Harding e Filarmonica Scala, proprio il minimo!
Inviato: mar 27 gen 2015, 12:08
Per la stagione sinfonica della Scala, a cavallo del penultimo weekend di gennaio, ecco un programmino al minimo sindacale di un’ora e trentacinque minuti intervallo compreso, compitato con puntualità ma senz’anima. Copia-incolla di brani noti all'orchestra e mille volte suonati, con il vantaggio di ridurre prove e studio che è lo scopo primo nella compilazione dei programmi della Filarmonica della Scala, specie in questa sempre posticcia stagione sinfonica del teatro.
Il meglio arriva, tutto sommato, da Beethoven e dal suo concerto "Imperatore": Buchbinder, chioma cotonata alla Ludwig Van, ce ne dà una piacevole, non di più e non di meno, versione biedermeier-roccocò, tutta delicati “perlage” e indugi (troppi), avvolta in un suonino grazioso, che è gradevole ma metà di quello che ricordavamo. Harding dialoga con la nota intelligenza e molti particolari di concertazione che in genere sfuggono, al netto di un suono un po’ secco e tirato. L’orchestra risponde precisa, al netto di una veniale sortita fuori tempo della tromba nel finale del primo movimento. I corni escono indenni dalle numerose insidie. Un Imperatorino carino, formato-mini, per signorine di buona famiglia. L’Imperatore Piccole Donne.
Piuttosto stucchevole la seconda parte. Harding, con gesto molto “abbadiano” (ma a 40 anni è ora di abbandonare il modello, oltretutto l’ottimo Daniel non ne ha bisogno, abbonda in originalità personale), ci offre della suite dal Mandarino di Bartok una lettura capziosa, fin troppo attenta ai particolari (tutti i glissandini e gli effetti orchestrali esibiti uno per uno) a scapito della forza d’urto di questa musica, è bello il gioco dei ritmi sghembi, c’è il dettaglio ma manca il fuoco, sostituito da alcuni “fortissimo” non molto gradevoli in cui il suono dell’orchestra tende ad “andare insieme”, un poco impastato, melmoso e confuso. Lettura buona, non trascinante. Finalino di serata appiccicato con la cocoina per arrivare al minimo sindacale: la Danza dei Sette Veli (che fu parte del clamoroso successo di Harding nella stupenda Salome firmata con Bondy e la Michael favolosa protagonista) è allentata fino all’impossibile nei tempi, anche qui il profluvio di rubato e glissando ingenera un senso di capzioso, bei particolari ma l’insieme si perde nei dettagli e affiora, insidiosa, la noia che ha connotato per intero questa serata scaligera un po’ “così”.
Ci aspettiamo di più e di meglio, dall’ottimo Harding: quanto alla Filarmonica della Scala, basti dire che venerdì 30 e domenica 1 febbraio, all’Auditorium, la miglior orchestra sinfonica attiva a Milano, la Verdi, proporrà un programma-Richard Strauss (e non solo: Goldmark, Hindemith) di ben altro spessore ed impegno, come fa tutte le settimane, provando e studiando senza interruzione. Bisognerebbe tener conto dei meriti, quando poi si danno i finanziamenti statali…
marco vizzardelli
Il meglio arriva, tutto sommato, da Beethoven e dal suo concerto "Imperatore": Buchbinder, chioma cotonata alla Ludwig Van, ce ne dà una piacevole, non di più e non di meno, versione biedermeier-roccocò, tutta delicati “perlage” e indugi (troppi), avvolta in un suonino grazioso, che è gradevole ma metà di quello che ricordavamo. Harding dialoga con la nota intelligenza e molti particolari di concertazione che in genere sfuggono, al netto di un suono un po’ secco e tirato. L’orchestra risponde precisa, al netto di una veniale sortita fuori tempo della tromba nel finale del primo movimento. I corni escono indenni dalle numerose insidie. Un Imperatorino carino, formato-mini, per signorine di buona famiglia. L’Imperatore Piccole Donne.
Piuttosto stucchevole la seconda parte. Harding, con gesto molto “abbadiano” (ma a 40 anni è ora di abbandonare il modello, oltretutto l’ottimo Daniel non ne ha bisogno, abbonda in originalità personale), ci offre della suite dal Mandarino di Bartok una lettura capziosa, fin troppo attenta ai particolari (tutti i glissandini e gli effetti orchestrali esibiti uno per uno) a scapito della forza d’urto di questa musica, è bello il gioco dei ritmi sghembi, c’è il dettaglio ma manca il fuoco, sostituito da alcuni “fortissimo” non molto gradevoli in cui il suono dell’orchestra tende ad “andare insieme”, un poco impastato, melmoso e confuso. Lettura buona, non trascinante. Finalino di serata appiccicato con la cocoina per arrivare al minimo sindacale: la Danza dei Sette Veli (che fu parte del clamoroso successo di Harding nella stupenda Salome firmata con Bondy e la Michael favolosa protagonista) è allentata fino all’impossibile nei tempi, anche qui il profluvio di rubato e glissando ingenera un senso di capzioso, bei particolari ma l’insieme si perde nei dettagli e affiora, insidiosa, la noia che ha connotato per intero questa serata scaligera un po’ “così”.
Ci aspettiamo di più e di meglio, dall’ottimo Harding: quanto alla Filarmonica della Scala, basti dire che venerdì 30 e domenica 1 febbraio, all’Auditorium, la miglior orchestra sinfonica attiva a Milano, la Verdi, proporrà un programma-Richard Strauss (e non solo: Goldmark, Hindemith) di ben altro spessore ed impegno, come fa tutte le settimane, provando e studiando senza interruzione. Bisognerebbe tener conto dei meriti, quando poi si danno i finanziamenti statali…
marco vizzardelli