Parsifal, regia di Romeo Castellucci
Inviato: lun 20 gen 2014, 18:29
Sabato pomeriggio, al Teatro Comunale di Bologna, ho assistito al Parsifal di Castellucci, la sua prima regia d´opera (e che opera!).
Impossibile passare sopra all´imbarazzante inadeguatezza del coro e dell´orchestra (che pure ho avuto modo di apprezzare, e molto, in Rossini a Pesaro), del cast, e soprattutto della direzione: un Roberto Abbado che alle prese col suo primo Wagner (e che Wagner!) sembrava fare il verso a Knappertsbusch. Con un primo atto di un´ora e cinquanta, e più in generale in generale tempi che hanno compromesso seriamente la tenuta del cast e dell´orchestra.
Dal punto di vista visivo, sono davvero in difficoltà nell´esprimere un parere. Questo Parsifal è stato al contempo tutto e il contrario di tutto, sia dal punto di vista contenutistico che formale. Un Parsifal ecologista, socialista, religioso, laico… Un Parsifal con simbolismi da scuola serale, gestione dei cantanti e delle masse mediocre, simbologie complesse, continui rimandi ad altre opere d´arte. Se qualcuno, come Gurnemanz, mi chiedesse: „weißt du, was du sahst? Sai dirmi cosa hai visto visto?” sarei in difficoltà nel rispondere. Più che un´opera intesa e rappresentata in senso tradizionale, questo Parsifal fondeva in sé aspetti da video-clip e video-art, body art, happening. Vi propongo qui di seguito la mia proposta di lettura dello spettacolo che comunque vi consiglio caldamente di vedere dal vivo (o per chi non potesse anche in video, essendo disponibile il DVD delle recite a Bruxelles, che peraltro non possiedo, e quindi non so quanto possa aver reso l´immediatezza dello spettacolo).
Il Parsifal di Romeo Castellucci, il Redentore che libera
Mentre risuona il preludio, campeggia una gigantesca foto di Nietzsche, il filosofo che aveva accusato Wagner di essersi “prostrato, derelitto e affranto, ai piedi della croce”. Nella seconda parte del preludio, che tanto insiste sul motivo del dolore di Amfortas, compare un serpente, elevato fino all´altezza dell´orecchio del filosofo. Parsifal, diceva Nietzsche, è una musica che avvelena l´anima.
In Also sprach Zarathustra Nietzsche scrive a proposito dei preti: “io ho sofferto e soffro con loro: essi sono per me dei prigionieri e dei segnati. Colui che essi chiamano Redentore, li ha stretti in catene. Li ha incatenati in falsi valori e folli parole! Ahimè, potesse qualcuno salvarli dal loro Redentore!”. E, nella visione di Castellucci e della sua dramaturg Piersandra Di Matteo, Cristo, il Graal, il Redentore, è redento da Parsifal, dal Parsifal, dall´Uomo Nuovo, dal nuovo Adamo, da una nuova umanità. Erlösung dem Erlöser.
Parsifal non è più un “Bühnenweihfestspiel” inteso come “azione drammatica di iniziazione ad un nuovo modo di intendere la scena”, in cui l´arte riscatta e redime la religione. Questa in fondo, era l´intenzione del compositore che nei Meistersinger aveva cantato la gloria di un´arte che poteva elevare l´uomo a Dio -“Parnaß und Paradies”-, e in Parsifal scrive l´omaggio ultimo e supremo alla propria arte, l´arte del futuro, il teatro del futuro. Parsifal e Bayreuth, il teatro dove il Tempo diventa Spazio, e la Musica Architettura. Per Castellucci il Parsifal è invece un´azione scenica di iniziazione ad una nuova umanità, libera dai vincoli, dalle catene, dalle costrizioni. E Parsifal un nuovo Prometeo, un nuovo Adamo, un nuovo Cristo.
