Requiem Verdi, Jurovskij-Parigi, Gatti-Firenze
Inviato: dom 08 feb 2015, 23:22
Evenienza eccezionale, ascoltare due volte in cinque giorni la Messa da Requiem di Verdi per mano di Vladimir Jurovskij a Parigi e di Daniele Gatti a Firenze. Naturalmente, i due approcci e i due esiti sono stati estremamente differenti, il che ha reso l'ascolto vieppiù stimolante.
Jurovskij è un grande estroso, e un grande direttore: ne ricordiamo i meravigliosi Mahler dello scorso anno a Ferrara e Roma, e tanto altro. E' una personalità strabordante e tendenzialmente "noir": il rischio è che tale estro si trasformi talora, dal punto di vista interpretativo, in un "famolo strano". Ed è quant'è accaduto con questo Requiem. Aspro,.violento, naturalmente "noir", immerso in un clima dal quale è escluso ogni senso di speranza. Un canto acre, rabbioso di condannati all'Inferno dei quali, poco ma sicuro, il "Buon" (ma qui feroce) Dio o non si cura o ha già deciso la dannazione. Non c'è nemmeno molto Dio, in questo Requiem laicissimo nell'espressione. Non c'è preghiera: tanto è vero che l'Offertorio (compreso un glaciale "Hostias et preces") trascorre in un gelo mortale. Il Dies Irae scoppietta grottesco, il LIbera Me è una sillabazione fredda e inane. Non c'è speranza: solop morte e inferno. Visione suggestiva, alquanto eterodossa, portata avanti con fraseggi corti e iperontrollati, un po' rigidi anche un po' irritanti. Sicuramente il tutto emana un fascino strano. Che il Requiem di Verdi sia questo, non saremmo sicuri. Molto "sfogata" nel canto tendenzialmente squadrato una compagnia di canto , Maria Kovaleska un po' stridula, Ildiko Komlosi un po' logora, Dmytro Popov stentoreo anche nell'Ingemisco, e il poco timbrato basso Nikolaj Didenko. Buon successoi, non trionfo al Theatre du Champs Elysees.
Di ben altra profondità la lettura di Daniele Gatti, in meoria di Claudio Abbado, oggi a Firenze, nella pur dispersiva acustica del nuovo teatrone. Gatti è legatissimo ad Abbado: ne è, tematicamente e nel modo di intendere la professione, il successore, nella riservatezza dei modi, nella profondità dell'analisi e dell'interpretazione. Ne ricordavamo il Requiem eseguito a Parma,. lirico, mistico, alla fine fondamentalmente sereno. Qui ne ha voluto fare un accorato ricordo, ancora lirico ma anche tragico negli accenti (Dies Irae con la grancassa squassante, fuga del Libera me) pur se ancora lirico e pregato (qui Dio c'è) nelle parti solistiche, affidate ad un quartetto tutto italiano nettamente superiore ai tonitruanti slavi attivi con Jurovskij. L'indisposta Cedolins ha trovato meravigliosa sostituta in una Carmela Remigio di voce non grande ma penetrante, limpida, cristallina e accento intenso. Perfetta la Veronica Simeoni. Memorabile Francesco Meli in un Ingemisco a fior di labbra e nell'Offertorio: il solito poeta del fraseggio. Puntuale il basso Zanellato. Tempi distesi, intensità struggente hanno caratterizzato la lettura di Gatti che ha goduto della straprdinaria prova del coro del Maggio, decisamente superiore per adesione al linguaggio verdiano al "chiaro" (sbilanciato sulle voci femminili) Orpheon di Pamplona a disposizione di Jurovskij. A Parigi, la London Philarmonic è stata precisissima (un memorabile Tuba Mirum!) ma non molto espressiva e dura nei fraseggi. A Firenze, l'Orchestra del Maggio ha sbavato qua e là (Tuba Mirum) ma ha espresso ben altro calore di suono e ben altra duttilità di frase. Senza far torto ad un direttore che amiamo quale Jurovskij, il Requiem di Daniele Gatti a Firenze ci è parso di ben altra caratura e temperie interpretativa. Con Salonen in Ravel a Parigi e Gatti in Verdi a Firenze abbiamo "viaggiato" al top in una settimana di intensissimi ascolti.
