina, comunica un canto così algido e dai riflessi surreali, come se provenisse da altre galassie.
Questo era anche l'effetto che Workman faceva a livello visivo: altissimo, biondo, nordico, come scolpito nel ghiaccio (ricordo che Florez e la Devia erano schiacciati visivamente dal suo confronto; solo la Barcellona - allora ispiratissima - gli teneva testa).
Va anche detto che la registrazione radiofonica potrebbe aiutarlo molto (a teatro certi suoni - lo ricordo bene - finivano indietro e mancavano di proiezione, tanto che nel famoso terzetto ...la guerra dei do si risolse in modo imbarazzante a favore di Florez), ma dovendo giudicare da essa, mi pare di trovarmi di fronte al più singolare e suggestivo Rodrigo della discografia.

Chi conosce quella registrazione?
E in generale cosa pensate di Workman?

Salutoni,
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Re: Charles Workman

Messaggioda Tucidide » gio 04 dic 2008, 11:47

MatMarazzi ha scritto:il suo Rodrigo a me pare strabiliante (mentre, sentito oggi, il Giacomo V di Florez non ha nulla di interessante da dire).
Difficoltà vocali in "Eccomi a voi" ci sono (ma ci sono sempre in questo brano), in compenso suoni a dir poco lunari, scarti timbrici favolosi, legato strumentale, dinamica rapinosa, espressione penetrante, gusto da vero musicista (quello che mancava a Merritt anche negli anni d'oro) ma soprattutto la sensazione di sorpresa che, in questa pagina, comunica un canto così algido e dai riflessi surreali, come se provenisse da altre galassie.
Questo era anche l'effetto che Workman faceva a livello visivo: altissimo, biondo, nordico, come scolpito nel ghiaccio (ricordo che Florez e la Devia erano schiacciati visivamente dal suo confronto; solo la Barcellona - allora ispiratissima - gli teneva testa).
Va anche detto che la registrazione radiofonica potrebbe aiutarlo molto (a teatro certi suoni - lo ricordo bene - finivano indietro e mancavano di proiezione, tanto che nel famoso terzetto ...la guerra dei do si risolse in modo imbarazzante a favore di Florez), ma dovendo giudicare da essa, mi pare di trovarmi di fronte al più singolare e suggestivo Rodrigo della discografia.

Chi conosce quella registrazione?
E in generale cosa pensate di Workman?

