vittoriomascherpa ha scritto:pbagnoli ha scritto:...per me l'Oratorio può essere tranquillamente gestito con una regia alla stregua di qualunque altro spettacolo teatrale
Credo anch'io che lo
possa, e con ottimi esiti, anche se "drammatico" (come l'oratorio è di certo) e "teatrale" (come l'oratorio propriamente non è) non sono, a mio parere, veri sinonimi.
Hai perfettamente ragione ad operare tale distinzione in una prospettiva di storia del teatro e dei suoi linguaggi. Tuttavia ti (e vi) domando: non pensate che ad uno spettatore del giorno d´oggi, abituato ad una commistione postmoderna dei linguaggi e delle forme espressive, la distinzione tra teatralità dell´opera e non (o minore) teatralità dell´oratorio in Händel (o, più in generale, nel repertorio "barocco") passi quasi inosservata? Quel linguaggio apparentemente così lontano dal nostro (opera e oratorio barocco) hanno trovato (inaspettatamente o forse no) nuova vitalitá grazie ad una declinazione che renda tale linguaggio comprensibile ad occhi ed orecchi di uomini e donne d´oggi. Come se per rendere comprensibile l´Odissea ad un teenager asiatico venisse trasposta in formato "manga"
E, a ben pensare, sia opera che oratorio barocco sono stati "tradotti" visivamente in modo analogo, sebbene con esiti qualitativamente diversi (mica tutti sono come il Sellars della Theodora o il Guth del Messiah
). Ma il processo,sebbene non uniforme, ha comunque coinvolto entrambi i generi in maniera abbastanza simmetrica: si continua ancora a fare Händel come lo faceva Pizzi così come inscenare oratori in costumi settecenteschi e pose da vigile urbano, ma comunque in entrambi i generi si è osservata una contaminazione con la "modernitá". E questa contaminazione è stata similare per entrambi i generi, non avendo privilegiato uno solo dei due. Forse questa "traduzione comune" di due generi originariamente così differenti rende la distinzione tra i due, almeno per uno spettatore d´oggi, quasi una questione di lana caprina.
Che dite?
DM