marco vizzardelli
Jurovskij è un grande estroso, e un grande direttore: ne ricordiamo i meravigliosi Mahler dello scorso anno a Ferrara e Roma, e tanto altro. E' una personalità strabordante e tendenzialmente "noir": il rischio è che tale estro si trasformi talora, dal punto di vista interpretativo, in un "famolo strano". Ed è quant'è accaduto con questo Requiem. Aspro,.violento, naturalmente "noir", immerso in un clima dal quale è escluso ogni senso di speranza. Un canto acre, rabbioso di condannati all'Inferno dei quali, poco ma sicuro, il "Buon" (ma qui feroce) Dio o non si cura o ha già deciso la dannazione. Non c'è nemmeno molto Dio, in questo Requiem laicissimo nell'espressione. Non c'è preghiera: tanto è vero che l'Offertorio (compreso un glaciale "Hostias et preces") trascorre in un gelo mortale. Il Dies Irae scoppietta grottesco, il LIbera Me è una sillabazione fredda e inane. Non c'è speranza: solop morte e inferno. Visione suggestiva, alquanto eterodossa, portata avanti con fraseggi corti e iperontrollati, un po' rigidi anche un po' irritanti. Sicuramente il tutto emana un fascino strano. Che il Requiem di Verdi sia questo, non saremmo sicuri. Molto "sfogata" nel canto tendenzialmente squadrato una compagnia di canto , Maria Kovaleska un po' stridula, Ildiko Komlosi un po' logora, Dmytro Popov stentoreo anche nell'Ingemisco, e il poco timbrato basso Nikolaj Didenko. Buon successoi, non trionfo al Theatre du Champs Elysees.
Di ben altra profondità la lettura di Daniele Gatti, in meoria di Claudio Abbado, oggi a Firenze, nella pur dispersiva acustica del nuovo teatrone. Gatti è legatissimo ad Abbado: ne è, tematicamente e nel modo di intendere la professione, il successore, nella riservatezza dei modi, nella profondità dell'analisi e dell'interpretazione. Ne ricordavamo il Requiem eseguito a Parma,. lirico, mistico, alla fine fondamentalmente sereno. Qui ne ha voluto fare un accorato ricordo, ancora lirico ma anche tragico negli accenti (Dies Irae con la grancassa squassante, fuga del Libera me) pur se ancora lirico e pregato (qui Dio c'è) nelle parti solistiche, affidate ad un quartetto tutto italiano nettamente superiore ai tonitruanti slavi attivi con Jurovskij. L'indisposta Cedolins ha trovato meravigliosa sostituta in una Carmela Remigio di voce non grande ma penetrante, limpida, cristallina e accento intenso. Perfetta la Veronica Simeoni. Memorabile Francesco Meli in un Ingemisco a fior di labbra e nell'Offertorio: il solito poeta del fraseggio. Puntuale il basso Zanellato. Tempi distesi, intensità struggente hanno caratterizzato la lettura di Gatti che ha goduto della straprdinaria prova del coro del Maggio, decisamente superiore per adesione al linguaggio verdiano al "chiaro" (sbilanciato sulle voci femminili) Orpheon di Pamplona a disposizione di Jurovskij. A Parigi, la London Philarmonic è stata precisissima (un memorabile Tuba Mirum!) ma non molto espressiva e dura nei fraseggi. A Firenze, l'Orchestra del Maggio ha sbavato qua e là (Tuba Mirum) ma ha espresso ben altro calore di suono e ben altra duttilità di frase. Senza far torto ad un direttore che amiamo quale Jurovskij, il Requiem di Daniele Gatti a Firenze ci è parso di ben altra caratura e temperie interpretativa. Con Salonen in Ravel a Parigi e Gatti in Verdi a Firenze abbiamo "viaggiato" al top in una settimana di intensissimi ascolti.
marco vizzardelli