mattioli ha scritto:Ho sbagliato a non andare... Però non male la finta diretta su Sky (a parte la penosa chiacchiera iniziale...)
Ciao
AM
Caro Alberto e cari tutti, certo che hai sbagliato a non andare.
Primo, perché ti conosco abbastanza bene per poter affermare che ti saresti divertito; secondo, perché non ti saresti unito al coro (cosa che comunque prudentemente non hai fatto) di quelli che snobbano questo allestimento sulla base della diretta televisiva.
Non voglio essere frainteso quindi mi sia permesso di chiarire un concetto. I video d'opera sono benemeriti, ne ho la casa invasa e rappresentano il mio pane quotidiano. In molti casi un video d'opera migliora quando non addirittura salva uno spettacolo. In alcuni casi (vedi recente Chenier della ROH) la visione al cinema -fatte ovviamente le debite proporzioni- non era poi così lontana da quella in sala.
Purtroppo in questa abbinata verista di Salzburg, no.
Io ero in sala e il giorno dopo davanti alla tele e devo ammettere che se Cavalleria, per il rotto della cuffia, passa anche nel video, Pagliacci nel piccolo schermo perde quasi la totalmente la sua ragion d'essere e questo spiega il perchè. anche menti raffinate, abbiano liquidato questa regia come "convenzionale".
Mi spiego.
Primo:
Il palcoscenico è diviso in sei riquadri. E si tratta di un palcoscenico monstre con un boccascena impressionante. I riquadri non sono messi lì a caso ma seguono precise logiche drammaturgiche comuni alle due opere. Nei riquadri superiori si svolgono le azioni che hanno connotazioni "private"; in quelli inferiori i momenti, diciamo così, pubblici.
Chiamiamo i quadri superiori ABC e quelli inferiori DEF. Okay?
Bene il quadro B in ambedue le opera è il fulcro della narrazione. E' li dove si consuma lo strazio del protagonista e la sua finzione. In Cavalleria è la cucina di un appartamento in una polverosa e inquinata metropoli, di quelle avvelenate da film alla Tim Burton. In quel buco Turiddu canta un straziante serenata che diventa un inno alla propria solitudine e al proprio fallimento di padre, di figlio e di uomo. Qui è dove la sua finzione della famiglia felice si sta sgretolando.
In Pagliacci il quadro B è il palcoscenico (non c'è bisogno di spiegazioni, no?) in cui Canio (ma anche Nedda, Tonio e Beppe) recita e quando la finzione si rompe, il suo dolore diventa insostenibile e può solo contenerlo con un massacro. Ed è il luogo dove anche Silvio viene a morire e in cui Canio rimane prigioniero.
I riquadri inferiori, quelli pubblici, contengono anche loro due luoghi ormai considerati archetipi della finzione; in Pagliacci l'arena e il palcoscenico visto di sguincio dove avverrà lo spettacolo e in Cavalleria, la chiesa, teatro per eccellenza, che - con i suo riti spettacolari e fastosi- copre di ipocrisia i drammi e i peccati dei protagonisti in un tripudio generale.
I personaggi si muovono da un riquadro all'altro: basta vedere dove comincia il duetto Santuzza e Turiddu e dove finisce, (da D passa a B) oppure dove Turiddu canta l'addio alla Madre (C, l'ufficio di Mamma Lucia, per morire in A, la chiesa). Aggiungo che qui la regia video non fa vedere l'uccisione di Turiddu, il quale affronta Alfio con un coltello mentre quest'ultimo più sbrigativamente gli spara un pistolettata in pancia. (Niente però sorprassa in orrore i sicari che l'Alfio di Richard Jones all'ENO mandava per castrare con un serramanico il povero tenore...)
Potete capire come solo con una visione d'insieme si possa leggere compiutamente questo spettacolo.
Se, come ho detto, Cavalleria può funzionare anche in video (si chiude un quadro e se ne apre un altro con consequenzialità), Pagliacci invece funziona poco. O meglio, quello che arriva è una regia discreta, tranquilla, forse un pochetto eccentrica, ma tutto sommato simile a quelle abbiamo già visto centomila volte.
In Pagliacci i livelli di finzione suono addirittura tre: il proscenio (dove la compagnia di attori e cantanti arriva alla spicciolata e dove Platanias non ancora Tonio canta il prologo ma, cosa più importante, dove Kaufmann non più Canio canta la Giubba e dove finalmente ti rendi conto che quest'aria è speculare al prologo), il palcoscenico della Fespielehause vero e proprio dove è allestito Pagliacci (e dove Platanias diventa Tonio e Kaufmann Canio e così via...) e infine il teatrino dei girovaghi all'interno del teatro più grande dove Platanias diventato Tonio diventa Taddeo e dove Kaufmann diventato Canio diventa Pagliaccio.
Capite che se in Cavalleria la consequenzialità dell'azione aiutava, qui Stolz gioca la carta della contemporaneità d'azione e quindi solo ed esclusivamente con la visione di tutto quello che succede in scena si può leggere questo spettacolo.
