... e chiudono con un travolgente Ciaikovsky
Inviato: ven 13 giu 2014, 4:12
La cronaca che vi faccio, volta per volta, è l'espressione della gioia vera di assistere - concerti e opere in successione - alla crescita di un giovane (non giovanissimo: 38 anni, perché la vita di ognuno è particolare e lui è approdato alla direzione dal ruolo di solista e anche dalla frequentazione di complessi di paese) direttore. Niente è più appagante, per un ascoltatore appassionato, del seguito di un cammino artistico di alto livello quale quello che sta percorrendo - con l'Orchestra Verdi e non solo, in diversi teatri - Jader Bignamini. L'attualità, l'attuale punto d'arrivo della straordinaria tradizione direttoriale italiana.
Ciaikovsky è, dalla fondazione e per merito di Vladimir Delman, nel DNA dell'Orchestra Verdi, forse più che qualunque altro autore. La Verdi è testimone storica, e attuale, di una concezione di "suonar Ciaikovsky" lasciatale in eredità dal favoloso Delman, che vedeva nel compositore prediletto "il Mozart russo". Di qui, accanto alle accensioni tragiche o liriche (e cosa non erano, le accensioni e il senso tragico di Delman in Ciaikovsky!!) non mancava mai l'elegante levità di suono e un rubato vertiginoso. Due doti in base alle quali, oggi, Jader Bignamini ha reso entusiasmante e memorabile la sua lettura della Quinta sinfonia di Ciaikovsky.
Rubato, ovvero, capacità di muovere la frase fino alla vertigine. E bellezza di suono (la luminostà ormai nota dell'orchestra "di" Bignamini). Tutto questo è stato rivestito dal direttore cremonese di un virtuosismo pazzesco (l'orchestra bloccata in un nanosecondo, e i cambi di ritmo eseguiti vertiginosamente senza mai perdere l'aplomb, culmine di questo tutto il finale) ma mai e poi mai fine a se stesso e sempre e sempre volto a fini espressivi. La tragedia e la gioia si sono unite (in entrambe le introduzioni a primo - fantastici i primi tre minuti della sinfonia - e secondo movimento) ad una vena più raccolta e meditativa. Nessun aspetto è stato tralasciato, dalla prima all'ultima nota: significativa la scelta di Bignamini di non concludere con gli accordi "sparati", da virtuoso, ma - come Temirkanov, come Celibidache, grandissimi "lettori" della sinfonia in mi minore - con la chiusa cadenzata, rallentata e ritmata che dà il senso della "finta festa" (dietro, c'è l'abisso) del finale della sinfonia. Il "cotè" virtuoso ha trovato meraviglie nei ricami della parte centrale del valzer, quello lirico nell'effusività calda - ma sempre "raccolta" nel fraseggio, mai sbracata - del celebre e bellissimo secondo movimento. Il tutto condotto ad un'unità stilistica da un direttore che non smette di crescere e stupire. <Ho sempre paura di non avere abbastanza tempo di studiare> dice Jader Bignamini, annunciando un'estate - appunto - di studi - preludio all'intensissimo 2014-15 suo e dell'Orchestra Verdi. La quale, ed è giusto chiudere con lei, è stato strumento di dedizione assoluta (tutta quanta, solisti e sezioni, e va sicuramente citato, in quest'occasione il suono "tutt'uno" degli archi, chiari e scuri) nella stupenda lettura di questa Quinta. Direttore ed orchestra in crescita ininterrotta.
Ovazioni alla prima, si replica stasera e domenica
marco vizzardelli
Ciaikovsky è, dalla fondazione e per merito di Vladimir Delman, nel DNA dell'Orchestra Verdi, forse più che qualunque altro autore. La Verdi è testimone storica, e attuale, di una concezione di "suonar Ciaikovsky" lasciatale in eredità dal favoloso Delman, che vedeva nel compositore prediletto "il Mozart russo". Di qui, accanto alle accensioni tragiche o liriche (e cosa non erano, le accensioni e il senso tragico di Delman in Ciaikovsky!!) non mancava mai l'elegante levità di suono e un rubato vertiginoso. Due doti in base alle quali, oggi, Jader Bignamini ha reso entusiasmante e memorabile la sua lettura della Quinta sinfonia di Ciaikovsky.
Rubato, ovvero, capacità di muovere la frase fino alla vertigine. E bellezza di suono (la luminostà ormai nota dell'orchestra "di" Bignamini). Tutto questo è stato rivestito dal direttore cremonese di un virtuosismo pazzesco (l'orchestra bloccata in un nanosecondo, e i cambi di ritmo eseguiti vertiginosamente senza mai perdere l'aplomb, culmine di questo tutto il finale) ma mai e poi mai fine a se stesso e sempre e sempre volto a fini espressivi. La tragedia e la gioia si sono unite (in entrambe le introduzioni a primo - fantastici i primi tre minuti della sinfonia - e secondo movimento) ad una vena più raccolta e meditativa. Nessun aspetto è stato tralasciato, dalla prima all'ultima nota: significativa la scelta di Bignamini di non concludere con gli accordi "sparati", da virtuoso, ma - come Temirkanov, come Celibidache, grandissimi "lettori" della sinfonia in mi minore - con la chiusa cadenzata, rallentata e ritmata che dà il senso della "finta festa" (dietro, c'è l'abisso) del finale della sinfonia. Il "cotè" virtuoso ha trovato meraviglie nei ricami della parte centrale del valzer, quello lirico nell'effusività calda - ma sempre "raccolta" nel fraseggio, mai sbracata - del celebre e bellissimo secondo movimento. Il tutto condotto ad un'unità stilistica da un direttore che non smette di crescere e stupire. <Ho sempre paura di non avere abbastanza tempo di studiare> dice Jader Bignamini, annunciando un'estate - appunto - di studi - preludio all'intensissimo 2014-15 suo e dell'Orchestra Verdi. La quale, ed è giusto chiudere con lei, è stato strumento di dedizione assoluta (tutta quanta, solisti e sezioni, e va sicuramente citato, in quest'occasione il suono "tutt'uno" degli archi, chiari e scuri) nella stupenda lettura di questa Quinta. Direttore ed orchestra in crescita ininterrotta.
Ovazioni alla prima, si replica stasera e domenica
marco vizzardelli