Non sono sicuro sia stato ben focalizzato (non ancora nelle cronache) l'evento (termine abusato ma in questo caso degno dell'uso) musicale forse più importante del periodo (in attesa del ritorno di Salonen alla Scala) nella vita musicale italiana: la presenza, per tre settimane di marzo, fra Emilia Romagna e Roma, di Vladimir Michailovic Jurovskij, il quasi quarantaduenne (li compie il 4 aprile) moscovita, direttore stabile della London Philarmonic), forse (ora con la rivelazione Currentzis, peraltro ancora da conoscere, in Occidente in repertorio non-operistico) il più originale, stimolante e talentuoso direttore nella generazione degli attuali "quarantenni" , dal repertorio vastissimo (oltre ai compositori della sua terra, spazia dal classicismo alla contemporaneità, dalla sinfonica alla lirica: per dire, la sua incisione di Werther è stimata fra le ottime proprio per la sua direzione, negli anni di Glyndebourne ha eseguito Verdi, Rossini, Ciaikovskij ma anche il Fledermaus, l'anno scorso è andato in tournèe con l'Opera da Tre Soldi in forma di concerto), dal "gesto" fra i più carismatici nel panorama direttoriale attuale, dagli esiti mai scontati, sempre "pensatissimi", talora (evviva!) discutibili proprio perché frutto di una inesausta "vivacità" mentale e musicale.
Jurovskij è stato chiamato da Ferrara Musica, sul podio della formidabile Chamber Orchestra of Europe (uno dei gioielli firmati-Claudio Abbado) per due programmi sinfonici (rispettivamente giovedì 13 e venerdì 21 febbraio) coincidenti con la dedica e intitolazione (che avverrà il 21) del Teatro Comunale di Ferrara allo scomparso Abbado, legatissimo alla città estense, nella quale è sempre una meraviglia tornare, ritrovandone la bellezza rarefatta (è di nuovo quasi perfettamente in ordine dopo il terremoto), lo stile di vita a misura d'uomo, le stupende vie rettilinee popolate più da bici che da auto, la favolosa cucina (che non guasta mai...), le mostre d'arte sempre di gran livello (questa primavera, a Palazzo dei Diamanti, è di turno una magnifica rassegna su Matisse). E, naturalmente la musica, con quella bellissima rassegna che porta il nome della città e che da sempre si distingue per la scelta stimolante di direttori e musicisti che la animano, e di programmi frizzanti e non scontati.
Giovedì 13, Jurovskij e la Chamber hanno iniziato benissimo il loro doppio incontro. Programma di grande finezza: tre danze tedesche di Schubert-Webern, il Concerto per Violino in re magg. di Beethoven affidato a Christian Tetzlaff, i 5 movimenti op.5 per orchestra d'archi di Webern, la Sinfonia nr 4 in do min "Tragica" di Schubert. Nelle danze iniziali, direttore e l'orchestra, dai caratteristici "legni" di "croccante" rilievo plastico (una caratteristica di tutte le orchestre di matrice-Abbado, erano tali anche quelli della Scala nel suo periodo, e son rimasti tali nel tempo), sono riusciti a conseguire un mirabile equilibrio fra lo straniamento strumentale weberniano e il canto schubertiano, nel quadro di un'espressività assolutamente, inconfondibilmente "viennese" di entrambi i compositori. Ascolto brevissimo ma di grande suggestione. Se l'incontro fra direttore e orchestra si è rivelato da subito felice, quello fra orchestra, direttore,e violinista è stato letteralmente esplosivo. Christian Tetzlaff non è lo strumentista algidamente immacolato del quale immediatamente ammiri il suono (esempio illustre fra i contemporanei: Kavakos): ma è lo strumentista che entra in dialogo con il direttore, tanto più quando lo riconosca (come in questo caso è avvenuto) pienamente disposto ad una ricerca di timbri, di espressioni, di fraseggi, di "clima" tali da renderti come nuovo uno dei più celebrati concerti del repertorio. A rischio - in una lettura condotta letteralmente sul trapezio di un gioco d'incastri talora ai limiti del funambolismo strumentale, fra orchestra e solista - di qualche occasionale sbavatura del solista (piccolissimi errori "benedetti" che davano la dimensione del rischio stesso: molto meglio che un'algida, immacolata, convenzionale lettura): l'orchestra era praticamente perfetta, ma Tetzlaff formidabile per espressività, vedasi il passaggio (che momento di musica!) dal lirismo dell'adagio al gioco danzante del tema del finale, sottolineato dal violinista anche con il corpo, che seguiva lo strumento. Il tutto reso con una avvicente freschezza "sperimentale" di analisi (tutta la concertazione), di sintesi, di esecuzione. Eseguita (come usa fare la Isabelle Faust) la cadenza con timpano nel primo movimento (penso si trattasse dell'originale 61bis beethoveniano). Il punto di partenza della lettura era semplicissimo, individuava due dimensioni del concerto: quella lirica (il canto del movimento interno è stato indimenticabile) incorniciata da quella plastica-scultorea, cui Jurovskij, la Chamber e Tetzlaff hanno dato rilievo inusitato, per un esito travolgente e salutato da una giusta ovazione del pubblico.
Gli stupendi "movimenti" per orchestra d'archi di Webern hanno trovato nella Chamber uno strumento di straordinario, immacolato nitore cui Jurovskij ha dato l'apporto di un disegno gestuale tale da render totale servizio allo stile dell'autore, accendendolo nello stesso tempo fino ad una incandescenza che è la "cifra" del direttore, e che si è ritrovata nella grandiosa esecuzione della "Tragica" di Schubert. In realtà l'aggettivo che più si assocerebbe all'espressività della Quarta è "Inquieta". E come tale - anche nella "collocazione" storica - l'ha letta Jurovskij, aggiungendovi - sua firma - da un lato una scultorea monumentalità strumentale dall'altro un suono tendenzialmente "scuro", a servizio d'un "clima" che definire inquieto è ancora riduttivo, verrebbe da usare il termine "ansiogeno": comunque d'un fascino straordinario (duttile la Chamber, orchestra naturalmente "chiara" nella timbrica, nel far proprio quel suono, e segnale di grande personalità del direttore risuscire ad imprimerlo). Non è usuale ascoltare la Quarta così "carica", nel clima e nell'evidenza plastica - e diremmo che l'"ombra" di Mahler già aleggiava, anzi incombeva su questo Schubert. Il che accende l'interesse per quanto ci attende, a Ferrara, questo venerdì: Jurovski e la Chamber Orchestra of Europe nel Wunderhorn (baritono: GERALD FINLEY, e lo scrivo con tutte le maiuscole) e poi nella Quarta sinfonia di Mahler (soprano: Sofia Fomina, e anche in questo caso il nome è degno d'interesse). Dopo l'ascolto della Quarta di Schubert dubitiamo che la Quarta di Mahler by Jurovskij si qualifichi esattamente come "vita celestiale". Ma non abbiamo dubbi che sarà un'altra, avvincentissima esperienza d'ascolto. Il tutto si coronerà, l'ultimo weekend di marzo, all'Auditorium di Roma, dove Jurovskij con l'Orchestra dell'Accademia di Santa Cecilia, eseguirà la Sesta di Mahler. E, da Ferrara a Roma, da una Tragica all'altra - passando da Schubert (attraverso Webern) al Mahler "intermedio" della Quarta e del Corno a quello definitivo della Sesta - si avrà un magnifico - per ricchezza di stimoli musicali, intellettuali ed emotivi - quadro d'autori e d'interprete.
marco vizzardelli