Lady Macbeth Mtsensk - ENO - Cerniakov - Londra 2015
Inviato: lun 26 ott 2015, 11:25
La Lady Macbeth di Sostakovich è, in superficie, un'opera edificante. Mi stupisce sempre che Stalin, di solito così morigerato in tema di costumi sessuali, ne abbia rigettato l'insieme. Katerina è una sorella sovietica di Manon, Lulu, Violetta, Jenufa. Katerina appartiene al gruppo di quelle donne capaci di mettersi di traverso ad una situazione più o meno soffocante sfidando apertamente codici etici, sociali e psicologici assodati da tempo. E la punizione esemplare per questa rivolta arriva spietata. La nostra eroina muore e muore male e con la sua morte ristabilisce un ordine dove, per quanto la si giri, le donne devono stare al loro posto. La denuncia sociale, l'umorismo corrosivo, il taglio propagandistico contro i grandi latifondisti sbandierati alla vigilia della prima, a Sostakovich interessavano poco. La Lady Macbeth è un thriller da camera non un comizio. E immagino che Stalin, uomo estremamente intelligente e a suo modo sensibile nel cogliere i più pericolosi umori di sovversione, se ne sia accorto a partire dal primo atto (vide solo quello poi se ne andò infuriato) e abbia punito l'artista per ragioni diverse da quelle dichiarate ufficialmente alla Pravda nel celebre articolo. In pubblico si parlava di caos anziché musica; in privato Stalin puniva Sostakovich perchè capiva che... l'artista aveva capito: il sordido e opprimente mondo maschile dell'opera più che uno scampato pericolo era al contrario una fotografia, una sintesi esatta, un pretesto per fotografare le crepe di quel neocomunismo che, pur tutelando a proclami l'unicità dell'uomo, in realtà ancora procedeva con metodi vessatori e socialmente inaccettabili, metodi di cui Josif e i nuovi bojari erano perfettamente consapevoli.
Jones a Londra, nel 2005, aveva firmato un capolavoro, fortunatamente passato alla Scala. Senza i cascami grotteschi e ossessivi di certa tradizione espressionista dell'opera, la sua Lady Macbeth era davvero una claustrofobica corsa all'abisso in cui l'ingenuità, l'infantilismo, la sensualità greve ma allo stesso tempo freschissima della protagonista, (una Westbroek di mostruosa bravura sia vocale che scenica), la crudeltà feroce però priva di un disegno preciso unita ad una tendenza a pasticciare, davvero colmavano di sottotesti questa figura piuttosto monolitica e davano alla vicenda una profondità di prospettive che, lo ammetto, io avevo sempre faticato a trovare.
Ma la Lady è anche un'opera di sesso, sangue e sperma. E se Jones da questa triade si era tenuto volutamente lontano (anzi, cavalcando l'onda del paradosso si permetteva -come solo i geni si possono permettere- di smontare l'erotismo dei climax con un umorismo da cinepanettone perfettamente costruito sulla musica), Kusej -per citare un altro celebre allestimento delle scorse stagioni- ad Amsterdam ci si è buttato a capofitto. A differenza del regista inglese, Kusej procede per accumulo e l'opera diventa una serie continua di calci nello stomaco e momenti softcore che però di originale e di autenticamente feroce hanno ben poco. C'è sempre la Westbroek, anche qui molto brava, ma conciata dal regista come una Volpina di Amarcord imbottita di estrogeni finisce per esaurire qualunque carica emotiva e sessuale e ci appare, scena dopo scena, sempre più monotona e, scusatemi, anche un po' ritardata.
Nutrivo grandi aspettative su Cerniakov. In realtà i conti sono tornati, ma fino a un certo punto. Senza dubbio si è trattato di uno spettacolo coinvolgente, dal ritmo intenso, senza tempi morti, curatissimo nei dettagli; ma questo, trattandosi di quello che attualmente è tra i pochi registi più rappresentativi del teatro d'Opera, lo davo per scontato. In questa Lady Macbeth sembra che Cerniakov sia caduto un po' nella trappola Michieletto; sposto l'ambientazione, modernizzo ed esagero i climax (Sergei scopa Katerina sulle benne di un muletto da magazzino che va su e giù, si spoglia nudo dopo la fustigazione e Kate lo lava come Maddalena con Cristo, nel finale lei muore schiacciata dagli stivali dei violentissimi carnefici in un tripudio splatter, perchè?...), insomma, Cerniakov in questo caso attualizza tutto con disinvoltura, ma, in fondo, lascia poi tutto così com'è. Se prendiamo il lavoro fatto da Cerniakov sulle Carmelitane, sul Macbeth, sulla Jenufa siamo su un altro pianeta. Qui era un po' roba da Calixto Bieito.
Lei era la Racette. Milfonissima esponente della serie A2 del Met, la Racette si è comportata con onore ma è troppo avanti per la parte. Gli acuti erano tirati, le frasi lunghe le mozzavano il fiato e la mancanza di un autentico carisma ha reso incolore il monologo del quarto atto. Niente di disastroso, ma la parte è quella che è. Bisogna essere autentici.
Sergei era John Dazak. Artista intellegente, una faccia e un espressione da autentico teppista, ma anche lui al limite della tenuta in una parte che ha pochi acuti ma è acutissima come tessitura.
Peter Hoare, colonna portante del comprimariato britannico, qui ha costruito un Boris all'opposto dei soliti vecchi satiri puzzoni e alcolizzati. Forse uno dei tocchi più interessanti di Cerniakov. Capo della ditta di import export in un cui si svolge l'azione, è sempre ben vestito, affascinante, diresti quasi profumato. Un David Niven anziano. Più che autoritario, è autorevole. L'idea è buona ma, come dicevo sopra, anche qui è risolta solo dall'esterno e, nei momenti più parossistici, abbiamo il solito Boris inverrito, però in quest'allestimento vestito con eleganza e con le scarpe lucide.