Montsalvat è mons salvationis, ma è anche mons silvaticus. E proprio in una selva è ambientato il primo atto di questo Parsifal. Una selva dantesca, dove l´uomo si perde come in un labirinto dell´anima. Smarrirsi e ritrovarsi, è il labirinto della vita. Un bosco che è specchio della vita interiore dell´umanitá, la waste land di Eliot. Cadono, appassite, le foglie. Alcuni alberi vengono sradicati. Kundry è una donna seminuda, legata ad un albero; come Eva, anch´ella è vittima del peccato, costretta da legami che la vincolano, la limitano, la imprigionano.
Alcuni uomini e donne camminano in lontananza: zaino sulle spalle, sono viandanti sul sentiero della vita. Uno di essi, si allontana dalla strada maestra, decide di smarrirsi (inevitabile il riferimenti all´ incipit della commedia: “nel mezzo del cammin di nostra vita/ mi ritrovai per una selva oscura / ché la diritta via era smarrita): è Parsifal. Parsifal che oltrepassa una corda rossa, una recinzione, un legame, un limite, ed accede al cuore della foresta. Questa la sua “colpa”, questa la sua “uccisione del cigno”. Parsifal vuole infrangere un vincolo, ogni vincolo. Per questa la sua prima azione è quella di liberare Kundry dal suo legame, per poi accostarsi allo scheletro di un cigno e a quello di un essere umano. Memento mortis. L´uomo che si confronta con il limite, con la morte, con la sua storia passata e futura.
Al termine della Verwandlungsmusik questa selva si manifesta per quello che è: terra guasta (waste land, dead land), malata, putrefatta, illuminata da una luce fredda, immobile, lattescente. E ben presto questa foresta lascia spazio alla civiltà: sullo sfondo si intravede l´architettura ad arco di un teatro (o forse di una chiesa) in fase di costruzione. Il grido disperato di Amfortas è il dolore di una natura violata, un´orrenda oscuritá che partendo dal suo corpo si dilata a dismisura fino ad invadere tutto il teatro.
Enthüllet den Graal!, proclama Titurel. Ma qui il velo, anziché cadere, viene sollevato. E l´ostensione diviene mistero: compare una tenda, bianca, su cui –nero- spicca il segno di un apostrofo. Segno di elisione, esso è assenza e al contempo presenza. Come Dio, l´apostrofo è un´assenza presente e una presenza assente. Dio che per alcuni è un´ipotesi, per altri una certezza. Cosa vi sia dietro quella tenda, ognuno in cuor suo lo sa. Castellucci non interpreta il Graal. La domanda delle domande “Wer ist der Graal?, Chi è il Graal?” rimane senza risposta. E la Parola si fece carne e pose la sua tenda in mezzo a noi. La tenda dietro cui il Graal si rivela è anche la Shekinah degli Ebrei, la nascosta presenza di Dio. E l´apostrofo rimanda anche alla lettera ebraica “iot”, la prima delle quattro che formano il Tetragramma, il nome nascosto e impronunciabile di Dio. Ma l´apostrofo è anche legame, vincolo, unione. E quindi espressione del culto, della religione (da “re-ligare”, unire, congiungere, legare insieme”), la religione che determina un´unione sul piano orizzontale (tra gli uomini che celebrando uno stesso culto riconoscono l´appartenenza ad un gruppo) e sul piano verticale (il culto che è legame tra gli uomini e Dio).
La cerimonia di svelamento/velamento del Graal si è conclusa. La scena è ora vuota, dominata da un enorme disco nero: forse uno specchio, forse un riferimento alle figure archetipiche del Graal: un piatto a forma di disco (Gradalis), una pietra nera (lapis ex coelis). Parsifal trattiene una corda rossa, che gli viene sfilata dalle mani da Gurnemanz (Weißt du, was du sahst? Sai cosa hai visto?). La perdita del legame è la perdita del centro, la perdita del punto di riferimento, la perdita del senso. Che ora Parsifal dovrà trovare. Altrove.
