Avevo già ascoltato da Gatti, con la Gustav Mahler, la suite del Cavaliere della Rosa, ma quel che ha realizzato alla Scala, lunedì sera nell'annuale concerto per il FAI, con la National de France, ne testimonia il continuo approfondimento della lettura, e uno stato di grazia dell’interprete e dell’uomo Daniele Gatti tale da donarci un esito di stupefatta e stupefacente bellezza, di incandescente e allo stesso tempo struggente lirismo, di sublimazione del suono e del tempo. L’attacco stesso (che è poi l’inizio dell’opera) ne era spia, eseguito con un vertiginoso rubato… che è già valzer, ed è “tempo sospeso”, un senso di sospensione temporale che Gatti, meravigliosamente seguito dai suoi francesi, manterrà per l’intera suite. Ne verrà investito, in particolare, il lungo episodio del terzetto finale: rarefazione sonora e dilatazione lirica – in tempo sospeso – che è commozione dell’anima davanti al tempo che sfugge, alla giovinezza che va: all’amore che ci è dato di vivere, finchè vita – così breve, così eterna e sfuggente, come l’amore umano – ci è data. Ma, così ha voluto Strauss in questa suite-ricordo del suo capolavoro, in un rullo di tamburi, la malinconia e lo struggimento si annullano nell’ultimo stacco - imperioso, rustico, sorridente – del valzer di Ochs, cadenzato da Gatti in maniera da levare letteralmente il fiato. Fenomenale!!!! Per favore, Maestro, a presto l’intera opera! (intanto, nel 2016, con la National a Parigi, Gatti ha in programma Tristano e Isotta, annunciava il programma di sala).
Il favoloso esito del Cavaliere era stato preannunciato da quello, altrettanto felice, del Don Juan, lontanissimo dalle esibizioni di puro virtuosismo direttoriale cui molto direttori ne riducono la tematica. L’attacco di Gatti, in sforzando, ha invece un senso del dramma del personaggio che investirà (anche qui, con tutto il lirismo della parte centrale) l’intera lettura del dramma. Vita e morte di un eroe che si ricollegano, in qualche modo (ed è qui che il programma era stupendo) a vita e morte, differenti nel linguaggio ma non così tanto nella tematica, di un altro eroe, il Petrouchka di Stravinskij, che Gatti – qui a pieno servizio ed esaltazione delle caratteristiche idiomatiche della sua orchestra – ha letto ricordandone, giustamente, la destinazione “francese”: per cui, sì, c’erano le geometrie, la ritmica sghemba, ma come stemperate in fraseggio e suono di stampo assolutamente “francese”.
E anche, qui, come in tutto il concerto, c’è una sorta di meditazione in musica sullo scorrere e lo sfuggire del tempo e della vita, che si imprime nell’animo dell’ascoltatore, cui è lasciata in dono. Concerto memorabile di un direttore sempre più grande e profondo nello scavo della musica, colto qui nell’evidente stato di grazia che coincide con la nuova nomina ottenuta ad Amsterdam, dove il suo nuovo cammino comincerà a fine novembre, con la “sua” Sesta di Mahler (composizione che, da Bologna in poi, ha scandito tutta la carriera di Daniele Gatti).
Direttore, e concerto, straordinario in un tutt’uno fra Gatti e le caratteristiche della National de France, fin nel bis: la sinuosità “francese” della frase con la quale il direttore dà vita, al Preludio 3 dei Maestri Cantori. Glielo avevamo sentito eseguire con orchestre di impostazione “tedesca” e Gatti, da grandissimo direttore, lo esegue ogni volta adattandone scansione e fraseggio allo stile dell’orchestra che ha davanti a sé.
marco vizzardelli