Moderatori: DocFlipperino, DottorMalatesta, Maugham
vivelaboheme1 ha scritto:No. Daniele Gatti non "tira via" mai e proprio mai!
vivelaboheme1 ha scritto:
P.S. Comunque mi unisco al ringraziamento per il resoconto di Manon che mi sarebbe piaciuto ascoltare (per il cast vocale), e anche vedere!
dollarius@libero.it ha scritto:vivelaboheme1 ha scritto:
P.S. Comunque mi unisco al ringraziamento per il resoconto di Manon che mi sarebbe piaciuto ascoltare (per il cast vocale), e anche vedere!
Se ti interessa e se hai tempo sul sito di BR Klassik si trova ancora per intero.
Ciao
Irina
pbagnoli ha scritto:Io ringrazio l'amico per questo bellissimo resoconto.
Ma perché Neuenfels ha bisogno di spostare sempre l'asse dell'attenzione, come se la drammaturgia non bastasse a riempire il palcoscenico?
Maugham ha scritto:Come ho scritto, il ruolo del mediatore culturare è determinante nella formazione di quasi tutti (diciamo pure tutti) i registi di area tedesca e dell'Europa centrale. Basta considerare che anche due campioni del borderline (ovvero vicini per certi aspetti alla scuola registico-narrativa anglosassone) come Guth ed Herheim non riescono a sottrarsi a questo ruolo. Soprattutto quando affrontano il repertorio italiano.
Repertorio che, come sottolinei, ha in molti casi un passo teatrale e narrativo diretto, preciso e fulminante.
mattioli ha scritto:In ogni caso la vera notizia e che è tornato Maugham!
DocFlipperino ha scritto:Una impressione personale. Sentita in radio mi sembra che la Poppolais le note di Manon le abbia più nelle tette che in gola.... se mi spiego....
Maugham ha scritto:L'asino casca in Verdi e Puccini. Compositori noti per stare molto sul pezzo e con fini precisi.
Prendiamo Puccini, visto che stiamo parlando di questo.
L'obbiettivo del compositore è quello di "commuovere". Non si scappa. Puoi girarlo, voltarlo, ribaltarlo... Puccini a quello mira e quello ottiene.
Attenzione però, quando parlo di "commozione" non intendo il pianto della nonna o del nonno di fronte alle sventurate vicende della protagonista. Quello, sono capaci tutti, anche Zeffirelli nel Campione... , quella non è commozione, è solo pornografia della lacrima. Puccini non tratta quella roba.
Puccini usa il termine commozione in un senso più sottile. Per lui la commozione è la partecipazione, l'empatia, il comune sentire che ti prende quando sei a teatro e vedi/senti un suo spettacolo. Per lui la commozione è provare, seppure per un attimo, gli stessi sentimenti che provano i personaggi sul palcoscenico.
Quando muore Mimì, non piangiamo perchè muore una dolce e civettuola fanciulla a cui ci eravamo affezionati. Con la morte di Mimì (diro una cosa banale perdonatemi) noi sentiamo lo struggente rimpianto per la morte di una fase della vita; l'adolescenza o la prima maturità, chiamatela come volete. La morte di Mimì (ma anche di Manon, ma meno) fa risuonare dentro di noi il campanello che possiamo chiamare "momento della verità" con cui tutti facciamo i conti. E proviamo, altre allo sgomento, anche un senso di paura. Come lo provano Schaunard, Colline e Marcello che si ritraggono spaventati di fronte a questa resa dei conti. E si ritrae anche la musica.
L'arrivo della morte in quella gelida soffitta di Parigi non è poi così lontano, nella sua terribilità, dall'arrivo della Morte Rossa nella reggia di Prospero. Anche lì, Poe come Puccini, hanno lavorato spietatamente sul "momento della verità".
Per questo analizzare Puccini con occhio oggettivo, o ancora peggio critico, come fanno molti esponenti del regietheater (in buona fede, non lo nego e con intenti tutt'altro che dissacratori ma anzi con velleità di nobilitare qualcosa che per me è già nobilissimo) mi fa morire dal ridere. E forse farebbe ridere anche lui.
WSM
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