pbagnoli ha scritto:Rodrigo ha scritto:Posso dire che mi dispiace molto per Filianoti?
Ho avuto la fortuna di un rapido scambio con lui subito dopo la Medea torinese e l'ho trovato disponibile e niente affatto divo "alla Alagna", anzi molto signorile nei modi.
Ammesso che non fosse all'altezza del ruolo bisognava per forza aspettare il 6 dicembre per protestarlo?
No.
In questo hai perfettamente ragione: bisognava pensarci prima.
Sono perfettamente d'accordo. Io personalmente trovavo azzardatissimo questo suo Don carlo (ruolo che, peraltro, in migliori condzioni vocali, potrebbe andargli molto bene, ma non ora... IMHO ovvio) ma ci sono stati 2 mesi (dicono) di prove in cui si poteva fare qualcosa.
Ecco comunque le due interviste apparse oggi, che condivido in pieno al di là degli aspetti sulla prova generale e delle evitabili considerazioni sul collega:
LA STAMPA
Scala di Milano, il tenore si ribella:
"Macché malato! Mi hanno silurato"
Giuseppe Filianoti, il Don Carlo «silurato»
Il Don Carlo sostituito in extremis
ALBERTO MATTIOLI
MILANO
Lo scriva: sto benissimo. La Scala vuole che dica che sono malato. Ma non è vero. Sto be-nis-si-mo. E, fosse per me, canterei». Alt. Un passo indietro. Ore 19.22: dalla mail spunta un comunicato della Scala, laconico come in tutte le grandi occasioni. Due-righe-due: «La Direzione comunica che nella serata del 7 dicembre il ruolo di Don Carlo sarà interpretato dal tenore Stuart Neill». Nessuna spiegazione. In realtà ce ne vorrebbero perché sulle locandine è scritto che Don Carlo è Giuseppe Filianoti. Neill è il tenore della seconda compagnia, debutto previsto il 10. Alle 20.05 suona il telefono. Dall’altra parte c’è proprio Filianoti che se fossimo educati potremmo definire alquanto irritato ma, visto che siamo realisti, è proprio molto incazzato. E, detto che lui si sente benissimo, almeno fisicamente, sbotta, anzi deflagra, meglio: esplode: «Mi hanno fatto fuori».
Perché?
«Per preservarmi, dicono. C’è aria di fischi e allora, testuale, se devono fischiare, meglio che fischino Neill».
Una misura precauzionale per lei.
«Mi vogliono tanto bene, vero? Ma io ho un contratto e voglio cantare!»
Chi gliel’ha detto, quando e come?
«Chi? Nessuno. È stato tutto un palleggio di responsabilità, di gente che riferisce quel che le ha detto altra gente. Alla fine, ho chiesto di Lissner. Naturalmente, non c’era. Con Gatti non voglio parlare. Quanto al “quando”, me l’hanno detto mezz’ora fa. E non a me, ma al mio agente. E allora io mi sono precipitato alla Scala».
L’anteprima per i giovani non è andata benissimo...
«Ma quale anteprima! Basta con le furbate. Chiamiamola con il suo nome: prova generale, perché di una prova si trattava. Del resto, se non fosse stata una prova, saremmo tutti stati pagati. E invece nessuno ha visto una lira».
Però lei sembrava in difficoltà...
«Senta, io ho fatto un mese di prove e nove assiemi: nove! Sempre cantando in voce con i complimenti di tutti. Se a una prova, ripeto una prova, decido di non cantare in voce è una mia scelta legittima. E non sono stato il solo».
Insomma, sbaglia la Scala.
«Hanno paura dei fischi. Ma io sono un artista, in carriera da dieci anni, non possono gettarmi nel cestino così. Io canto con passione, l’arte non è business. È una vergogna che cose del genere succedano in quello che era il primo teatro del mondo. Anche perché chi decide deve dirmelo in faccia».
