Ermione (Rossini)
Inviato: gio 14 ago 2008, 8:46
Ermione diversissima dallo storico spettacolo di Pizzi del 1987, quella andata in scena a Pesaro in questi giorni, per questioni vocali, interpretative e registiche.
Pirro diventa un tiranno sanguinario, dittatore di uno stato schiavista e violento, in un mondo manicheamente diviso fra bianchi (Oreste, Pilade e Andromaca) e neri (Pirro, Ermione, Fenicio), in preda a tensioni politiche e civili.
È proprio il personaggio del figlio di Achille che cambia di parecchio fra i due spettacoli pesaresi: Chris Merritt, 21 anni fa, faceva di Pirro uno squillante e un po’ pacioso monarca, sicuro della sua potenza e del suo trono, laddove Gregory Kunde punta sull’emissione catarrosa, aspra e stridente, fornendo un dittatore militare instabile sanguinario, che tiene schiavo un popolo ma si sente in fondo insicuro della sua potenza, quasi si aspettasse di finire come poi finisce: il classico dittatore che aspetta di vedere sbucare un coltello da un momento all'altro. Purtroppo, per mere mende tecniche e vocali, la coloratura, che dovrebbe in tale interpretazione sprizzare un briciolo di follia, di lucida iperbole dei sentimenti, è problematica e spesso non risolta di forza. Inoltre, Kunde non possiede le note della parte. In alto i suoni sono aspri e forzati, in basso quasi non c’è suono.
Diversissimo l’altro tenore, Antonino Siragusa, che molto semplicisticamente fa di Oreste un personaggio sentimentale da commedia napoletana. Il suo fraseggio ha poco o nulla del tenore serio rossiniano, e quando si rivolge in duetto ad Ermione chiedendole di amarlo, sembra Gigi D’Alessio. Un taglio interpretativo semplicistico, che certo asseconda l’idea che Oreste sia “buono”, animato da sentimenti positivi, privo della sinistra ambiguità che Rocky Blake sapeva far emergere dai ruoli David, forse suggerita anche dal timbro chiarissimo e leggero (seppure molto sonoro), tenore da opera buffa. La sua sortita comunque è stata molto applaudita anche da me, se non altro per la discreta padronanza nelle stratosfere della tessitura.
Sonia Ganassi e Marianna Pizzolato sono Ermione ed Andromaca non sufficientemente differenziate timbricamente, la prima troppo mediosopranile (seppure scurita) per un ruolo Colbran, la seconda troppo mediosopranile per un ruolo contraltile. La Ganassi ha riportato un successo personale notevole dopo la gigantesca scena solistica del secondo atto, interpretata con buoni accenti, ma ha reso per me molto di più nella scena finale, in cui ha accentato con grande proprietà la frase “Fermati Oreste. Per il resto, ha avuto occasionali durezze nell'emissione e non sempre ha risolto la coloratura di forza. La Pizzolato ha cantato discretamente la sortita di Andromaca, facendo valere le qualità espressive di un bel timbro morbido. Forse, la qualità timbrica simile fra le due donne dimostrava ancora di più che il desiderio di cambiare sposa, in Pirro, è dettato da un capriccio, politico e lussurioso insieme.
La direzione di Abbado non è stata granchè, pestando parecchio nei finali, correndo talvolta senza senso e risolvendo i colori orchestrali con impasti talvolta da farsa, più che da opera seria.
Lo spettacolo era molto cruento e violento, con il piccolo Astianatte preso di peso dagli sgherri di Pirro e poi ricascciato nelle segrete in malo modo, e il cadavere di Pirro che appare sanguinante appeso alla parete.
Pirro diventa un tiranno sanguinario, dittatore di uno stato schiavista e violento, in un mondo manicheamente diviso fra bianchi (Oreste, Pilade e Andromaca) e neri (Pirro, Ermione, Fenicio), in preda a tensioni politiche e civili.
È proprio il personaggio del figlio di Achille che cambia di parecchio fra i due spettacoli pesaresi: Chris Merritt, 21 anni fa, faceva di Pirro uno squillante e un po’ pacioso monarca, sicuro della sua potenza e del suo trono, laddove Gregory Kunde punta sull’emissione catarrosa, aspra e stridente, fornendo un dittatore militare instabile sanguinario, che tiene schiavo un popolo ma si sente in fondo insicuro della sua potenza, quasi si aspettasse di finire come poi finisce: il classico dittatore che aspetta di vedere sbucare un coltello da un momento all'altro. Purtroppo, per mere mende tecniche e vocali, la coloratura, che dovrebbe in tale interpretazione sprizzare un briciolo di follia, di lucida iperbole dei sentimenti, è problematica e spesso non risolta di forza. Inoltre, Kunde non possiede le note della parte. In alto i suoni sono aspri e forzati, in basso quasi non c’è suono.
Diversissimo l’altro tenore, Antonino Siragusa, che molto semplicisticamente fa di Oreste un personaggio sentimentale da commedia napoletana. Il suo fraseggio ha poco o nulla del tenore serio rossiniano, e quando si rivolge in duetto ad Ermione chiedendole di amarlo, sembra Gigi D’Alessio. Un taglio interpretativo semplicistico, che certo asseconda l’idea che Oreste sia “buono”, animato da sentimenti positivi, privo della sinistra ambiguità che Rocky Blake sapeva far emergere dai ruoli David, forse suggerita anche dal timbro chiarissimo e leggero (seppure molto sonoro), tenore da opera buffa. La sua sortita comunque è stata molto applaudita anche da me, se non altro per la discreta padronanza nelle stratosfere della tessitura.
Sonia Ganassi e Marianna Pizzolato sono Ermione ed Andromaca non sufficientemente differenziate timbricamente, la prima troppo mediosopranile (seppure scurita) per un ruolo Colbran, la seconda troppo mediosopranile per un ruolo contraltile. La Ganassi ha riportato un successo personale notevole dopo la gigantesca scena solistica del secondo atto, interpretata con buoni accenti, ma ha reso per me molto di più nella scena finale, in cui ha accentato con grande proprietà la frase “Fermati Oreste. Per il resto, ha avuto occasionali durezze nell'emissione e non sempre ha risolto la coloratura di forza. La Pizzolato ha cantato discretamente la sortita di Andromaca, facendo valere le qualità espressive di un bel timbro morbido. Forse, la qualità timbrica simile fra le due donne dimostrava ancora di più che il desiderio di cambiare sposa, in Pirro, è dettato da un capriccio, politico e lussurioso insieme.
La direzione di Abbado non è stata granchè, pestando parecchio nei finali, correndo talvolta senza senso e risolvendo i colori orchestrali con impasti talvolta da farsa, più che da opera seria.
Lo spettacolo era molto cruento e violento, con il piccolo Astianatte preso di peso dagli sgherri di Pirro e poi ricascciato nelle segrete in malo modo, e il cadavere di Pirro che appare sanguinante appeso alla parete.