Elektra (Strauss)
Inviato: dom 02 mar 2008, 2:01
FIRENZE: OZAWA - CARSEN
C'è dolore, c'è ansia. Una musica "cattiva, perfida" che vuol stordire, angosciare, togliere il respiro all'ascoltatore. Un esecuzione musicale e visiva che accompagna lo spettatore verso l'abisso con una scelta di sonorità piena, ricca ma anche scarna ed aspra ed una scenografia tanto semplice quanto inquietante. Un semicilindro chiuso, un microcosmo scuro, i personaggi di un clan, quello di Elektra, vestiti di nero, solo Clite.. ed Egisto vestiti di bianco. Una apertura dove alcuni personaggi scompaiono come inghiottiti nel nulla. Un insieme di mimi che si muove continuamente descrivendo e sottolineando gli stati d'animo dei vari personaggi, personaggi che invece sono invitati a movimenti semplici, diretti, immediati, senza alcuna volontà evocativa. Invece vediamo Elektra, ne seguiamo il cammino verso la liberazione alla quale giunge sfinita. Elektra oppressa dall'isolamento, Elektra forte e decisa, Elektra determinata, Elektra sorpresa, Elektra.......
L'esecuzione vocale della protagonista, Sandra Bullock, è volenterosa e sufficientemente variegata anche se forse avrei preferito uno strumento più ricco e sonoro, in ogni caso un plauso al coraggio di affrontare il massacro a cui la perfidia naturalistica di Strauss la sottopone. Giunge al termine sfinita ma a mio parere in ogni caso vincente. Bravi gli altri con una menzione, per ricchezza vocale, a Christine Goerke, Chrysothemis ed una alla veterana Agnes Baltsa che disegna al meglio Klytämnestra, senza eccessi.
Le scelte registiche di Carsen e la direzione di Ozawa ci accompagnano al finale, quattro accordi che tolgono il fiato, quattro pugni allo stomaco che lo spettatore partecipe incassa con masochistico compiacimento, felice di essere anche lui parte di un progetto altrui, di essere stato per quasi due ore in balia della magia musicale del grande bavarese.
Io, appollaiato nell'ultima fila del mio amato piano alto, soffrivo e, come sempre con Strauss, finivo stremato, gli occhi lucidi non per l'emozione ma per la tensione che questa musica, fredda calcolatrice, serpe insinuante, riesce a determinare e che, prigioniero del pubblico, per educazione, non potevo esorcizzare con movimenti liberatori. L'applauso rompe il religioso silenzio con cui il teatro ha assistito all'opera e molti minuti mi sono stati necessari per rientrare nel pieno equilibrio dei sensi.
Ecco perchè amo l'opera e le sue musiche. Spettacoli come questo rafforzano questa passione e la nutrono di linfa ricca e gustosa, impinguano il mio piacere.
Roberto
C'è dolore, c'è ansia. Una musica "cattiva, perfida" che vuol stordire, angosciare, togliere il respiro all'ascoltatore. Un esecuzione musicale e visiva che accompagna lo spettatore verso l'abisso con una scelta di sonorità piena, ricca ma anche scarna ed aspra ed una scenografia tanto semplice quanto inquietante. Un semicilindro chiuso, un microcosmo scuro, i personaggi di un clan, quello di Elektra, vestiti di nero, solo Clite.. ed Egisto vestiti di bianco. Una apertura dove alcuni personaggi scompaiono come inghiottiti nel nulla. Un insieme di mimi che si muove continuamente descrivendo e sottolineando gli stati d'animo dei vari personaggi, personaggi che invece sono invitati a movimenti semplici, diretti, immediati, senza alcuna volontà evocativa. Invece vediamo Elektra, ne seguiamo il cammino verso la liberazione alla quale giunge sfinita. Elektra oppressa dall'isolamento, Elektra forte e decisa, Elektra determinata, Elektra sorpresa, Elektra.......
L'esecuzione vocale della protagonista, Sandra Bullock, è volenterosa e sufficientemente variegata anche se forse avrei preferito uno strumento più ricco e sonoro, in ogni caso un plauso al coraggio di affrontare il massacro a cui la perfidia naturalistica di Strauss la sottopone. Giunge al termine sfinita ma a mio parere in ogni caso vincente. Bravi gli altri con una menzione, per ricchezza vocale, a Christine Goerke, Chrysothemis ed una alla veterana Agnes Baltsa che disegna al meglio Klytämnestra, senza eccessi.
Le scelte registiche di Carsen e la direzione di Ozawa ci accompagnano al finale, quattro accordi che tolgono il fiato, quattro pugni allo stomaco che lo spettatore partecipe incassa con masochistico compiacimento, felice di essere anche lui parte di un progetto altrui, di essere stato per quasi due ore in balia della magia musicale del grande bavarese.
Io, appollaiato nell'ultima fila del mio amato piano alto, soffrivo e, come sempre con Strauss, finivo stremato, gli occhi lucidi non per l'emozione ma per la tensione che questa musica, fredda calcolatrice, serpe insinuante, riesce a determinare e che, prigioniero del pubblico, per educazione, non potevo esorcizzare con movimenti liberatori. L'applauso rompe il religioso silenzio con cui il teatro ha assistito all'opera e molti minuti mi sono stati necessari per rientrare nel pieno equilibrio dei sensi.
Ecco perchè amo l'opera e le sue musiche. Spettacoli come questo rafforzano questa passione e la nutrono di linfa ricca e gustosa, impinguano il mio piacere.
Roberto