OBERTO conte di ... Busseto
Verdi quando ha composto Oberto aveva nelle orecchie un pò di Donizetti ed un libretto con caratteri unidimensionali, monolitici e sbozzati con un macete.
Leonora è una parte micidiale scritta per voci drammatiche e svettanti dalla partenza centrale e quasi patetica a mezza voce, per poi sconfinare in alto ed in basso in maniera repentina e con fitte colorature nei momenti più nervosi e concitati.
Drammaturgicamente è insopportabile, petulante, lunatica, ossessiva ed ha preso tutto dal padre, Oberto appunto, che quanto a rabbia, ruvidità di carattere e pesantezza non è secondo a cotanta figlia (e vocalmente è parte estremamente difficile per un basso in quanto richiede morbidezza e forza per raggiungere sia le note acute che sprofondare nel registro grave).
Ovvio che Riccardo (il tenore parte non proibitiva, ma che se ben modulata riesce ad essere interessante e simpatica) dovendo avere a che fare con due tipi simili fugga allegramente via e cerchi conforto nella dolcissima, ma decisa Cuniza (mezzosoprano. Credo che Verdi avesse particolare simpatia per questo personaggio in quanto le affida le scene musicalmente migliori dell'opera donandole un canto morbidissimo, ma deciso facendo brillare il registro centrale e basso della cantante), che per sfinimento dei primi due protagonisti (e sentendo levarsi puzza di bruciato da questa situazione...mica scema) pensa bene di rinunciare all' ''amore'' di Riccardo in favore di Leonora (cosi' si levano tutti dalle ovaie e mi lasciano cantare in pace pensa giustemente lei).
Per fortuna Riccardo ammazza meritatamente Oberto e fugge via, mentre Leonora dopo un monologo pieno di fuochi d'artificio decide finalmente di farsi suora, tra la gioia di tutti che si vedono portar via 3 zavorre non indifferenti.
Tutto questo guazzabuglio è stato messo in scena in quella bomboniera incantevole e fascinoso del Teatro Verdi di Busseto sotto le ammievoli cure di Antonello Allemandi e Pier'Alli alla regia.
Oberto scherzi a parte è un'opera davvero bellissima, sopratutto il preludio, le pagine corali (davvero incandescenti), il personaggio di Cuniza, i duetti (tutti) ed il finale in cui si respira Donizetti, ma anche il Verdi futuro (Traviata e Trovatore in sedicesimo in alcuni punti) che sgomita perchè vuole farsi sentire.
Allemandi ci crede fino in fondo ed esalta la partitura con uno slancio elegante, ma sfumatissimo, mobile eppure elegiaco dando all'opera un respiro compatto e coinvolgente.
Sul palco agiscono benissimo assecondati da questa geniale direzione il tenore Fabio Sartori, il mezzosoparno Mariana Pentcheva e Giorgia Bertagni nel piccolo, ma prezioso ruolo di Imelda.
Il primo ha voce torrenziale, poderosa e sicurissima e canta tutto fortissimo...il che sarebbe un guaio, ma per un personaggio come Riccardo che non è paragonabile con i tenori verdiani più maturi la cosa può essere sfruttata con intelligenza per rappresentare il lato più virile e canagliesco del personaggio.
Solo nei duetti con la Pentcheva trova giusti accenti, e frasi dolci ed affrontate con accenni di mezzevoci (ed infatti qui si guadagna gli applausi più convinti).
La Pentcheva è cantante di grande professionalità ed intelligenza; la voce è ambrata, brunita, con facilità arriva sia al grave ed all'acuto, il personaggio è tutto li gentile eppure deciso, appassionato e fragile, ma portata con notevole volume e spessore.
Al suo apparire per i ringraziamenti finali il pubblico le dedica una grande ovazione a cui lei si commuove.
Notevole la Bertagni nell'economia del suo ruolo di dama di compagnia.
Era più sonora ed equilibrata della protagonista e si metteva in luce per un timbro vellutato e luminoso.
Per i veri protagonisti abbiamo le note dolenti.
Paolo Battaglia ha timbro arido, ingolato (effetto patata in gola) ed è parecchio impreciso in molti punti (sopratutto i monologhi ed il duetto con la figlia al 1 atto), la parte lo sovrasta, ma il fraseggio intelligente e battagliero lo aiutano ad arrivare fino alla fine.
La Cerboncini è stata deludentissima.
Voce traballante in acuto, i sovracuti sono lame aguzze o gorgoglii funesti e stimbrati, in basso è vuota, si salva solo nei centri chiari e caldi, ma la parte richiede ben altro ed il fraseggio purtroppo è povero, piagnucoloso e lamentevole e poco l'aiuta ad accattivarsi il pubblico.
Un vero peccato per una cantante che è stata una notevole Salomè ed una brava Turandot.
Speriamo in futuro.
Pier'Alli inscatola tutto in scene scure e traslucide su cui si aprono suggestivi pannelli araldici, gotici blillanti ori, sagome di castelli o torri e sfrutta prospetticamente e genialmente le potenzialità sorprendenti del fondo del piccolo palco creando incisivi effetti prospettici.
La gestualità è volutamente finta ed antica, ruvida e cristallizzata come a voler sottolineare la finzione delle passioni vissute in scena, come per dire; Oberto è un pò come i film muti per il cinema nella produzione verdiana, una sorta di espressione primitiva di un'arte che deve maturare e crescere con il compositore.
Anche se a lungo andare quei gesti rischiano il ridicolo, lo schema è fascinoso e ben costruito.
Pubblico entusiasta e coinvolto in lunghi applausi che hanno premiato maggiormente tenore, mezzo e comprimaria.