Il secondo atto viene introdotto da una serie di didascalie che illustrano le caratteristiche e gli effetti sull´uomo di alcuni veleni e tossici. Parsifal, come riconosceva Nietzsche, è opera velenosa. E velenosa è la musica che apre il II atto, con il suo cromatismo esasperato e lacerante. Klingsor ha qui le fattezze di un direttore d´orchestra (il riferimento è al Parsifal di Syberberg, in cui Amfortas aveva le fattezze del direttore Armin Jordan). Emblema di supremazia, la bacchetta è simbolo fallico, strumento di dominazione, e il direttore d´orchestra è colui che lega tra loro i suoni, creando vincoli, legami, catene. Per Adorno il direttore d´orchestra è detentore di un potere sadico. E così questo Klingsor, che nel biancore asettico della scena, si dedica a pratiche di Kinbaku, la tradizione erotica giapponese che consiste nel legare delle donne nude. Corpi legati, corpi che si contorcono. Legami, corde, catene, vincoli. Una delle fanciulle di Klingsor si dispone, nuda, su una sorta di altare, le gambe aperte, il sesso in mostra. L´origine del mondo di Courbet. La donna madre, la donna amante. In questa stanza tutto è ambiguità e illusione; la luce sembra emanare da un lucernario da teatro, mentre invece origina da una più ordinaria torcia da cantiere.
Parsifal entra, novello Perseo, armato solo di uno specchio (rotondo, come il gigantesco disco nero alla fine del primo atto) per affrontare la Medusa-Kundry, che gli si accosta con un enorme pitone bianco attorcigliato attorno all´avambraccio. Ancora un legame, ancora un riferimento ad Eva e al peccato originale. Nel momento in cui Kundry-Medusa-Eva bacia Parsifal compare, sovrapposta, l´immagine di un´altra coppia che si bacia, si abbraccia e si unisce carnalmente: Herzeleide-Gamuret, Herzeleide-Parsifal, Kundry-Amfortas, Kundry-Parsifal. La sovrapposizione tra Parsifal e Amfortas (Amfortas! Die Wunde!) è così sperimentata sensorialmente anche dallo spettatore. E dalla sovrapposizione origina la separazione, la separazione tra donna madre e donna amante, da un lato Herzeleide, dall´altro Kundry. Cosí un primo legame (quasi un cordone ombelicale, verrebeb da dire) è reciso per sempre. Parsifal si libera da un vincolo, e così Kundry, che non è più Kundry, non è più Herzeleide, non è più Kundryggia, Herodias, Höllenrose, Urteufelin. Ma è solo una Namenlose, Una senza-nome (come il Parsifal del primo atto, ignaro di sé, incosciente di tutto). Una donna, peccatrice, che si dirige verso il fondo della scena, e sulla parete bianca scrive in nero: “ANNA, ME, NOW, TIED”: Anna, io, ora, legata. Ora, Kundry è solo Anna. Anna, nome palindromo. Anna Larsson. L´interprete di Kundry in questa produzione. Una donna come tante, sola, legata, incatenata, che aspetta chi le dia Erlösung (redenzione) e Lösung (scioglimento dai vincoli). Parsifal si avvicina al “doppio” di Namenlose-Kundry-Anna, una donna legata da strette catene, e comincia a redimerla e a scioglierla dai legami. Una volta liberata, questa donna nuova, liberata dal vincolo del peccato, spalanca le braccia in un gesto che diventa il (laico?) segno di croce che farà crollare il regno di Klingsor. E´ nata un´umanità nuova, libera e liberata.