Conosco molto bene quella registrazione de La donna del Lago, perché ascoltai la prima in diretta radio, e vidi l'ultima replica al Palafestival, ciò che costituì il mio debutto come spettatore di un'opera al ROF (l'anno precedente avevo assistito al recital di canto della Barcellona).
Florez mi entusiasmò: non l'avevo mai sentito prima d'allora, nemmeno in registrazione, e restai colpito dalla sicurezza vocale, al punto da non fare caso alla mancanza di un'interpretazione più sentita: lo scintillio dell'acuto e la buona precisione della coloratura mi fecero dimenticare per un attimo il Giacomo V di Blake, che invece adesso, a distanza di sette anni, resta solitario in cima alla mia classifica, nemmeno sfiorato da quello, ora un filino ridimensionato, di Florez.
Workman... confesso che mi lasciò interdetto.
Conoscevo il DVD dello spettacolo scaligero di Herzog, con quello strano mondo barbarico, quasi primitivo, in cui si aggirano i personaggi. Ho sempre pensato che quello spettacolo, da un puro punto di vista visivo, fosse stridente per le donne (l'algida e pura Anderson e la civile, quasi spaurita Dupuy - che però canta divinamente), ma perfetto per gli uomini: Blake, con la sua vociaccia ruvida, straordinariamente espressiva quando, come una smerigliatrice, sprizza scintille e vere e proprie scaglie sonore su "Sei già sposa? Ed è Rodrigo che dal ciel tal sorte attende?", e Merritt, diseguale nei registri, oscillante in acuto, trasandato nella musicalità e non impeccabile nel canto fiorito, ma imponente in scena, potentissimo nei suoni e vero condottiero barbaro, rozzo, pragmatico ed emanante un acre odore di sudore e fango. In assoluto, da un punto di vista interpretativo, soprattutto calato in quello spettacolo, la prova drammaturgica migliore di Merritt alle prese con un ruolo Nozzari (vocalmente no: Otello ed Ermione stanno su un altro pianeta).
Workman era l'esatto opposto, e lo si avvertiva anche in registrazione: un canto pulito quanto quello di Merritt era sporco e come maleodorante, esiguo nel volume quanto quello di Merritt si compiaceva di ostentare potenza e virulenza, gentile e delicato quanto quello di Merritt appariva sgarbato e violento. Rimasi basito! :shock: Come si poteva intendere un personaggio come Rodrigo con questi mezzi espressivi e vocali - specie avendo nelle orecchie il barbarico Merritt? Da rozzo condottiero esperto di razzie, stupri e assalti, Rodrigo di Dhu si trasformava in un candido damerino, una specie di nobiluomo che impugna le armi di malavoglia e con nostalgia dei suoi morbidi guanciali. Poi, il lato vocale, cui allora nella mia gioventù :mrgreen: attribuivo una preponderanza superiore ad adesso, fu piuttosto alterno, per non dir peggio: gli acuti erano indietro e fissi (davvero imbarazzanti i do del terzetto, specie di fronte all'esuberante Florez :roll: ), la coloratura abbastanza precisa ma assai fioca, il volume limitato, l'estensione non miracolosa: in generale la voce non presentava alcuna delle caratteristiche ideali per un ruolo Nozzari.
Eppure, eppure... avevo registrato su cassetta, sfrigolante anzi che no, tutta la diretta radio, e non riuscivo a non ascoltare ripetutamente, come rapito, la sortita di Rodrigo! :shock: Riconoscevo tutti i difetti, e quasi volevo convincermi che il mio ascolto ripetuto fosse una specie di voluptas dolendi, un voler cinicamente sentire e risentire un pessimo canto. Invece, la realtà era che trovavo una logica, un'interessante logica nel Rodrigo di Workman. Mi piaceva come cantava, quasi ipnotizzato, il cantabile "Ma dov'è colei che accende", senza indugiare su corone, senza sparare soddisfatto acuti a perdifiato, dando un senso di civiltà musicale che non trovavo non dico in Merritt, ma nemmeno in Raffanti. Poi, Workman era notevole anche per come gestiva il ritmo nella cabaletta "Se a' miei voti Amor sorride", cui Gatti dava un tempo giustissimo, perfettamente seguito dal tenore. Mancava il guappo e testosteronico, acre e soldatesco piglio di Merritt, ma c'era una pulizia formale notevole.
Ad essere onesti, però, quando vidi lo spettacolo di Ronconi (che allora m'entusiasmò ma che adesso, a distanza di anni ho un po' ridimensionato), non trovai una perfetta realizzazione scenica: senza giungere alla brutale forza barbarica di Herzog, anche Ronconi non aveva tolto da Rodrigo i caratteri di potente condottiero. E il canto di Workman, che inclinava verso un personaggio amoroso da dramma elisabettiano, tutto suggeriva meno che quello.
L'ho ascoltato anche nell'Armide di Gluck incisa per la Archiv con la direzione di Minkowski, ed il suo timbro chiaro e algido contribuisce a creare un universo di cristallo.
Non conosco altre prove di Workman.
Nel complesso... non so cosa pensare di lui... :oops: Non so se mi piaccia o no... :oops:
Ciò che ho scritto rappresenta quello che i suoi ascolti mi hanno dato. :D

P.S. Ammazza, che papiro ho scritto!!! :shock:
Scusate! :oops: :oops:
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Re: Charles Workman

Messaggioda marco » gio 04 dic 2008, 19:36

sinceramente non vi seguo molto, W. l'ho sentito più volte e mi ha lasciato volta dopo volta sempre più perplesso, nel senso che è senz'altro una voce molto strana, non solo timbricamente, ma anche come modo di articolare. di fraseggiare
la prima volta è stata a pesaro, nel Ricciardo e Zoraide (credo nel '96) dove faceva Agorante, un ruolo Nozzari, dove non posso dire che mi piacque incondizionatamente, ma rimasi colpito ad esempio dalla zona bassa della voce che allora aveva ombreggiature baritonali, e da qualche puntatura ben riuscita, inoltre sulla scena, alto e slanciato com'è, faceva la sua figura
mi sembra che tornò al ROF l'anno dopo nel Moise, ma qui già mi piacque molto meno perchè la tessitura molto elevata faceva emergere delle sonorità chiocce, stridule nel passaggio e chiare difficoltà negli acuti, inoltre il ruolo da "amoroso" com'è Amenophis direi che non collima col suo modo di fraseggiare, tanto meno col suo timbro
nel frattempo mi sembra di aver sentito anche un suo Don Ottavio a Venezia, senza infamia e senza lode, e un Tito a Parigi direi non da buttare
e veniamo alla Donna: sinceramente se devo semplificare brutalmente, potrei dire che mentre Florez, Barcellona e Devia (pur completamente fuori parte) cantavano più o meno bene la Donna del lago di Rossini, il nostro W. faceva un'altra cosa, per me erano troppe le difficoltà, sentivo un cantante che non riusciva ad eseguire le note della parte, quando capita così io faccio fatica a parlare di interpretazione
sulla registrazione non so che dire, non ce l'ho, mi sembra che su OS ci sia, ma proprio il ricordo live non mi invoglia molto
mi stavo dimenticando, ma qualche anno fa l'ho sentito anche come Idomeneo ad Ancona, devo dire non male, piuttosto autorevole, probabilmente i ruoli di re, tiranno, sovrano gli si confanno di più sia come fraseggio, sia come tessitura
lascerei perdere invece i ruoli da amoroso, come anche il Ferrando, sentito due volte, la seconda volta quasi imbarazzante
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Re: Charles Workman