Appunto: ma chi ha deciso?
«E che ne so? Lissner o Gatti. È stato un grave errore far entrare i giornalisti alla generale. Magari qualcuno ha parlato con Gatti».
Che giudizio dà dello spettacolo?
«Cantare con Gatti è difficile. È sempre troppo lento o troppo veloce. In realtà, è un indeciso: prima ha rimesso la scena dello scambio dei veli, poi l’ha tolta. Tutto così: non sa quel che vuole. Ma un castello di carte prima o poi crolla».
E con il regista, Stéphane Braunschweig, come si è trovato?
«Ah, lui è un tesoro, intelligente, riflessivo. Più maturo e meno bambino di Gatti».
Domani cosa farà?
«Domani? Andrò in teatro, ovviamente. Ho un contratto».
Insomma, come Alagna dopo la famosa fuga dall’Aida.
«Ah, no! Intanto perché io non sono scappato, ma mi hanno cacciato. E poi perché almeno a lui è stata data l’occasione. A me, no».
Il rimpianto peggiore?
«Aver cantato per il teatro nel “Concerto per la città” durante la vertenza sindacale. E poi mi hanno trattato così...»
Lei sa che dopo questa intervista non canterà più alla Scala.
«Finché ci sarà questa gestione. Ma io dico che cambierà».
CORRIERE
COLPO DI SCENA ALLA VIGILIA DELLA PRIMA
«Io, cacciato dalla Scala»
Filianoti: non sarò Don Carlo, mi hanno pugnalato alla schiena e volevano che mi dessi malato
MILANO — «Sono stato tradito dalla Scala, pugnalato alla schiena all'ultimo momento. Ieri sera mi è stato annunciato che non canterò alla "prima". Don Carlo non sarò più io. La Scala mi vuol dare malato. Ma io, Giuseppe Filianoti, sto benissimo, pronto a cimentarmi in un ruolo in cui mi sento sicuro». Furibondo e sdegnato, il tenore sfoga «a caldo» tutta la sua amarezza. A neanche 24 ore dal debutto, ha appena saputo di esser stato cancellato dalla locandina della «prima» lirica più attesa al mondo, quella della Scala. Stasera, a cimentarsi nel Don Carlo di Verdi, diretto da Daniele Gatti, scene e regia di Stéphane Braunschweig, ci sarà un altro: Stuart Neill, il tenore americano che avrebbe dovuto interpretarlo nel secondo cast.
Filianoti, che cosa è successo? «Vorrei saperlo anch'io. Sono due mesi che stiamo provando a ritmi serratissimi. Per due mesi ho sempre cantato in voce e non ho ricevuto che complimenti: dal maestro Gatti, dal sovrintendente Lissner, dai colleghi. Insomma, tutto sembrava filar liscio. Poi, dopo la prova generale dell'altro ieri aperta agli studenti, Gatti comincia ad avanzare delle riserve. Come mai avevo reso meno, come mai ero deconcentrato, come mai avevo sbagliato un paio di passaggi...». Ed era vero? «E' vero che Gatti ha deciso solo da pochi giorni di reinserire ala fine del terzo atto il Lachrymosa, spostando di conseguenza la tonalità. Lì ho commesso un errore, lo ammetto, però non credo sufficiente per far decidere che non ero in grado di sostenere il ruolo. Inoltre, essendo una "generale", non mi ero impegnato al massimo vocalmente. La vera prima sarebbe stata solo due giorni dopo. Volevo risparmiarmi».