Il terzo atto si apre con la solitudine di Gurnemanz, costretto a ripetere in continuazione, in una forma di sterile onanismo, dei gesti sacrali ormai privi di significato, svuotati di senso. Il rito è ora solo ripetizione, allucinazione, delirio. Entra Parsifal, e con lui entra un´umanità nuova: donne, uomini, vecchi e bambini. Un´umanità redenta e liberata. Parsifal accetta di sottoporsi al rito del battesimo e dell´unzione del capo, ripetendo la ritualità gestuale stanca e ripetitiva di Gurnemanz. Ma questo culto vuoto, egli lo rinnova dall´interno. E crea così una nuova religione, un nuovo legame simboleggiato da una corda rossa che passa di mano in mano, a creare un nuovo vincolo dà crea senso e valore (Mitleid, Cum-patire) all´umanità nuova. Questo è l´incantesimo del Venerdì Santo: un´umanità nuova che si mette in cammino. Una comunità di persone che avanza verso il proscenio (il riferimento visivo, chiarissimo, è a “Il Quarto Stato” di Giuseppe Pellizza da Volpedo) e comincia a camminare, tutta insieme, su un tapis roulant. Un´umanità in cammino, libera e liberata, che aspetta redenzione e libertà definitiva dai vincoli della storia. Mai a teatro mi era capitato di subire, fortissimo, un senso di disagio come quello sperimentato a partire da questa scena: questi uomini e donne camminano al proscenio per più di mezz´ora, e la tensione cresce in maniera impercettibile fino a farsi quasi insopportabile. Lo spettatore è a disagio, per la ripetitività, la coazione a ripetere, di quest´umanità libera dai vincoli del passato, e ora costretta da un nuovo legame a marciare in continuazione, su una storia che è essa stessa vincolo (“Irre!”, la maledizione dell´errore e dell´erranza). Questo è il Sehnen (Das Sehnen, das furchtbare Sehnen! La brama, la brama terribile!), la tensione (lo stress, direbbero gli inglesi) che crea lacerazione, dolore, sofferenza. Schopenhauer e il Buddismo non sono lontani.
Parsifal, Erlöser dell´umanità, ferma la ruota del divenire. E sta. Come Cristo, il Risorto, che – letteralmente “sta fermo in piedi” (anàstasis). Ma al posto della ben più rassicurante colomba, un cielo plumbeo, una città capovolta, scende dall´alto, minacciosa, e la sua oscurità invade la sala. Tutti se ne vanno. Dal gruppo degli uomini e delle donne si distacca una figura. Anna. Si accosta a Parsifal, poi si ritrae. Tra le immondizie di una strada di città, Parsifal resta solo. E con lui noi. Alla fine, una domanda, inquietante, resta: chi può redimere il Redentore? Chi lo può liberare? Erlösung dem Erlöser?
DM
Impossibile passare sopra all´imbarazzante inadeguatezza del coro e dell´orchestra (che pure ho avuto modo di apprezzare, e molto, in Rossini a Pesaro), del cast, e soprattutto della direzione: un Roberto Abbado che alle prese col suo primo Wagner (e che Wagner!) sembrava fare il verso a Knappertsbusch. Con un primo atto di un´ora e cinquanta, e più in generale in generale tempi che hanno compromesso seriamente la tenuta del cast e dell´orchestra.
Dal punto di vista visivo, sono davvero in difficoltà nell´esprimere un parere. Questo Parsifal è stato al contempo tutto e il contrario di tutto, sia dal punto di vista contenutistico che formale. Un Parsifal ecologista, socialista, religioso, laico… Un Parsifal con simbolismi da scuola serale, gestione dei cantanti e delle masse mediocre, simbologie complesse, continui rimandi ad altre opere d´arte. Se qualcuno, come Gurnemanz, mi chiedesse: „weißt du, was du sahst? Sai dirmi cosa hai visto visto?” sarei in difficoltà nel rispondere. Più che un´opera intesa e rappresentata in senso tradizionale, questo Parsifal fondeva in sé aspetti da video-clip e video-art, body art, happening. Vi propongo qui di seguito la mia proposta di lettura dello spettacolo che comunque vi consiglio caldamente di vedere dal vivo (o per chi non potesse anche in video, essendo disponibile il DVD delle recite a Bruxelles, che peraltro non possiedo, e quindi non so quanto possa aver reso l´immediatezza dello spettacolo).
Il Parsifal di Romeo Castellucci, il Redentore che libera
Mentre risuona il preludio, campeggia una gigantesca foto di Nietzsche, il filosofo che aveva accusato Wagner di essersi “prostrato, derelitto e affranto, ai piedi della croce”. Nella seconda parte del preludio, che tanto insiste sul motivo del dolore di Amfortas, compare un serpente, elevato fino all´altezza dell´orecchio del filosofo. Parsifal, diceva Nietzsche, è una musica che avvelena l´anima.
