dudamel mahler
Inviato: ven 23 dic 2011, 20:07
Quando Gustavo Dudamel "apparve" sulla scena musicale, l'impressione generale fu quella d'uno spettacolare talento e temperamento, un po' esteriore, da giovane Bernstein bilanciato dalla "scuola" di Claudio Abbado. Molti continuano a vederlo in questo modo e - era il senso di qualche commento di matrice "abbadiana" fuori dal Concerto di Natale tenutosi alla Scala - risultano in qualche modo spiazzati da un direttore che, sulla soglia dei trent'anni e, con l'esperienza maturata fra Los Angeles e Gotheborg e con lo studio personale, matura secondo una fisionomia parecchio differente da quella che pareva esser la sua, agli esordi.
Un aspetto è rimasto identico: Dudamel è, fondamentalmente, un "classico". Fra i due talenti di forse maggior spicco emersi in questi anni, Daniel Harding ha una mentalità e un tipo di approccio alla musica sicuramente più sperimentale, potremmo dire "innovatore". Gustavo Dudamel è (o è attualmente) un direttore sostanzialmente tradizionale, il che non implica un giudizio di qualità, anzi: il talento è enorme, in entrambi i casi. L'approccio interpretativo è differente.
Chi si aspettava una "Resurrezione" di Mahler vissuta un po' nella paradossale, visionaria lettura "da giovane Bernstein" si è trovato di fronte, in pratica (pigliate il paragone con beneficio, serve per chiarire) un "giovane Giulini": cioé, una "Seconda" di Mahler meditata e meditativa, analitica (ma con un'idea di fondo ben chiara), e portata dal lungo cammino dei movimenti strumentali al doppio finale "con voci" eseguito in maniera tutt'altro che plateale o deflagrante, ma "letto" quasi come una preghiera: una resurrezione a connotazione fortemente mistica. Siamo lontani anni luce dal paradossale Bernstein: c'è uno spettacoloso filmato giovanile che coglie Lenny, nel finale della Resurrezione, in uno stato tale per cui chi ascolta e lo guarda ha il dubbio che da un momento all'altro muoia, anziché "risorgere", d'una sincope sul podio. Ma siamo lontanissimi anche dalla esaltazione "laica" del pur grandissimo Abbado. Qui siamo, nettamente (ripeto, uso questi paragoni per chiarire) in "zona Giulini": è una Resurrezione costruita sul suono, sull'articolazione. Ed è un suono "mistico", non mi viene altro termine. La scansione è, per lo più lenta, ma non sempre e non necessariamente. L'allegro maestoso trascorre "asciutto", stralunato, è una vera musica di morte. Dell'andante moderato, Dudamel prende alla lettera la dizione "molto comodo": lo è, ma il giovane direttore sa muovere e articolare la frase in modo da nmon risultare inerte, al contrario. E gioca mirabilmente sulla concertazione: c'è un passaggio centrale, si disegno spezzato degli archi, nel quale i legni enunciano il tema in tempo appena ritenuto, crando una straordinari sfasatura ritmica, cose che solo un direttore surdotato può permettersi, risultando seguìto a perfezione dall'orchestra. Fantsstico, qui, il lungo passo in pizzicato dal quale rinasce il canto degli archi (l'andante moderato sicuramente un "momento" capitale di questa lettura). Al contrio nel movimento successivo, Dudamel sottolinea l'indicazione "scorrevole": il famoso lied del corno magico "scorre" letteralmente, quasi liquido nel fraseggio e nel colore cercato e trovato da Dudamel. Ritmi, suoni, articolazioni, senso dello spazio (c'è un fortissimo senso della "lontananza") cotruiscono un lungo viaggio "dalla morte alla vita" che richiede un ascolto paziente. Non è una lettura "facile" o di presa immediata, questa di Dudamel. Impone uno sforzo all'ascoltatore, ma anche agli esecutori: gli orchestrali sono stati chiamati ad una ricchezza di sfumature e dinamiche cui, nell'attualità "baremboiniana" non sono troppo adusi. Bene, la risposta è stata ammirevole in ogni reparto (compresi i discussi "ottoni" della Scala che qui, stavolta, hanno fatto meraviglie, in una dinamica fino al pianissimo che li ha messi a dura prova).