Messaggioda Tucidide » gio 04 dic 2008, 21:44

In effetti, come ho detto, i problemi vocali c'erano e molto evidenti: tecnicamente, si può dire che fosse abbastanza negato per cantare Rossini, specialmente quel Rossini.
Il motivo del mio apprezzamento per lo stile (direi quasi l'idea di stile) con cui affrontò Rodrigo fu probabilmente dovuto al fortissimo stridore che avvertivo rispetto all'interpretazione di Merritt: mi sembrò davvero un altro pianeta, quasi due personaggi differenti. Di sicuro, come ho detto, non posso dire che fosse perfettamente realizzato, e nemmeno molto credibile per come si inseriva nell'allestimento, ma nel complesso offrì quanto meno un'idea diversa del personaggio.
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Re: Charles Workman

Messaggioda MatMarazzi » gio 04 dic 2008, 23:51

marco ha scritto:sinceramente non vi seguo molto,


Non so Marco a chi ti riferisci con quel "vi" (considerato che io e Tuc abbiamo detto cose molto diverse) :wink: , ma a me pare che non ci sia affatto incongruenza fra le tue osservazioni e le mie, anche considerando la severità del tuo giudizio sul suo Rodrigo...
Mi pare anzi che io e te la pensiamo in modo assai simile su pregi e difetti di Workman. A essere sincero faccio più fatica io a seguire l'amico Tuc nelle sue considerazioni! :wink:

Intanto voglio rimarcare che anche tu, come me, riscontri in Workman una natura interpretativa predisposta all'autorevolezza, assai più che al sentimento o alla fragilità.
Anche tu, come me, lo ritieni vocato a personaggi alteri e regali, magari baroccheggianti.
Anche tu, soprattutto, denunci la sua scarsa propensione verso i sospiri dell'amoroso.

E colgo l'occasione per rispondere anche a Tuc.
Ormai sono arrivato alla conclusione che io e te sentiamo cose diverse :)
Io infatti - essendo stato presente sia alla Scala, sia a Pesaro - non pensavo proprio che si potesse osare un confronto, in termini drammatici, tra Workman e il Merritt della Scala, che a me pare semplicemente comico scenicamente, timido e maldestro come il Ciccio di Nonna Papera, e per giunta - lui sì - talmente devastato vocalmente da imbarazzare l'ascoltatore (per parlare del suo Rodrigo credo sarebbe meglio rifarsi al live parigino di sei anni prima, evitando quel miserabile mucchietto di strilla esibito alla Scala).
Come si è detto varie volte, il mondo è bello proprio per la sua plurivocità. :D

Tornando a Marco, tutte le tue osservazioni su Workman sono da me pienamente condivise.
Sono anche io d'accordo sul fatto che nel Mozart serio destasse meno sconcerto (non sarà perché in quei ruoli siamo da tempo abituati all'egemonia britannica?).
Concordo inoltre sui limiti da te individuati in rapporto alle peculiarità della sua tecnica, specialmente per i personaggi sentimentali, in cui quelle fissità opalescenti e a-sessuate non possono convincere.
Condivido in pieno anche la tua accusa di incapacità di sostenere tessiture altissime (ho anche io insistito sul fatto che quegli acuti cristallini e siderali - se tenuti troppo a lungo - finivano indietro). Personalmente non ci vedo nulla di strano che a fronte di un ruolo Nourrit come Amenophi, Workman possa aver mostrato la corda: mi stupisco che qualcuno ve lo abbia scritturato.
Ammetterai infatti che i ruoli Nozzari hanno ben poco in comune con quelli Nourrit: questi sono tutti organicamente alti; mentre quelli sono baritonaleggianti, sia pure con improvvisi schianti all'acuto (che certamente Nozzari risolveva in falsetto).

