Una formidabile lettura/esecuzione di Ein Heldenleben di Richard Strauss ha connotato il concerto tenuto lunedì sera da Daniel Harding e Filarmonica della Scala nel teatro milanese.
I 7 minuti, già folgoranti grazie a Mozart, della Musica Funebre Massonica sono stati illuminati da un incredibile lavoro sui timbri e gli strumenti (Meloni & soci ai corni di bassetto! E tutti gli altri). Un rito sonoro di 7 minuti. Impressionante.
Al Wagner di Preludio e Morte di Isotta, pur fra pregi esecutivi e d'idea generale, mancavano un briciolo di rifinitura (però, stavolta, va pur detto, stanno facendo: Falstaff, la preparazione di Nabucco, il concerto con Luisotti: non è poco!) e un filo d’abbandono alla musica: Harding (già altre volte in passato: esegue spesso Preludio e Morte) tende ad analizzare allo spasimo il Vorspiel und Liebestod, lo fa oggetto d’una concertazione capillare (cosa non erano le arpe di Prandina & collega! Un ricamo!), riesce anche, nel finale, in quel fraseggio “sospeso” che, nel Tristano integrale, solo Bernstein con la Behrens… ma… se vi si lasciasse anche un po’ andare (passando alla sintesi), andrebbe al nocciolo della questione, invece qui, forse (è una nostra impressione, non pretesa di verità) resta ancora alla, pur ammirevolissima, analisi.
Ma, poi, arriva Ein Heldenleben. Ed è una lettura magistrale, tale da imporre di fare il punto sul direttore, sul suo – magnifico – rapporto con il teatro e con l’orchestra, intessuto, da anni, d’intelligenza, ovvero d’un meraviglioso scambio di idee. E’ questo che si sente, quando Daniel Harding e i complessi del Teatro alla Scala (Filarmonica o orchestra d’opera) si incontrano. E, probabilmente, in questo Vita d’Eroe, abbiamo toccato un vertice di collaborazione. Quasi sicuramente “il vertice” (i concerti di Harding in Scala li abbiamo ascoltati tutti o quasi) della sua attività “sinfonica” con l’orchestra scaligera. Del feeling di Harding con la musica di Richard Strauss si aveva, in loco, chiari sintomi fin dalla fortunatissima Salome, ma qui siamo andati ben oltre, per concezione ed esecuzione. Quaranta e rotti minuti da levare il fiato, immersi in una concertazione scintillante e fantastica, nella quale si univano “eroismo” e leggerezza, la guerra, l’amore e il canto: è un eroe battagliero e… liricissimo, trasparente di fraseggi e colori. E (qui, sì) analisi strumentale e sintesi poetica sono perfettamente compiute. Alla cura strumentale corrisponde la compiutezza, in esecuzione, della concezione dell’intelletto e dell’anima. Dopo il saluto dell’eroe all’amata (cosa non sono, di nuovo, le arpe!)l’annuncio e l’esplosione delle guerre, la battaglia, lasciano attoniti. La tecnica di Harding gli consente un improvviso, rapidissimo scarto di tempo, in base al quale l’entrata dei tamburi militari, cadenzata, colpisce al cuore. Da qui, lo scatenarsi della “guerra” è straordinario perché, sotto l’esplosività delle percussioni, Harding mantiene leggerissima, ma penetrante, l’orchestra. Sotto il “bombardamento” – secco, violentissimo – gli archi continuano a volare. Ed è una “resa” sonora stupefacente (lo stiamo ascoltando in questi giorni: la capacità di mantenere “volante” l’orchestra è ciò che rende favoloso il “suo” concertato finale, in Falstaff). Ma: la maestria strumentale è totalmente al servizio della concezione poetica. E’ un’Eroe struggente (il finale si ascolta in apnea, orecchie, cuore e fiato sospeso ) pervaso di poesia e di canto (vedasi, ad esempio, l’evidenza “cantante” estrema data da Harding alla citazione dell’Eroica di Beethoven). E a questo concorre, in maniera decisiva, un altro Eroe di questa stupenda esecuzione: il violino settecentesco nelle mani, e nello spirito, del meraviglioso Francesco De Angelis. Un suono che scioglie l’anima (se, ascoltandolo, non vi si è sciolta, spiacenti, non ce l’avete!). E, soprattutto in Mozart e Strauss ma nel complesso, è stato un concerto nel quale si è ascoltata, nei singoli e nel complesso, la felicità e l’orgoglio di suonar bene. E’ chiaro – ormai le prove si moltiplicano – che fra Harding e questa (non facilissima, e non per tutti) orchestra si è creato, nel tempo, un “dialogo di anime”. Si sente, si percepisce, ed è bello viverlo, anche da ascoltatori.
Dicevamo che questo “Heldenleben” impone di “fare il punto” sul direttore e sul rapporto, con i luoghi e con l’orchestra. Milano conobbe Harding con un Don Giovanni – quello folgorante su regia di Peter Brook – da riascoltare oggi. Ne abbiamo il disco, ed è da brivido: esistono edizioni più mature, ma il senso di acrobazia e avventura del giovanissimo Daniel (e del Peter Mattei di allora), innestato su quello spettacolo, resta teatro, musica e vita allo stato puro. Poi, alla Scala: in Idomeneo, dimostrò – in situazione di difficoltà spaventosa, con tutta la “diffidenza milanese” addosso – che, qui, si poteva far bene Mozart “dopo” Muti ed in maniera diversa. In Salome ha dato apporto musicale ineccepibile ad uno spettacolo magnifico nel complesso. Su Pagliacci e – soprattutto – Cavalleria Rusticana ha saputo far luce esecutiva ed interpretativa originale, pertinente e in buona parte nuova. Il Sacre di Stravinsky (in balletto nella Serata Bejart e in concerto sostituendo Salonen) era lucidissimo. Il Falstaff è stato – è, in questi giorni – forse prudente, dicono alcuni, ma, diciamo noi, sempre illuminato da grande intelligenza (e questo “suo” Falstaff andrà riletto con calma, a bocce ferme: c’è tanto, dentro!). E tutta la serie dei concerti sinfonici effettuati con l’orchestra scaligera è stata segnata da questo “dialogo”: con la Scala e i suoi complessi, Daniel Harding ha creato un rapporto di cui il meraviglioso “Ein Heldenleben” è una sintesi e un vertice. Harding, è, in tal senso e sicuramente, un Eroe molto positivo, e musicalmente “fertile”, di questa epoca di vita del Teatro alla Scala.
marco vizzardelli