In Also sprach Zarathustra Nietzsche scrive a proposito dei preti: “io ho sofferto e soffro con loro: essi sono per me dei prigionieri e dei segnati. Colui che essi chiamano Redentore, li ha stretti in catene. Li ha incatenati in falsi valori e folli parole! Ahimè, potesse qualcuno salvarli dal loro Redentore!”. E, nella visione di Castellucci e della sua dramaturg Piersandra Di Matteo, Cristo, il Graal, il Redentore, è redento da Parsifal, dal Parsifal, dall´Uomo Nuovo, dal nuovo Adamo, da una nuova umanità. Erlösung dem Erlöser.
Parsifal non è più un “Bühnenweihfestspiel” inteso come “azione drammatica di iniziazione ad un nuovo modo di intendere la scena”, in cui l´arte riscatta e redime la religione. Questa in fondo, era l´intenzione del compositore che nei Meistersinger aveva cantato la gloria di un´arte che poteva elevare l´uomo a Dio -“Parnaß und Paradies”-, e in Parsifal scrive l´omaggio ultimo e supremo alla propria arte, l´arte del futuro, il teatro del futuro. Parsifal e Bayreuth, il teatro dove il Tempo diventa Spazio, e la Musica Architettura. Per Castellucci il Parsifal è invece un´azione scenica di iniziazione ad una nuova umanità, libera dai vincoli, dalle catene, dalle costrizioni. E Parsifal un nuovo Prometeo, un nuovo Adamo, un nuovo Cristo.
Montsalvat è mons salvationis, ma è anche mons silvaticus. E proprio in una selva è ambientato il primo atto di questo Parsifal. Una selva dantesca, dove l´uomo si perde come in un labirinto dell´anima. Smarrirsi e ritrovarsi, è il labirinto della vita. Un bosco che è specchio della vita interiore dell´umanitá, la waste land di Eliot. Cadono, appassite, le foglie. Alcuni alberi vengono sradicati. Kundry è una donna seminuda, legata ad un albero; come Eva, anch´ella è vittima del peccato, costretta da legami che la vincolano, la limitano, la imprigionano.
Alcuni uomini e donne camminano in lontananza: zaino sulle spalle, sono viandanti sul sentiero della vita. Uno di essi, si allontana dalla strada maestra, decide di smarrirsi (inevitabile il riferimenti all´ incipit della commedia: “nel mezzo del cammin di nostra vita/ mi ritrovai per una selva oscura / ché la diritta via era smarrita): è Parsifal. Parsifal che oltrepassa una corda rossa, una recinzione, un legame, un limite, ed accede al cuore della foresta. Questa la sua “colpa”, questa la sua “uccisione del cigno”. Parsifal vuole infrangere un vincolo, ogni vincolo. Per questa la sua prima azione è quella di liberare Kundry dal suo legame, per poi accostarsi allo scheletro di un cigno e a quello di un essere umano. Memento mortis. L´uomo che si confronta con il limite, con la morte, con la sua storia passata e futura.
Al termine della Verwandlungsmusik questa selva si manifesta per quello che è: terra guasta (waste land, dead land), malata, putrefatta, illuminata da una luce fredda, immobile, lattescente. E ben presto questa foresta lascia spazio alla civiltà: sullo sfondo si intravede l´architettura ad arco di un teatro (o forse di una chiesa) in fase di costruzione. Il grido disperato di Amfortas è il dolore di una natura violata, un´orrenda oscuritá che partendo dal suo corpo si dilata a dismisura fino ad invadere tutto il teatro.