Secondo:
Stolz legge i due titoli come un omaggio ai grandi del fumetto e delle graphic novel. I riquadri sono chiaramente vignette. La narrazione procede quindi con la sintassi del fumetto basata sulla consequenzialità, d'accordo, ma anche sull'elisione, sull'espressività da fermoimmagine, sui primi piani con dettagli più grandi del vero e sulle controscene. Questo modo di narrare e di far teatro può non piacere (ad esempio a me non piace) ma per capire questo spettacolo bisogna almeno averne un'idea.
Detto questo mi chiedo perchè mai abbianoo affidato a Brian Large la regia video di uno spettacolo come questo. Large è bravissimo, coltissimo, un musicista di fino, ma è uomo del secolo scorso, in questo caso palesemente a disagio con questi nuovi stili di narrazione. Infatti impagina una regia video tradizionalissima: inquadra chi canta, quando cantano in due fa i suoi bei piani americani e ogni tanto prende un totale alternato a inutili primi piani su questo o quel corista... insomma, scusatemi, vi ha fatto vedere un'altra opera.
Capisco che riprendere questi Pagliacci fosse difficilissimo se non impossibile, ma qualcosa si poteva studiare.
Un esempio per tutti.
Durante l'intermezzo Canio si trucca e si prepara per andare in scena.
Ritornando al nostro schemino dei riquadri, Canio insegue e minaccia Nedda in E ed F per poi risalire in A (il camerino).
Bene. Large inquadra Kaufmann di tre quarti seduto al tavolo da trucco. Come tutti i Canio della storia. A teatro, nel riquadro C viene proiettato il primo piano del volto di Kaufmann che a poco a poco si trasforma in una maschera di morte incombente, la biacca rende glaciale lo sguardo, la rete in testa lo trasforma in un calvo, il rossetto spalmato come un taglio sanguinolento su un pezzo di carne ( vi dice niente... Hugo?, l'Uomo che ride e la sua declinazione fumettistica nel Joker di Batman?) lo fa diventare una maschera del terrore. E mentre nei riquadri inferiori parte tutto il casino dell'apertura di sipario questo gigantesco primo piano che occupa tutto il riquadro all'estrema destra incombe sulla scena del coro come una maledizione: Canio trasformato in una sorta di rettile minaccioso e mai la musica di Leoncavallo ha avuto dei connotato così sardonici, minacciosi ed inquietanti e Stoelz ne ha esaltato tutto il potenziale sinistro. Altro che convenzione.... In televisione invece si vede il solito Canio impietrito che aspetta di entrare in scena.
Terzo
Grandi emozioni sul fronte musicale. E finalmente non solo per il tenorissimo.
Voi sapete bene come io non sia morbido con Thielemann. Un grande direttore ma a mio avviso, in un certo repertorio, fin troppo ancorato a una tradizione di cui è un alfiere fuori tempo massimo. In Cavalleria, forse libero da qualsiasi sovrastruttura e legaccio ideologico, ha dato fuoco alle polveri valorizzando, sottolineando, esaltando ogni più piccolo particolare della partitura e con evidenza ci siamo finalmente resi conto di tutto il potenziale innovativo e geniale della partitura di Mascagni. E qui Mattioli ha ragioni da vendere: Cavalleria è di gran lunga superiore a Pagliacci per inventiva, sperimentazione ritmica e armonica (tutta un'anacrusi con quegli sfacciati unisoni degli archi che arrivano tipo pugni allo stomaco), sintesi narrativa; Pagliacci, al confronto, è un'opera derivativa, puzza di esercizio di stile, è senza dubbio coinvolgente, ma si intravede troppo spesso il compito da primo della classe. E qui, lo ammetto, Thielemann cade nel trappolone. I suoi Pagliacci sono davvero troppo sinfonici, troppo, non so come dire, suonati (meravigliosamente da Dresda, ovvio), troppo esagerati, se mi si passa questo termine. Nel finale del duetto Neddo/Silvia ti aspettavi che entrasse, al posto di Tonio, Brangania. D'accordo che Leoncavallo pensava al duettone, però....
Comunque sono fisime, è stato bravissimo e devo ammettere che il suono della trasmissione SKy (a patto di essere sentito come si deve e non nelle cassettine del tivù) non sfigurava. Peccato l'orrendo coro che ogni due per quattro andava fuori tempo.
Quarto
Le voci. Su Kaufmann niente da dire se non che si sente più a sua agio in Turiddu che in Canio. Avrei detto il contrario. Sinceramente a me il suo Canio coattone slavo da fiction americana è piaciuto molto. Senza dubbio tenore da loggione al quadrato. Brava la Monastyrska. In alcuni punti bravissima. Meno bene la Agresta. In tivù figura molto ma dal vivo si sentiva poco. A disagio Maestri. Decente Platanias. Ottimo l'Arlecchino di Tansel Akzeybek.
Oh, quest'anno è andata. Sotto una tormenta di neve. Ma l'anno prossimo, con l'Otello di Botha
, della Roschmann
e di Hvorostovsky
non mi vedono neanche di fronte alla televisione.
Scusate la lenzuolata.
WSM