Grandissima sorpresa sul fronte orchestrale.
Mark Wigglesworth, 51 anni, da questa stagione direttore stabile dell'ENO è un musicista di razza. Ha serrato la partitura monstre in una morsa teatrale dal ritmo perfetto e inesorabile. Avevo già ascoltato alcune sue registrazioni di Sostakovich ed ero rimasto sorpreso. Questa è una conferma. Orchestra di sbalorditiva precisione e bravura, con ottoni taglienti, percussioni ossessive ed archi lucidi e affilati come rasoi.
Davvero a Londra, in quanto a strumentisti, sono davvero fortunati.
Il Coliseum, oltre ad essere per me il teatro più bello del mondo, ha un'acustica da paura.
Non c'entra con il post ma ve lo volevo dire.
WSM
Jones a Londra, nel 2005, aveva firmato un capolavoro, fortunatamente passato alla Scala. Senza i cascami grotteschi e ossessivi di certa tradizione espressionista dell'opera, la sua Lady Macbeth era davvero una claustrofobica corsa all'abisso in cui l'ingenuità, l'infantilismo, la sensualità greve ma allo stesso tempo freschissima della protagonista, (una Westbroek di mostruosa bravura sia vocale che scenica), la crudeltà feroce però priva di un disegno preciso unita ad una tendenza a pasticciare, davvero colmavano di sottotesti questa figura piuttosto monolitica e davano alla vicenda una profondità di prospettive che, lo ammetto, io avevo sempre faticato a trovare.
Ma la Lady è anche un'opera di sesso, sangue e sperma. E se Jones da questa triade si era tenuto volutamente lontano (anzi, cavalcando l'onda del paradosso si permetteva -come solo i geni si possono permettere- di smontare l'erotismo dei climax con un umorismo da cinepanettone perfettamente costruito sulla musica), Kusej -per citare un altro celebre allestimento delle scorse stagioni- ad Amsterdam ci si è buttato a capofitto. A differenza del regista inglese, Kusej procede per accumulo e l'opera diventa una serie continua di calci nello stomaco e momenti softcore che però di originale e di autenticamente feroce hanno ben poco. C'è sempre la Westbroek, anche qui molto brava, ma conciata dal regista come una Volpina di Amarcord imbottita di estrogeni finisce per esaurire qualunque carica emotiva e sessuale e ci appare, scena dopo scena, sempre più monotona e, scusatemi, anche un po' ritardata.
Nutrivo grandi aspettative su Cerniakov. In realtà i conti sono tornati, ma fino a un certo punto. Senza dubbio si è trattato di uno spettacolo coinvolgente, dal ritmo intenso, senza tempi morti, curatissimo nei dettagli; ma questo, trattandosi di quello che attualmente è tra i pochi registi più rappresentativi del teatro d'Opera, lo davo per scontato. In questa Lady Macbeth sembra che Cerniakov sia caduto un po' nella trappola Michieletto; sposto l'ambientazione, modernizzo ed esagero i climax (Sergei scopa Katerina sulle benne di un muletto da magazzino che va su e giù, si spoglia nudo dopo la fustigazione e Kate lo lava come Maddalena con Cristo, nel finale lei muore schiacciata dagli stivali dei violentissimi carnefici in un tripudio splatter, perchè?...), insomma, Cerniakov in questo caso attualizza tutto con disinvoltura, ma, in fondo, lascia poi tutto così com'è. Se prendiamo il lavoro fatto da Cerniakov sulle Carmelitane, sul Macbeth, sulla Jenufa siamo su un altro pianeta. Qui era un po' roba da Calixto Bieito.
Lei era la Racette. Milfonissima esponente della serie A2 del Met, la Racette si è comportata con onore ma è troppo avanti per la parte. Gli acuti erano tirati, le frasi lunghe le mozzavano il fiato e la mancanza di un autentico carisma ha reso incolore il monologo del quarto atto. Niente di disastroso, ma la parte è quella che è. Bisogna essere autentici.
Sergei era John Dazak. Artista intellegente, una faccia e un espressione da autentico teppista, ma anche lui al limite della tenuta in una parte che ha pochi acuti ma è acutissima come tessitura.
Peter Hoare, colonna portante del comprimariato britannico, qui ha costruito un Boris all'opposto dei soliti vecchi satiri puzzoni e alcolizzati. Forse uno dei tocchi più interessanti di Cerniakov. Capo della ditta di import export in un cui si svolge l'azione, è sempre ben vestito, affascinante, diresti quasi profumato. Un David Niven anziano. Più che autoritario, è autorevole. L'idea è buona ma, come dicevo sopra, anche qui è risolta solo dall'esterno e, nei momenti più parossistici, abbiamo il solito Boris inverrito, però in quest'allestimento vestito con eleganza e con le scarpe lucide.
Grandissima sorpresa sul fronte orchestrale.
Mark Wigglesworth, 51 anni, da questa stagione direttore stabile dell'ENO è un musicista di razza. Ha serrato la partitura monstre in una morsa teatrale dal ritmo perfetto e inesorabile. Avevo già ascoltato alcune sue registrazioni di Sostakovich ed ero rimasto sorpreso. Questa è una conferma. Orchestra di sbalorditiva precisione e bravura, con ottoni taglienti, percussioni ossessive ed archi lucidi e affilati come rasoi.
Davvero a Londra, in quanto a strumentisti, sono davvero fortunati.
Il Coliseum, oltre ad essere per me il teatro più bello del mondo, ha un'acustica da paura.
Non c'entra con il post ma ve lo volevo dire.
WSM