Medea (Cherubini)
Inviato: mar 14 ott 2008, 22:37
TORINO 2008
Domenica 12 sono stato a Torino per la affollata rappresentazione di Medea di L. Cherubini.
Provo a trasmettere le mie, come sempre opinabilissime e dilettantesche, impressioni. Per evitare le prolissità mi limito a qualche spunto di carattere esclusiamente musicale. Sulla regia di H. de Ana mi limito a dire che l'ambientazione liberty è opinabilissima e tutto sommato immotivata. Le scene sono però godibili (meno i costumi) e spettacolare il sollevarsi della nave e il suo incendio nel finale. Che il mito degli argonauti trovi compimento nel viaggio dell'Olandese?
Anna Caterina Antonacci è stata la protagonista assoluta della recita, tra l'altro meritatamente osannata dal pubblico. Premetto che era la prima volta che la ascoltavo dal vivo. Mi ha colpito l'uso che questa cantante fa della sua voce che non è onnipotente nelle agilità o negli acuti; anche il colore, pur bello, non mi è sembrato particolarmente sontuoso. Con tutto ciò la signora Antonacci ha costruito il personaggio in maniera maiuscola con una maniacale attenzione a valorizzare gli accenti, le frasi, in una parola la drammaturgia di Medea. Il suo "Dei tuoi figli la madre" è stato un ottimo biglietto da visita. Spettacolare la resa del massacrante III atto dove Medea è sempre in scena con una galleria contrasti emotivi fin morbosa. Ricorrendo alla famosa metafora verdiana direi che nella lettura dell'Antonacci viene privilegiata la parola scenica con una ricerca costante del "colore" giusto da "usare". Grandissima poi la sua prova di attrice.
Giuseppe Filianoti viceversa mi ha colpito per il colore vocale, veramente malioso. Giasone è un personaggio un po' ingrato umanamente, in fondo si tratta di un codardo in cerca di una rispettabilità molto piccolo borghese e un filo ipocrita. Filianoti disegna un (anti)eroe quasi nevrotico e psicologicamente oppresso da Medea. Peccato, a mio avviso, il ricorso a certe sonorità ammanierate e smunte emesse forse con l'intenzione di sottolineare la vigliaccheria di Giasone, ma per me un po' fastidiose. Comunque una bella prova e un artista veramente dotato e che sono molto curioso di ascoltare come Don Carlo.
Sara Mingardo ha entusiasmato il pubblico con l'esecuzione di una delle poche pagine cantabili della partitura: l'aria di Neris. Ha esibito un colore vocale molto omogeneo e un fraseggio raffinato con la valida collaborazione del bravissimo fagotto concertante. A mio modesto avviso in una graduatoria di pura qualità timbrica è la migliore del cast. Peccato che la regia maltratti un po' il suo personaggio degradandolo ad una specie di Mary Poppins.
Cinzia Forte era Glauce. E' un personaggio in cui il libretto fa un po' acqua: ha una impegnativa aria d'agilità come sortita, ma poi pian pianino il personaggio scompare sino al punto da... morire fuori scena benché -in fondo- Giasone e Medea litighino proprio per le nozze con Glauce! La Forte ha esibito una buona voce, ma nell'aria "Amore vieni a me" mi è parsa sulla difensiva e preoccupata più delle agilità che del fraseggio.
Giovanni Battista Parodi come Creonte è stato l'interprete che mi ha convinto meno. La parte regale non sembra adatta a questo cantante che è parso un p' fioco nel registro grave. Anche il suo timbro tendenzialmente chiaro, oltre a fare insorgere il sospetto che Parodi non sia un "vero" basso, non aiuta a rendere il profilo musicale del re di Corinto a cui Cherubini assegna un'impervia (e stupenda) aria di furore che sollecita tutta l'estensione.
Evelino Pidò ha diretto con sicurezza una partitura dallo strumentale molto ricco (soprattutto se rapportato all'epoca in cui Medea è stata scritta). Ottima la sintonia buca-palco e apprezzabile la cura per le bellezze strumentali dell'opera, dalla beethoveniana sinfonia ai preludi dell'atto II e III, fino alle sonorità evanescenti e misteriose della piccola banda dietro il palco nella scena dell'imeneo ed allo stupefacente finale per sola orchestra (e mi è venuto da pensare all'analogo finale del Mosé rossiniano). Da apprezzare anche la riproposizione di pagine che spesso sono tagliate nella prassi esecutiva. Non mi sento di condividere semmai la riproposizione del parlato nel finale II anziché (come si è fatto in tutto il resto dell'opera) dei recitativi -per inciso tutt'altro che brutti- di Lachner. Qualche perplessità, infine, su alcuni tempi staccati un po' velocemente.