Don Carlo è un ruolo molto difficile, lei però l'aveva già interpretato, anche di recente... «A settembre all'Opera di Zurigo. E proprio lì sono venuti a sentirmi Daniele Gatti e il maestro Targetti (il «vociologo» della Scala, ndr). Entrambi entusiasti. "Sei il miglior Don Carlo, insieme faremo un'opera bellissima", mi dicevano. Naturalmente ero felice ed entusiasta. Per questo 7 dicembre ho cancellato una Lucrezia Borgia con Domingo a Washington, la Thais a Torino, un Pelleas et Melisande a Roma... Ma esser chiamato ad aprire la Scala è un onore che non si rifiuta. Mi era già successo nel 2003, quando il maestro Muti mi volle per il Moïse et le Pharaon. Altri tempi». Li rimpiange? «Sì. Alla Scala allora non avrebbero mai fatto un simile sgarbo a un artista. Muti i cantanti li ha sempre difesi fino all'ultimo. Da Daniele Gatti, con il quale avevo cantato a Bologna nel Don Sebastien e in Falstaff, non mi sarei mai aspettato un simile atteggiamento».
Arriviamo a ieri... «Mi convocano in teatro, mi dicono che non vogliono mettermi in difficoltà verso il mondo, che mi vogliono tutelare. Diranno che sono "indisposto" e, per essere più credibili, che non posso cantare nè alla prima nè alla seconda. Le altre recite invece sì. Non mi protestano, mi chiedono solo di rinunciare al debutto. Per il mio bene, s'intende...». E lei che cosa ha risposto? «Che so benissimo tutelarmi da me. Non sono malato, non sono un pivello. I miei nervi reggono benissimo e anche la mia voce. Gatti ha trasferito su di me le sue paure e le sue angosce. Io non ho timori. Sono un calabrese tosto, ho 34 anni, contratti con il Metropolitan fino al 2013, Barenboim mi ha prenotato per le esecuzioni del Requiem di Verdi a Tel Aviv e a Berlino... E quanto al rischio dei fischi... Fanno parte del gioco della lirica. Li hanno beccati i più grandi senza fiatare. Persino Pavarotti, persino Callas. Ma evidentemente il problema non era mio. Stasera non sarò soltanto io a mancare dal cartellone: anche Matti Salminen, grande basso finlandese, sarà "malato". Un'epidemia. La realtà è che questa Scala pensa solo al successo, al business». Forse nella decisione sono contate anche certe critiche negative anticipate. Contravvenendo all'embargo di non dar giudizi su una prova generale, Le Monde ha parlato di apertura scaligera «sottotono» imputando la colpa prima alla voce di Filianoti, bollata di «emissione faticosa» e di stile «sciatto».
Ma come hanno reagito in teatro alla notizia? «Alla Scala mi conoscono da quando avevo 20 anni. Ho cantato tante volte, Falstaff, Armide, Nina pazza per amore... Conosco tutti. E tutti sono rimasti a bocca aperta. "Non è possibile che facciano questo a Filianoti...", era la frase che girava ieri». E il regista Braunschweig, che cosa ha detto? «Mi ha abbracciato. "Non riesco a capire, sono disperato", mi ha sussurrato. Mi sono trovato benissimo con lui, una persona di grande sensibilità, con cui si può discutere di tutto. Anche lui adesso è nei guai. Una regia è pensata e modellata sui cantanti. Non tocca a me parlare delle qualità vocali, ma di certo non si può negare che fisicamente chi mi sostituirà sia ben lontano da me. Stuart Neill, con la sua stazza imponente, non ha certo le phisique du role di Don Carlo». Un ruolo davvero tormentato: prima di lei, avrebbe dovuto interpretarlo Marcelo Alvarez, ma anche lui finì con litigare con la Scala «Ormai siamo in tanti ad averlo fatto. Alvarez, Alagna, io. Se i tenori più richiesti stanno prendendo il largo dalla Scala qualche ragione ci sarà. Di certo, finché continuerà questo modo di fare, in quel teatro io non metterò più piede». Neanche stasera? «Ah stasera sì. Non mi hanno protestato, non sono malato, quindi mi presenterò in teatro. Naturalmente non mi faranno cantare. Ma io sarò lì. Anche se sarà il mio addio».
Giuseppina Manin