Il ciclo celebrativo dei 70 anni di Daniel Barenboim (che coincide con il ritorno alla Scala di Claudio Abbado) si è aperto con il felicissimo concerto che ha visto Gustavo Dudamel sul podio della Filarmonica della Scala e lo stesso Barenboim al pianoforte.
Va subito ribadita, dopo l’esito di Sigfrido in versione-orchestra della Scala, l’ottima forma della Filarmonica, che ha , fra l’altro esibito volti nuovi ( chi erano i due eccellenti corni – si, corni! – magnificamente impegnati nel Concerto in re min. di Brahms?). La giusta euforia per i giorni grandi che il teatro sta vivendo (Sigfrido, il ritorno di Abbado, una serie di concerti ad alto livello) trova l’orchestra nel giusto clima. E – come siamo critici quando il clima e le esecuzioni non sono di questo livello – così siamo felici di vederli ed ascoltarli in questo spirito, che va mantenuto al di là di giornate indubbiamente eccezionali per la Scala e per Milano.
E’ stato un concerto festosissimo, ricco di anima, nel quale tutte le parti in campo hanno dato il rispettivo meglio. Gustavo Dudamel ci ha offerto entrambi i volti del sua identità d’interprete: riflessivo, posato, lirico quando necessario, in un Brahms per nulla spettacolare ma assolutamente idiomatico che conferma la maturazione del giovane direttore dalla “spettacolarit” dei primi anni ad una fase molto più meditativa, che gli permette di affrontare con ottimi esiti il grande repertorio tedesco (ricordiamo la sua eccellente Eroica di Beethoven alla Scala). In Bartok, abbiamo invece ritrovato il Dudamel maestro del ritmo, del colore, della sensualità (latina eppure perfettamente aderente allo stile del Primo concerto dell’ungherese) peraltro sorvegliatissima nelle dinamiche e nella magnifica concertazione: splendida, anche qui, la risposta dell’orchestra (lode spaciale alle percussioni, ma non solo).
Naturalmente Daniel Barenboim è stato il mattatore della serata: il “suo” Brahms è senz’altro personale, ma talmente ricco di estri, di improvvisi rabeschi e accensioni, di ripegamenti lirici, di colori, da risultare un’autentica “rilettura poetica”. Rispetto all interessanti notazioni proposte da Vono , a proposito di Sigfrido, sul Barenboim direttore, il pianista resta decisamente più “effusivo”. Là dove tecnicamente non sia sempre irreprensibile, vengono immediatamente in soccorso l’estro e l’effusività. Barenboim è stato eccellente in Bartok, l’esito più compiuto della serata anche nel dialogo perfetto con Dudamel e l’orchestra.
E Barenboim ha lasciato scatenare tutte le sue doti di showman al momento dei bis: un delibatissimo Schubert, e un’incredibile lettura della parafrasi lisztiana di Rigoletto, iniziata indugiando e ammiccando all’orchestra sul tema di Bella Figlia dell’Amore, quasi volesse dire “conoscete? vi dice qualcosa, in questi giorni?”, poi eseguita con “ruffianissimo” (in senso simpatico!) gusto salottiero, tripudio di colori e di “perlage” e un senso di”divertissment” ben più apprezzabile d’una mera, esatta esecuzione. Tripudio di applausi e scavalcamento del pianoforte da parte del mattatore, che ha fatto il periplo del palcoscenico per andare ad inchinarsi e a ricevere applausi da ogni parte del teatro.
Serata fra amici, dichiarazione d’amore alla musica: sono bei giorni, questi, per la Scala e per Milano.
marco vizzardelli