ABBADO-LUCERNA 2013
Non ho assistito (non tutto si può fare) al concerto Schubert-Bruckner e mi spiace perché i due programmi di quest’anno erano evidentemente legati sul piano tematico e interpretativo. Ma c’ero la sera del 17 agosto, alla replica del concerto inaugurale, ed è stato memorabile. Mi preme sottolineare un aspetto: la continua rilettura, l’ininterrotto studio di Claudio Abbado su lavori anche già eseguiti. Prendete l’Eroica, e riandate al fantastico ciclo Beethoven di Roma e Vienna, subito dopo la malattia. Abbado fu il “campione” di un Beethoven asciutto, svelto, nervoso, giustamente memore della filologia innestata però su uno “slancio ideale” rispondente alla grande tradizione (ai tempi, citò giustamente Furtwangler da un lato, Harnoncourt da un altro). Da quel momento, ecco innumerevoli esecuzioni iper-nervose, iper-secche, iper-minimal di Beethoven. Ma Abbado non si ferma: rilegge, ristudia, reinterpreta. Già a Lucerna, poco dopo l’esperienza Roma-Vienna, c’era stata una incredibile Nona di Beethoven riletta come una “missa solemnis” laica (neanche tanto laica, anzi, spiritualissima). L’Eroica 2013 di Abbado a Lucerna è stata consimile: di Roma o di Vienna con i Berliner di allora restano l’articolazione delle frasi o certi rilievi “solistici” della concertazione (oboe, clarinetto con i memorabili solisti dell’orchestra di Lucerna, peraltro perfettamente fusi in “orchestra”, non fini a se stessi). Ma questa Eroica firmata da Abbado è tutt’altra cosa, da allora: dilatata nei tempi ma con una sbalorditiva capacità di sostenerli, tecnicamente ed emotivamente. E colma di un “affetto” e di un pathos che raramente si associano all’Eroica. Si sentono nella (incredibile) lettura della Marcia Funebre, ma si ritrovano ovunque: il tema del primo movimento enunciato alla fine dai corni. Il Trio dello scherzo (ancora i corni, mai ascoltato così: la frase viene presa “in dolcezza” e poi espansa in volume, come decollasse, nell’aria, ma con un senso di gioco e di struggimento). E gioco, affetto e struggimento sono il “segno” di tutto il finale.
Ma tutto il concerto è vissuto nel segno della “rilettura”. Quant’è lontano il Brahms giovanile, quasi “cubista” di Abbado, da questa “rotonda”, meditata, Ouverture iper-Tragica! E, nell’opulenza vocale del mezzosoprano Fujimura (una canna d’organo!), quanto pathos nel Waldtaube-lied di Schoenberg rispetto ad altre, pur favolose letture, già date in passato da Abbado. Ecco, “pathos” e “affetti” sembrano due “temi interpretativi” dell’attuale far musica di Claudio Abbado. Ma, attenzione! Con lui – a 80 anni – il giorno dopo è sempre, musicalmente, un giorno nuovo. Ed è ciò che, massimamente, lo rende uno stupefacente musicista.
marco vizzardelli