Placido Domingo: il tenore "virilmente" gentile
In questi giorni sarà di scena alla Scala di Milano (seppur nella poco conosciuta opera “Il Cyrano”) un protagonista assoluto degli ultimi 50 anni di opera lirica.
Mi riferisco al celeberrimo tenore Placido Domingo, artista immenso di cui si ignora la vera età e fors'anche la provenienza, ma non certo l'assoluto valore artistico che ne ha fatto, per certi aspetti, il più importante e completo tenore del dopoguerra.
La notte dei tempi della leggenda lo vuole cresciuto in terra messicana al seguito di genitori professionisti di zarzuela (la canzone popolare spagnola per intenderci) e quindi precoce talento lirico nientemeno che in Israele, ma è a Dallas, e precisamente nel ruolo verdiano dell'amoroso Alfredo di Traviata, che possiamo collocare, pensate nel lontano 1961, il suo debutto internazionale foriero di quella che poi sarà una carriera con ben pochi paragoni per qualità e quantità. Già a riprova di una certa quale “universalità” tenorile non costringibile negli odierni e limitanti parametri tenorili, il giovane Domingo alterna nei primi anni tessiture più leggere e di grazia tipo Nadir da Pescatori di Perle, Edgardo di Lucia o anche Rodolfo da Bohème a quelle ben più spinte di Mario da Tosca e di Sansone da Sansone e Dalila, ma sarà a New York nel 1965 con la tutt'altro che facile parte di Pinkerton in Madama Butterfly di Puccini che il nostro otterrà fama e successo planetario, tanto che sarà proprio lui ad inaugurare la stagione 1968 del MET con la parte di Maurizio in una spettacolare edizione di Adriana Lecouvrer di Cilea.
Ma l'autore che a mio parere più di altri ne esalterà le straordinarie caratteristiche vocali rimane in ogni caso Verdi e sarà proprio il massimo operista italico ad essere sapientemente utilizzato per conquistare, dopo l'America, anche il molto ambito suolo nostrano, e così nel 1969 troviamo Placido Domingo dapprima protagonista alla Arena di Verona di un memorabile Don Carlos con Montserrat Caballé e quindi nella apertura di stagione della Scala di Milano con Ernani, ruolo che riprenderà tanti anni dopo in occasione della inaugurazione 1982 con Muti.
La invero eccezionale fonogenia di una voce tenorile finalmente corposa e suadente come la cavata di un violoncello soprattutto nei centri, unita ad un fascinosissimo fraseggio intenso ed appunto “virilmente gentile”, gli apriranno anni di sostanziale monopolio discografico al punto che, eccettuato il feudo Decca di Pavarottti, fino all'avvento del ciclone Carreras, non passava mese senza la ennesima uscita discografica di Placido Domingo, che sia per la RCA che per la EMI ebbe modo di costituire nei primi anni settanta con la spagnola Montserrat Caballé una sorta di “sposalizio vocale” equiparabile a quello glorioso degli anni cinquanta tra Callas e Di Stefano o Tebaldi e Del Monaco.
Nel 1971 vi sarà il debutto al Covent Garden di Londra, nel 1974 al Palais Garnier di Parigi, nel 1975 a Salisburgo fino allo storico debutto del 1976 ad Amburgo in Otello di Verdi, ovvero in quello che diventerà il suo ruolo per antonomasia.
Sull'Otello di Domingo, per mio conto semplicemente sensazionale dalla prima nota all'ultima e privo di paragoni non certo successivi ma intendo passati, si sono scritti fiumi di inchiostro perchè sulla scia della pubblica invettiva di Lauri Volpi (straordinario tenore ante-Callas) si ritenne da parte di alcuni che la voce naturalmente lirica e morbida di Domingo non assolvesse agli strali furenti del moro geloso, un pò forse confondendo la complessa e bellissima parte di Otello con la sola entrata dell'Esultate, ed un pò anche avendo nelle orecchie il solo precedente di Del Monaco che prima di Domingo pareva costituire l'unico approccio possibile al ruolo. Il tempo fece giustizia e l'Otello di Domingo da tempo è considerato da quasi tutti un capolavoro tanto quanto la Norma della Callas o la Bohème di Freni e Pavarotti, ma la straordinaria versatilità del tenore, da parecchio tempo pure apprezzato direttore di orchestra a riprova di una musicalità straordinaria e a tutto campo, non si fermò certo ad Otello ma si spinse negli anni successivi anche a Wagner, autore solitamente evitato della voci latine.
Ovviamente e manco a dirlo trattandosi di un fuoriclasse di levatura storica fu un Wagner a suo modo sensazionale ed unico, sempre cantato e mai declamato.
Una indubitabile avvenenza scenica unita ad una notevole predisposizione attoriale (in questo non si può paragonare in alcun modo Domingo agli altri due tenori del celebre trio) rendeva imperdibile ogni sua rappresentazione on stage anche perchè la incredibile generosità del suo canto era pari solo alla incredibile robustezza di questa specie di fenomeno in grado di saltare da una parte all'altra del mondo per alternare Fanciulla del west a Gioconda oppure Vespri siciliani a Manon Lescaut.
Fu quindi immediatamente ingaggiato anche dai cineasti che non capirono come in realtà la grande arte di Domingo non potesse in alcun modo essere ripresa coi piani del cinema e così un attore superbo della Scala si trasformava in una patata lessa di certe Traviate zeffirelliane o Carmen Rosiche....
Ma io ho avuto la fortuna di vederlo più volte in Scala ed è stata esperienza memorabile, Con lui ho cominciato nel citato Ernani e ricordo che il suo successivo Calaf della Turandot del debutto della Dimitrova stette, nelle due sole sere che si tenne, di paro a quella folgore di Principessa, anche se fu con la terza inaugurazione consecutiva del 1984, nella Carmen di Abbado, che trovai il miglior Domingo in assoluto al punto che il quasi immediato confronto con l'alternato Don Josè di Carreras fu spietato a favore del più anziano tenore, troppi colori e troppi accenti misti di disperazione e di voluttà rispetto ad una voce molto bella ma tutta e sempre identicamente sfogata.
Concludo ricordando che tra le centinaia di ruoli affrontati (nessun tenore può sfoggiare la medesima estensione di repertorio) i vertici più assoluti a mio parere raggiunti sono stati De Grieux, Don Josè, Otello, Don Carlos ed Arrigo dei Vespri (straordinario) e Canio, e mi spiace che proprio Domingo costituisca tutt'oggi il più clamoroso abbaglio del mitico Rodolfo Celletti (ma come ha potuto ?) che solitamente di voci ne capiva.
Il fatto che oggi canti ancora e dopo quel mostruoso repertorio è la migliore delle prove che affermare ai tempi che si sarebbe trattato di tenore dalla tecnica poco robusta era pura eresia.
A cavallo tra gli anni settanta ed ottanta i fortunati spettatori del MET ebbero modo di assistere ad una incredibile messe di spettacoli irripetibili grazie a quel duo di autentici fuoriclasse che rispondevano al nome di Renata Scotto e Placido Domingo e grazie al cielo molti DVD video consentiranno anche ai posteri di capire cosa può diventare la lirica quando non solo cantata...
Chi non lo ha mai sentito si precipiti alla Scala, di un tenore così, garantito, ne nasce forse uno ogni cento anni, giacchè se Pavarotti aveva una voce di natura lirica sublime, Domingo ha un talento artistico universale che trova quale unico paragone lirico quello di....Maria Callas.