Domenica 12 sono stato a Torino per la affollata rappresentazione di Medea di L. Cherubini.
Provo a trasmettere le mie, come sempre opinabilissime e dilettantesche, impressioni. Per evitare le prolissità mi limito a qualche spunto di carattere esclusiamente musicale. Sulla regia di H. de Ana mi limito a dire che l'ambientazione liberty è opinabilissima e tutto sommato immotivata. Le scene sono però godibili (meno i costumi) e spettacolare il sollevarsi della nave e il suo incendio nel finale. Che il mito degli argonauti trovi compimento nel viaggio dell'Olandese?
Anna Caterina Antonacci è stata la protagonista assoluta della recita, tra l'altro meritatamente osannata dal pubblico. Premetto che era la prima volta che la ascoltavo dal vivo. Mi ha colpito l'uso che questa cantante fa della sua voce che non è onnipotente nelle agilità o negli acuti; anche il colore, pur bello, non mi è sembrato particolarmente sontuoso. Con tutto ciò la signora Antonacci ha costruito il personaggio in maniera maiuscola con una maniacale attenzione a valorizzare gli accenti, le frasi, in una parola la drammaturgia di Medea. Il suo "Dei tuoi figli la madre" è stato un ottimo biglietto da visita. Spettacolare la resa del massacrante III atto dove Medea è sempre in scena con una galleria contrasti emotivi fin morbosa. Ricorrendo alla famosa metafora verdiana direi che nella lettura dell'Antonacci viene privilegiata la parola scenica con una ricerca costante del "colore" giusto da "usare". Grandissima poi la sua prova di attrice.
Giuseppe Filianoti viceversa mi ha colpito per il colore vocale, veramente malioso. Giasone è un personaggio un po' ingrato umanamente, in fondo si tratta di un codardo in cerca di una rispettabilità molto piccolo borghese e un filo ipocrita. Filianoti disegna un (anti)eroe quasi nevrotico e psicologicamente oppresso da Medea. Peccato, a mio avviso, il ricorso a certe sonorità ammanierate e smunte emesse forse con l'intenzione di sottolineare la vigliaccheria di Giasone, ma per me un po' fastidiose. Comunque una bella prova e un artista veramente dotato e che sono molto curioso di ascoltare come Don Carlo.
Sara Mingardo ha entusiasmato il pubblico con l'esecuzione di una delle poche pagine cantabili della partitura: l'aria di Neris. Ha esibito un colore vocale molto omogeneo e un fraseggio raffinato con la valida collaborazione del bravissimo fagotto concertante. A mio modesto avviso in una graduatoria di pura qualità timbrica è la migliore del cast. Peccato che la regia maltratti un po' il suo personaggio degradandolo ad una specie di Mary Poppins.
Cinzia Forte era Glauce. E' un personaggio in cui il libretto fa un po' acqua: ha una impegnativa aria d'agilità come sortita, ma poi pian pianino il personaggio scompare sino al punto da... morire fuori scena benché -in fondo- Giasone e Medea litighino proprio per le nozze con Glauce! La Forte ha esibito una buona voce, ma nell'aria "Amore vieni a me" mi è parsa sulla difensiva e preoccupata più delle agilità che del fraseggio.
Giovanni Battista Parodi come Creonte è stato l'interprete che mi ha convinto meno. La parte regale non sembra adatta a questo cantante che è parso un p' fioco nel registro grave. Anche il suo timbro tendenzialmente chiaro, oltre a fare insorgere il sospetto che Parodi non sia un "vero" basso, non aiuta a rendere il profilo musicale del re di Corinto a cui Cherubini assegna un'impervia (e stupenda) aria di furore che sollecita tutta l'estensione.
Evelino Pidò ha diretto con sicurezza una partitura dallo strumentale molto ricco (soprattutto se rapportato all'epoca in cui Medea è stata scritta). Ottima la sintonia buca-palco e apprezzabile la cura per le bellezze strumentali dell'opera, dalla beethoveniana sinfonia ai preludi dell'atto II e III, fino alle sonorità evanescenti e misteriose della piccola banda dietro il palco nella scena dell'imeneo ed allo stupefacente finale per sola orchestra (e mi è venuto da pensare all'analogo finale del Mosé rossiniano). Da apprezzare anche la riproposizione di pagine che spesso sono tagliate nella prassi esecutiva. Non mi sento di condividere semmai la riproposizione del parlato nel finale II anziché (come si è fatto in tutto il resto dell'opera) dei recitativi -per inciso tutt'altro che brutti- di Lachner. Qualche perplessità, infine, su alcuni tempi staccati un po' velocemente.