L'unico elemento di pieno disaccordo fra noi è, al momento, la tua drastica censura del Rodrigo pesarese, che invece a me continua a sembrare una delle migliori performance del tenore britannico, pur non discutendo le caratteristiche da te evidenziate.

In primo luogo io non sento affatto tutto questo "disastro" vocale.
Sento, è vero, suoni molto diversi da quelli che siamo soliti associare a questo repertorio.
Ma, mi chiedo (una volta superata la sorpresa), è davvero così grave?
Infatti, pur con questi suoni, Workman non solo fa fronte a tutte le note della parte (a differenza ad esempio di Dano Raffanti), non solo sfida e risolve - sia pure a modo suo - i più spericolati virtuosismi, ma lo fa approdando a un personaggio di sorprendente vigore, originalità e magnetismo.
Sembra di stare in un film di fantascienza, con Workman nelle vesti di un imperatore di altri mondi, algido e cibernetico, sceso dalla sua astronave con quei suoni pallidi e fosforescenti, quelle graffianti contrapposizioni di registri (oscuratissimo in basso, perlaceo e tintinnante in alto), quei legati senza l'ombra di un portamento, con le note tutte staccate e differenziate come di un computer.
Gli altri interpreti quella sera (come tu scrivi e come pure io avevo scritto) con le loro emissioni più latine, convenzionali e rassicuranti sembravano, al suo cospetto, gli esponenti di un'umanità più calda certo, più confortante, ma anche più fragile e prevedibile! :)
Se mai ci fu un'incongruenza in quell'allestimento è nel fatto che invece di un monarca contro un ribelle, ci siamo ritrovati (a parti scambiate) un monarca contro un valletto.

Davvero, Marco.
Prova a riascoltarlo, visto che è su OS. Sono convinto che - passata l'acqua sotto i ponti - sorprenderà anche te, come ha sorpreso me.

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Re: Charles Workman

Messaggioda Tucidide » ven 05 dic 2008, 0:51

MatMarazzi ha scritto:Io infatti - essendo stato presente sia alla Scala, sia a Pesaro - non pensavo proprio che si potesse osare un confronto, in termini drammatici, tra Workman e il Merritt della Scala, che a me pare semplicemente comico scenicamente, timido e maldestro come il Ciccio di Nonna Papera, e per giunta - lui sì - talmente devastato vocalmente da imbarazzare l'ascoltatore (per parlare del suo Rodrigo credo sarebbe meglio rifarsi al live parigino di sei anni prima, evitando quel miserabile mucchietto di strilla esibito alla Scala).

Sicuramente il Merritt della Scala è messo male, vocalmente, e a Parigi è molto meglio, ma trovo ammirevole il fatto che si butti nella mischia con vigore, fregandosene delle condizioni vocali. Sentilo quando attacca "Eccomi a voi": suono oscillante e spintissimo, ma attaccato con spavalderia, proprio con brutalità. O quando nel cantabile "Ma dov'è colei che accende" allarga, sbraga il suono in basso, a simulare una sensualità che si capisce molto più di basso ventre che di cuore. O quando si butta con vigore nella cabaletta, scagliando le colorature con una violenza assai poco belcantista. O ancora, quando si getta nella sfida dei do nel terzetto, lanciando suoni laceranti, ma inseriti in un contesto ed una linea "barbarica".
Lo so: non è Rossini, non è belcanto, non è stile, non è vocalismo. Raffanti, ma soprattutto il Merritt di qualche anno prima è meglio (fra l'altro non è molto diversa la visione del personaggio nemmeno a Parigi). Però, quello spettacolo da pugno nello stomaco di Herzog, con quegli uccellacci come copricapi, quelle scene da Conan il Barbaro, è di per sé molto diverso dalla calma e lunare compostezza che ispirano la Anderson e la Dupuy. Riesce invece, a mio avviso, a riassorbire alcuni (non tutti, intendiamoci) dei problemi di Merritt. Un po' come la regia di Abbado ha reso un ottimo servizio al Pirro di Kunde di quest'estate a Pesaro.

Ormai sono arrivato alla conclusione che io e te sentiamo cose diverse
Come si è detto varie volte, il mondo è bello proprio per la sua plurivocità.

Ti stupisci? :) Io no.
Non sono certo io a credere che i linguaggi espressivi siano decodificabili in modo univoco. :wink:

Saluti :D
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