Enthüllet den Graal!, proclama Titurel. Ma qui il velo, anziché cadere, viene sollevato. E l´ostensione diviene mistero: compare una tenda, bianca, su cui –nero- spicca il segno di un apostrofo. Segno di elisione, esso è assenza e al contempo presenza. Come Dio, l´apostrofo è un´assenza presente e una presenza assente. Dio che per alcuni è un´ipotesi, per altri una certezza. Cosa vi sia dietro quella tenda, ognuno in cuor suo lo sa. Castellucci non interpreta il Graal. La domanda delle domande “Wer ist der Graal?, Chi è il Graal?” rimane senza risposta. E la Parola si fece carne e pose la sua tenda in mezzo a noi. La tenda dietro cui il Graal si rivela è anche la Shekinah degli Ebrei, la nascosta presenza di Dio. E l´apostrofo rimanda anche alla lettera ebraica “iot”, la prima delle quattro che formano il Tetragramma, il nome nascosto e impronunciabile di Dio. Ma l´apostrofo è anche legame, vincolo, unione. E quindi espressione del culto, della religione (da “re-ligare”, unire, congiungere, legare insieme”), la religione che determina un´unione sul piano orizzontale (tra gli uomini che celebrando uno stesso culto riconoscono l´appartenenza ad un gruppo) e sul piano verticale (il culto che è legame tra gli uomini e Dio).
La cerimonia di svelamento/velamento del Graal si è conclusa. La scena è ora vuota, dominata da un enorme disco nero: forse uno specchio, forse un riferimento alle figure archetipiche del Graal: un piatto a forma di disco (Gradalis), una pietra nera (lapis ex coelis). Parsifal trattiene una corda rossa, che gli viene sfilata dalle mani da Gurnemanz (Weißt du, was du sahst? Sai cosa hai visto?). La perdita del legame è la perdita del centro, la perdita del punto di riferimento, la perdita del senso. Che ora Parsifal dovrà trovare. Altrove.
Il secondo atto viene introdotto da una serie di didascalie che illustrano le caratteristiche e gli effetti sull´uomo di alcuni veleni e tossici. Parsifal, come riconosceva Nietzsche, è opera velenosa. E velenosa è la musica che apre il II atto, con il suo cromatismo esasperato e lacerante. Klingsor ha qui le fattezze di un direttore d´orchestra (il riferimento è al Parsifal di Syberberg, in cui Amfortas aveva le fattezze del direttore Armin Jordan). Emblema di supremazia, la bacchetta è simbolo fallico, strumento di dominazione, e il direttore d´orchestra è colui che lega tra loro i suoni, creando vincoli, legami, catene. Per Adorno il direttore d´orchestra è detentore di un potere sadico. E così questo Klingsor, che nel biancore asettico della scena, si dedica a pratiche di Kinbaku, la tradizione erotica giapponese che consiste nel legare delle donne nude. Corpi legati, corpi che si contorcono. Legami, corde, catene, vincoli. Una delle fanciulle di Klingsor si dispone, nuda, su una sorta di altare, le gambe aperte, il sesso in mostra. L´origine del mondo di Courbet. La donna madre, la donna amante. In questa stanza tutto è ambiguità e illusione; la luce sembra emanare da un lucernario da teatro, mentre invece origina da una più ordinaria torcia da cantiere.