Sicuramente è stata la lettura della "Resurrezione" da parte d'un direttore "in cammino" interpretativo (e ci mancherebbe, a trent'anni). Ma è la lettura di un direttore sicuramente dotato al di sopra della media. Vedremo, su quali lidi interpretativi il futuro porterà il giovane, dotatissimo Gustavo Dudamel (curioso che il suo verdi di questa stagione alla Scala sia Rigoletto, guarda caso un Verdi che fu "di Giulini", guarda caso storico direttore della filarmonica di Los Angeles : si direbbe che nulla, in una vita, avvenga a caso...)
marco vizzardelli
Un aspetto è rimasto identico: Dudamel è, fondamentalmente, un "classico". Fra i due talenti di forse maggior spicco emersi in questi anni, Daniel Harding ha una mentalità e un tipo di approccio alla musica sicuramente più sperimentale, potremmo dire "innovatore". Gustavo Dudamel è (o è attualmente) un direttore sostanzialmente tradizionale, il che non implica un giudizio di qualità, anzi: il talento è enorme, in entrambi i casi. L'approccio interpretativo è differente.
Chi si aspettava una "Resurrezione" di Mahler vissuta un po' nella paradossale, visionaria lettura "da giovane Bernstein" si è trovato di fronte, in pratica (pigliate il paragone con beneficio, serve per chiarire) un "giovane Giulini": cioé, una "Seconda" di Mahler meditata e meditativa, analitica (ma con un'idea di fondo ben chiara), e portata dal lungo cammino dei movimenti strumentali al doppio finale "con voci" eseguito in maniera tutt'altro che plateale o deflagrante, ma "letto" quasi come una preghiera: una resurrezione a connotazione fortemente mistica. Siamo lontani anni luce dal paradossale Bernstein: c'è uno spettacoloso filmato giovanile che coglie Lenny, nel finale della Resurrezione, in uno stato tale per cui chi ascolta e lo guarda ha il dubbio che da un momento all'altro muoia, anziché "risorgere", d'una sincope sul podio. Ma siamo lontanissimi anche dalla esaltazione "laica" del pur grandissimo Abbado. Qui siamo, nettamente (ripeto, uso questi paragoni per chiarire) in "zona Giulini": è una Resurrezione costruita sul suono, sull'articolazione. Ed è un suono "mistico", non mi viene altro termine. La scansione è, per lo più lenta, ma non sempre e non necessariamente. L'allegro maestoso trascorre "asciutto", stralunato, è una vera musica di morte. Dell'andante moderato, Dudamel prende alla lettera la dizione "molto comodo": lo è, ma il giovane direttore sa muovere e articolare la frase in modo da nmon risultare inerte, al contrario. E gioca mirabilmente sulla concertazione: c'è un passaggio centrale, si disegno spezzato degli archi, nel quale i legni enunciano il tema in tempo appena ritenuto, crando una straordinari sfasatura ritmica, cose che solo un direttore surdotato può permettersi, risultando seguìto a perfezione dall'orchestra. Fantsstico, qui, il lungo passo in pizzicato dal quale rinasce il canto degli archi (l'andante moderato sicuramente un "momento" capitale di questa lettura). Al contrio nel movimento successivo, Dudamel sottolinea l'indicazione "scorrevole": il famoso lied del corno magico "scorre" letteralmente, quasi liquido nel fraseggio e nel colore cercato e trovato da Dudamel. Ritmi, suoni, articolazioni, senso dello spazio (c'è un fortissimo senso della "lontananza") cotruiscono un lungo viaggio "dalla morte alla vita" che richiede un ascolto paziente. Non è una lettura "facile" o di presa immediata, questa di Dudamel. Impone uno sforzo all'ascoltatore, ma anche agli esecutori: gli orchestrali sono stati chiamati ad una ricchezza di sfumature e dinamiche cui, nell'attualità "baremboiniana" non sono troppo adusi. Bene, la risposta è stata ammirevole in ogni reparto (compresi i discussi "ottoni" della Scala che qui, stavolta, hanno fatto meraviglie, in una dinamica fino al pianissimo che li ha messi a dura prova).
Sicuramente è stata la lettura della "Resurrezione" da parte d'un direttore "in cammino" interpretativo (e ci mancherebbe, a trent'anni). Ma è la lettura di un direttore sicuramente dotato al di sopra della media. Vedremo, su quali lidi interpretativi il futuro porterà il giovane, dotatissimo Gustavo Dudamel (curioso che il suo verdi di questa stagione alla Scala sia Rigoletto, guarda caso un Verdi che fu "di Giulini", guarda caso storico direttore della filarmonica di Los Angeles : si direbbe che nulla, in una vita, avvenga a caso...)
marco vizzardelli