FIRENZE 2010La serata è cominciata stile Don Camillo e Peppone. Si abbassano le luci e Mehta arringa la folla con il piglio del capopolo. Non ho nulla da dire sulle attuali ritorsioni dei lavoratori dell'opera al decreto Bondi. Non ho nulla da dire sia perchè trovo sacrosanta qualsiasi forma di protesta, ma soprattutto perchè non ho letto il decreto. Se non ho tempo per operadisc
figuratevi se ho tempo per informarmi. E quindi non azzardo opinioni. Però non sopporto le proteste -legittime o meno- fatte in un luogo per me sacro come un teatro a pochi attimi dall'apertura del sipario. Lo considero una sorta di stupro, una specie di fastidioso bagno di realtà prima dell'inizio di un rito. E invece mi sono sorbito dieci minuti di pistolotto, con dentro i soliti luoghi comuni sulla cultura, la musica che eleva, ringraziamenti ai mediatori sindacali, complimenti al senso del dovere dei lavoratori, Firenze culla della cultura europea, etc. Applausi ogni tre parole come in un film di Alberto Sordi e quando dal pubblico si è levata una voce che ha gridato i nomi di Bondi e Nastasi, Mehta ha risposto che non era necessario fare nomi: "i politici cambiano a turno mentre NOI rimaniamo qui!" Ovazione oceanica. Mancavano solo le cheerleaders. Rinfrancato da tale consenso il Maestro ha invitato il pubblica ad intasare di email e telefonate il Ministero perchè nei prossimi due mesi il decreto non venga convertito in legge. Amen.
Finalmente il macchinone straussiano si è messo in moto.
Ormai è chiaro lo stile del Metha anziano alle prese con grandi capolavori del teatro di area tedesca. Bel suono nei fortissimo, tempi lenti, dettagli della strumentazione messi in evidenza con cura certosina, poco senso del teatro, a volte noia, a volte no ma solo per lo scintillante baccano della falange straussiana buttata all'attacco. Da un punto di vista linguistico siamo ancora fermi a mezzo secolo fa. Con l'aggravante che, per il pubblico del 1950, una certa ampollosità d'accento poteva anche essere, nel teatro di Strauss, portatrice di valori condivisi; adesso, che di Strauss abbiamo scoperto le inquietanti e infernali ombre, è solo una bolla vuota che si ammira come si ammira uno spettacolare seno costruito al silicone. Le dimensioni contano, sembra dirci Mehta, sbracciandosi nel più turgido e squassante finale III che io abbia mai ascoltato dal vivo.
Purtroppo al grande direttore poco arrivava dal palcoscenico. Lo spettacolo di Kokkos è stato il solito funereo, macchinoso, colorato, tecnologico allestimento che ormai siamo soliti vedere quando mancano sia, per dirla con Mat, tecnica e contenuti. Cantanti fermi, gesti stereotipati, il falco sotituito da un ballerino, proiezioni, didascalismi. Avrei voluto fermare lo spettacolo e, con un microfono scendere in mezzo al pubblico per chiedere: "Avete capito chi è la Nutrice?", "Perchè l'Imperatrice vuole l'ombra?", "Perchè l'Imperatore deve essere trasformato in pietra?", "Chi è il falco?". E invece siamo andati avanti per più di tre ore con siparietti, mimi girandoloni, la reggia di Keikobad come una cappelletta da cimitero circondata da cipressi. Mal che vada, sembrava dire Kokkos, tiro giù un tulle e ci proietto sopra luci cangianti a tempo con la musica.
Voci? La signora Barak era Elena Pankratova. Voce da Brunnhilde e fisico da Orietta Berti, la Pankratova ha mostrato però un'organizzazione vocale in grado di deliziare i vociomani più osservanti tra il pubblico. Begli acuti (tolti quelli massacranti alla fine dell'apertura del III), centri corposi e gravi timbrati non hanno potuto sopperire a un fraseggio generico e a un senso della parola declamata assolutamente assente. La Pieczonka (Imperatrice) ha problemi con la tessitura della parte -lo si sapeva in partenza- ed è quindi partita con il piede sinistro, ma si è risollevata nel Terzo atto dominando da autentica primadonna la scena. Davvero molto brava. Lo ammetto, con questa signora parto sempre prevenuto (anche all'Ariadne dell'anno scorso di Monaco) e poi finisco per ricredermi. In breve, è stata lei quella che ci ha regalato i momenti migliori di questa Frau. Sembrava galvanizzare anche Mehta. Dohmen, bravissimo nel primo atto, sembrava come affaticato nel terzo. Però il suo Barak, finalmente duro, ruvido, e lontano dalle paciosità semntimentali e buoniste di molti interpreti, mi ha colpito. In molti sono rimasti colpiti dalla Nutrice della Braun. Io no. Attrice debole -i soliti atteggiamenti da burattino danzante per far capire che si tratta di una creatura soprannaturale- e cantante genirica. Resta l'Imperatore di Kerl. Per dirla con Celletti era "espressivo come un paracarro". Non che l'Imperatore richieda chissà quali strumenti d'analisi, ma , nel monolgo del II atto, a un tenore si richiede, come minimo, che almeno provi a differenziare con l'accento quando è arrabbiato e quando all'arrabbiatura si sotituisce il dolore e il disinganno. Anche perchè, in partitura, Strauss aiuta molto cambiando la ritmica da due in quattro seguendo le parole del testo per sottolineare lo stato d'animo. Kerl no. Fermo al proscenio a fare l'aria. Stesso volume, stesso suono, stesso accento.
Orchestra del Maggio che suona mgnificamente bene. Ottoni intonatissimi, archi setosi, legni precisi. Mi piacerebbe sentirla con qualcuno di più audace del nostro Mehta-De Mille.
Successo oceanico e calorosissimo.
Teatro gremito. C'era anche Carla Fracci.
WSM