Parsifal entra, novello Perseo, armato solo di uno specchio (rotondo, come il gigantesco disco nero alla fine del primo atto) per affrontare la Medusa-Kundry, che gli si accosta con un enorme pitone bianco attorcigliato attorno all´avambraccio. Ancora un legame, ancora un riferimento ad Eva e al peccato originale. Nel momento in cui Kundry-Medusa-Eva bacia Parsifal compare, sovrapposta, l´immagine di un´altra coppia che si bacia, si abbraccia e si unisce carnalmente: Herzeleide-Gamuret, Herzeleide-Parsifal, Kundry-Amfortas, Kundry-Parsifal. La sovrapposizione tra Parsifal e Amfortas (Amfortas! Die Wunde!) è così sperimentata sensorialmente anche dallo spettatore. E dalla sovrapposizione origina la separazione, la separazione tra donna madre e donna amante, da un lato Herzeleide, dall´altro Kundry. Cosí un primo legame (quasi un cordone ombelicale, verrebeb da dire) è reciso per sempre. Parsifal si libera da un vincolo, e così Kundry, che non è più Kundry, non è più Herzeleide, non è più Kundryggia, Herodias, Höllenrose, Urteufelin. Ma è solo una Namenlose, Una senza-nome (come il Parsifal del primo atto, ignaro di sé, incosciente di tutto). Una donna, peccatrice, che si dirige verso il fondo della scena, e sulla parete bianca scrive in nero: “ANNA, ME, NOW, TIED”: Anna, io, ora, legata. Ora, Kundry è solo Anna. Anna, nome palindromo. Anna Larsson. L´interprete di Kundry in questa produzione. Una donna come tante, sola, legata, incatenata, che aspetta chi le dia Erlösung (redenzione) e Lösung (scioglimento dai vincoli). Parsifal si avvicina al “doppio” di Namenlose-Kundry-Anna, una donna legata da strette catene, e comincia a redimerla e a scioglierla dai legami. Una volta liberata, questa donna nuova, liberata dal vincolo del peccato, spalanca le braccia in un gesto che diventa il (laico?) segno di croce che farà crollare il regno di Klingsor. E´ nata un´umanità nuova, libera e liberata.
Il terzo atto si apre con la solitudine di Gurnemanz, costretto a ripetere in continuazione, in una forma di sterile onanismo, dei gesti sacrali ormai privi di significato, svuotati di senso. Il rito è ora solo ripetizione, allucinazione, delirio. Entra Parsifal, e con lui entra un´umanità nuova: donne, uomini, vecchi e bambini. Un´umanità redenta e liberata. Parsifal accetta di sottoporsi al rito del battesimo e dell´unzione del capo, ripetendo la ritualità gestuale stanca e ripetitiva di Gurnemanz. Ma questo culto vuoto, egli lo rinnova dall´interno. E crea così una nuova religione, un nuovo legame simboleggiato da una corda rossa che passa di mano in mano, a creare un nuovo vincolo dà crea senso e valore (Mitleid, Cum-patire) all´umanità nuova. Questo è l´incantesimo del Venerdì Santo: un´umanità nuova che si mette in cammino. Una comunità di persone che avanza verso il proscenio (il riferimento visivo, chiarissimo, è a “Il Quarto Stato” di Giuseppe Pellizza da Volpedo) e comincia a camminare, tutta insieme, su un tapis roulant. Un´umanità in cammino, libera e liberata, che aspetta redenzione e libertà definitiva dai vincoli della storia. Mai a teatro mi era capitato di subire, fortissimo, un senso di disagio come quello sperimentato a partire da questa scena: questi uomini e donne camminano al proscenio per più di mezz´ora, e la tensione cresce in maniera impercettibile fino a farsi quasi insopportabile. Lo spettatore è a disagio, per la ripetitività, la coazione a ripetere, di quest´umanità libera dai vincoli del passato, e ora costretta da un nuovo legame a marciare in continuazione, su una storia che è essa stessa vincolo (“Irre!”, la maledizione dell´errore e dell´erranza). Questo è il Sehnen (Das Sehnen, das furchtbare Sehnen! La brama, la brama terribile!), la tensione (lo stress, direbbero gli inglesi) che crea lacerazione, dolore, sofferenza. Schopenhauer e il Buddismo non sono lontani.
Parsifal, Erlöser dell´umanità, ferma la ruota del divenire. E sta. Come Cristo, il Risorto, che – letteralmente “sta fermo in piedi” (anàstasis). Ma al posto della ben più rassicurante colomba, un cielo plumbeo, una città capovolta, scende dall´alto, minacciosa, e la sua oscurità invade la sala. Tutti se ne vanno. Dal gruppo degli uomini e delle donne si distacca una figura. Anna. Si accosta a Parsifal, poi si ritrae. Tra le immondizie di una strada di città, Parsifal resta solo. E con lui noi. Alla fine, una domanda, inquietante, resta: chi può redimere il Redentore? Chi lo può liberare? Erlösung dem Erlöser?
DM