Andris Nelsons e i Bostonians alla Scala
Inviato: mer 02 set 2015, 14:18
Esistono orchestre che sono indissolubilmente legate alla città che li ospita e che rappresentano, per civiltà musicale, per repertorio, per formazione, per apertura o chiusura al nuovo che li circonda: i Wiener ne sono un esempio preclaro.
Poche orchestre però lo sono come la Boston Symphony Orchestra: si può arrivare a dire che ritroviamo Boston nella BSO e ritroviamo la BSo nella città di Boston tanto è inossidabile il legame che li contraddistingue e identifica.
La modernità antica della città, l'europeità americana, l'americanità europea, il guardare sempre avanti non dimenticandosi mai di voltarsi indietro, il bagliore dello skyline che si scioglie nel verde dei prati, il profumo delle vecchie navi che approdarono nello Shawmut, l'amore per la cultura ed il sapere, i suoi due mondi, quello invernale e quello estivo.
Boston è così e così sono i suoi Bostonians.
Modernissimi ma dal suono antico, potenti ma morbidi come solo un'orchestra europea sa essere, ricchi di colori e tradizioni ma duttili come solo un'orchestra americana può essere.
Come la città che ci ricorda Chicago ma improvvisamente anche Londra e i prati di Arundel, i Bostonians ci portano alla mente la incontenibile potenza della CSO, ammorbidita dai suoni di Dresda o della London Symphony.
Insomma una orchestra per certi versi unica che regala momenti magici ad ogni ascolto.
Non fa eccezione il concerto di ieri sera alla Scala, sotto la guida del direttore musicale della BSO, il lettone Nelson: in programma la sesta di Mahler.
Dalle prime note il suono pulito, nitidissimo, scandito di Nelsons riempie la sala del piermarini. L'interpretazione è chiarissima: la sesta è un blocco unico, una immensa massa sonora che inarrestabilmente corre verso l'ultimo movimento in minore, unicum nel panorama sinfonico mahleriano.
All'interno di questa monumentale visione colpiscono le delicatezze dolcissime che Nelsons cerca e trova in microframmenti musicali, IN ogni movimento. Piccole frasi, respiri, sottolineature che non fermano mai il fiume che scorre verso il mare. Colpisce la chiarezza di queste sottilineature e soprattutto il perfetto inserimento in una visione complessiva. Non sono momenti messi "in vetrina" ma piccole raffinatezze, piccoli bagliori di suono e di luce.
Si sente in Nelsons la grande ammirazione per gli ottoni da cui proviene, che sono sempre messi in luce con una evidenza strana, quasi inquietante. Lampi di luce ma anche funebri presagi.
Per una visione così potente e al contempo virtuosistica ci vuole una orchestra a dir poco eccezionale e dei Bostonians ho già detto. Nelsons li sfrutta al massimo delle potenzialità. E il risultato non può essere altro che puro godimento fisico e sonoro. Pubblico letteralmente "scalpitante".
Personalmente il "concerto" tra i concerti che continua sulla strada di casa, ricordando melodie, frammenti, colori, profumi di una notte bostoniana indimenticabile.
Poche orchestre però lo sono come la Boston Symphony Orchestra: si può arrivare a dire che ritroviamo Boston nella BSO e ritroviamo la BSo nella città di Boston tanto è inossidabile il legame che li contraddistingue e identifica.
La modernità antica della città, l'europeità americana, l'americanità europea, il guardare sempre avanti non dimenticandosi mai di voltarsi indietro, il bagliore dello skyline che si scioglie nel verde dei prati, il profumo delle vecchie navi che approdarono nello Shawmut, l'amore per la cultura ed il sapere, i suoi due mondi, quello invernale e quello estivo.
Boston è così e così sono i suoi Bostonians.
Modernissimi ma dal suono antico, potenti ma morbidi come solo un'orchestra europea sa essere, ricchi di colori e tradizioni ma duttili come solo un'orchestra americana può essere.
Come la città che ci ricorda Chicago ma improvvisamente anche Londra e i prati di Arundel, i Bostonians ci portano alla mente la incontenibile potenza della CSO, ammorbidita dai suoni di Dresda o della London Symphony.
Insomma una orchestra per certi versi unica che regala momenti magici ad ogni ascolto.
Non fa eccezione il concerto di ieri sera alla Scala, sotto la guida del direttore musicale della BSO, il lettone Nelson: in programma la sesta di Mahler.
Dalle prime note il suono pulito, nitidissimo, scandito di Nelsons riempie la sala del piermarini. L'interpretazione è chiarissima: la sesta è un blocco unico, una immensa massa sonora che inarrestabilmente corre verso l'ultimo movimento in minore, unicum nel panorama sinfonico mahleriano.
All'interno di questa monumentale visione colpiscono le delicatezze dolcissime che Nelsons cerca e trova in microframmenti musicali, IN ogni movimento. Piccole frasi, respiri, sottolineature che non fermano mai il fiume che scorre verso il mare. Colpisce la chiarezza di queste sottilineature e soprattutto il perfetto inserimento in una visione complessiva. Non sono momenti messi "in vetrina" ma piccole raffinatezze, piccoli bagliori di suono e di luce.
Si sente in Nelsons la grande ammirazione per gli ottoni da cui proviene, che sono sempre messi in luce con una evidenza strana, quasi inquietante. Lampi di luce ma anche funebri presagi.
Per una visione così potente e al contempo virtuosistica ci vuole una orchestra a dir poco eccezionale e dei Bostonians ho già detto. Nelsons li sfrutta al massimo delle potenzialità. E il risultato non può essere altro che puro godimento fisico e sonoro. Pubblico letteralmente "scalpitante".
Personalmente il "concerto" tra i concerti che continua sulla strada di casa, ricordando melodie, frammenti, colori, profumi di una notte bostoniana indimenticabile.