Reduci da una tipica, svaccata esibizione tale da porre, di fatto, in cattiva luce perfino il forse massimo direttore vivente (Salonen), uno si chiede perché accada. Ora ecco i nostri, la Filarmonica della Scala, alle prese (ciclo Richard Strauss) con il prescelto "stabile". Vuoi vedere che – conoscendoli – stavolta si impegnano di più?
Sì, in realtà, accade, in parte. Eppure… state a sentire.
Morte e Trasfigurazione. La Morte parte bene, un bell’adagio con suono ambrato, corposo degli archi (bravi, lo sappiamo), un Chailly che sembra anche intenso, bello insomma. Ma: il passaggio dall’introduzione a quanto segue è delimitato da un improvviso colpo di timpano. E qui Chailly alza con vistosa violenza il braccio…. e si manifesta con inenarrabile violenza il Nuovo Personaggio della Filarmonica, che da un paio di concerti già ci… COLPISCE. Il Bombardiere Calvo. Una CANNONATA SPAVENTOSA, di un suono non rotondo, ma secco, aspro, sgradevole. Ne aveva già sparate diverse altre nei recenti concerti, in questo si è scatenato! (il mitico David Searcy sapeva essere esplosivo ma anche poetico, nel suono del timpano. Qui siamo all’estetica dello SBENG costante) Da qui in poi, Morte e Trasfigurazione, pur in una esecuzione compatta e buona dell’orchestra e in buone idee (il crescendo della Trasfigurazione c’è ed è anche ben condotto) del direttore, diventa puro stile Chailly anni 1995-in poi, nella manopola del volume girata al massimo, nella deflagrazione tendente al baccano. La dinamica del direttore milanese, da anni, ha praticamente abolito il pianissimo: si va dal mezzoforte al boato. Se ciò sia scelta o limite fisico, non sapremmo dire. Ma tant’è. Tuttavia, l’esecuzione di Morte e Trasfigurazione è nel complesso nobile, l'orchestra qui dà il suo meglio
, e il tutto lascia qualche (mal riposta) speranza anche per le insidie sonore-dinamiche di Till Eulenspiegel.
In mezzo Chailly lascia detonare clamorosamente – fino a finale in spegnimento – il lavoro di Rihm, Transitus, peraltro – all’orecchio – come spesso accade più vecchio della sua età anagrafica.
Nella seconda parte i meravigliosi Lieder trovano nella Harteros un’interprete gradevole e notevole – nel limite, noto, di un ombra di monotonia fraseggio-timbrica, e di genericità. Ma indubbiamente, quando (pericoluccio, talora le accade) non "sbianca", gran cantatrice, verrebbe da sperare in una futuribile Marescialla, se saprà “muovere” di più l’espressione vocale, timbrica. Chailly a tratti la copre ma nel complesso si modera, educatamente: un gradevole accompagnamento, fino al suggestivo finale sospeso. Sempre una grande emozione d’ascolto, in se stessi, i “Quattro Ultimi”.
Ma forse il direttore si è trattenuto troppo: e allora il Till esplode, come e più di quanto ci si aspettava. Dopo l’introduzione, si leva la voce del famosissimo, scaligero Dumbo, l’elefantino che barrisce il noto tema del Corno: u u u u uuu u, u u u uuu u, ecc. Un bel barrìto. Da qui parte la prevedibile bomba a rumorologeria: di tutto e di più, e i decibel salgono! Troppo ghiotta l’occasione (viene in mente che Furtwangler – l’incisione live che ne abbiamo è piena di sviste tecniche, ma…. – ne faceva un estro sì, ma “mentale”, intelligente) per non buttarsi in una gigionesca ridda di cannonate, acceleratine, frenatine, effettini, effettoni nei quali il povero Till annega! Il tutto, qua e là, spruzzato da inesattezze di qualche legno (strano, è sezione benemerita) e, siccome è impegnato spesso, da barritini o barritoni, intonati o qualche volta no ma sempre belli bianchi – u u u – del celebre Dumbo. E si arriva in fondo. Un Till bruttino, sguaiato. E sempre con quella dinamica: mezzoforte-BOATO (qui molto più boato).
E passa un’altra serata così. Uguale alle precedenti, nel manifestarsi di alcune problematiche orchestrali, oppure di pregi (archi,violini e viole segnatamente). Differente, nei rapporti causa-effetto fra orchestra e direttore, dal concerto-Salonen, o dal concerto-Jordan. Ovvero, posta l’incertezza su un concetto di “lettura” interpretativa, l’attuale gusto esecutivo sonoro ( o sensibilità sonora) di Chailly è un moloch, si tratti di Aida, o Strauss, o Mahler o quant’altro. Da mezzoforte a boato. Proprio con un’orchestra che, in questo momento avrebbe (fra l’altro: atteggiamento,ascolto reciproco, aplomb, studio, prove ecc.) un bisogno vitale di “sfumature”.
Un bel problema.
marco vizzardelli
P.s. Una nota a parte – questa, in sé, assolutamente positiva: posto che l’esecuzione dell’orchestra di Morte e Trasfigurazione (decibel a parte) è stata buona, va citato un apporto ben più che buono: quello dell’arpa, assolutamente eccezionale, della Prandina, la quale è uno di quei solisti (spesso si citano i Meloni, i De Angelis) eccellenti di un’orchestra ricca di teoriche qualità.
Allora, una riflessione. Il paragone, si dirà, non si pone, ma – per esplicitare l’idea – viene in mente che la famosa orchestra del Festival di Lucerna, composta di straordinari solisti, non sarebbe mai diventata una grandissima orchestra se Claudio Abbado non l’avesse resa… un’orchestra. Cioè un INSIEME armonico, compatto: un solo strumento, formato da molti strumenti. Questo aspetto – la “sinfonia” – alla Filarmonica della Scala attualmente manca. Abbado e Muti ci lavorarono. Dopo di loro, quell’aspetto si è dissolto. Oggi, ascoltando la Filarmonica (oltretutto afflitta da una disparità di valore fra le varie sezioni) la “sinfonia” proprio non si sente.