Come molti altri, mi sono dovuto accontentare della visione di un ottimo HD dell'evento salisburghese.
Dico subito che sono rimasto favorevolmente colpito dall'aspetto formale dello spettacolo di Herheim - "bello" nella più comune accezione del termine - ma piuttosto deluso dai contenuti.
Accontento i musicologi che vengono a leggerci quotidianamente per vedere se è proprio vero che ci occupiamo solo di regie e dico subito che, nell'ordine:
ho apprezzato molto la direzione serena, equilibrata e a puntasecca di Gatti, ormai il più mitteleuropeo dei nostri direttori, e veramente padrone della materia wagneriana in cui spesso lo apprezzo
ho ammirato notevolmente Volle, che però preferisco come Beckmesser; e Werba, davvero bravo
ho ammirato molto meno - ma non del tutto disprezzato - la Gabler
ho ripudiato Saccà, fra i peggiori Walther in cui mi sia mai imbattuto
Complessivamente un'edizione dignitosa dal POV musicale; si è sentito di molto meglio.
Continuo a pensare che chi è paradigmatico in un ruolo difficilmente avrà la stessa resa in un altro; ma è una mia opinione e come tale ve la vendo
Dal POV teatrale, invece, ho più di una perplessità.
Certo, lo spettacolo è molto "bello" con la sua cornice Biedermeier che - non diversamente dallo spettacolo di McVicar - rassicura lo spettatore che ha avuto difficoltà a rapportarsi al ben altrimenti complesso spettacolo di Katharina Wagner (Bayreuth 2008 e segg) che mi sembra il più interessante termine di paragone.
Questo di Herheim mi sembra invece uno spettacolo discretamente ruffiano.
C'è la cornice onirica, molto comoda per spiegare qualunque cosa; anche il fatto - molto discutibile - che Sachs e Beck siano due facce della stessa medaglia. Il presupposto wagneriano era ben diverso, e puntava nel dualismo Sachs/Walther.
C'è il recupero dei "padri della patria culturali" (fratelli Grimm, Goethe, Beethoven), idea non del tutto nuova: nelle danze del terzo atto dello spettacolo di Bayreuth di Katharina comparivano in guida di pupazzoni e assistevano al rogo dei libri, come succedeva in ben altre e tristi epoche storiche tedesche. Qui il konzept è molto più rassicurante e sfumato.
C'è il ricordo dei tempi che furono, affidato ai giocattoli dei bambini coperti da teli contro la polvere; altra idea non del tutto nuova, visto che fu sviluppata con ben altro rigore da Richard Jones.
C'è la ben nota passioncella senile di Sachs per Eva, idea suggerita dallo stesso Wagner sull'onda della musica del "Tristan und Isolde"; qui è veramente poco credibile, se si considera che l'avversario di Sachs è... Saccà.
C'è - questa è forse la vera novità - l'idea che Sachs e Beck siano due facce della stessa medaglia, ma sappiamo che il confronto ipotizzato da Wagner dovrebbe essere fra i limiti di un artista che si sente libero di natura (Walther) e uno che la libertà l'ha conquistata attraverso le regole (Sachs); in mezzo... Hanslick.
Ecco, nello spettacolo formalmente più "brutto" ma ben altrimenti coinvolgente di Bayreuth, Katharina esplorava con molto acume il vero problema proposto da questa meravigliosa partitura: i limiti della libertà dell'Artista
Nella parallela involuzione di Sachs, da libero pensatore a artista di regime; di Walther, da scapestrato artista underground senza regole a cantante confidenziale; e di Beck, da odioso burocrate a simpatico artista pop; ci stanno tutti gli estremi dei margini di azione di un artista, oggi e sempre.
La mia sensazione è che lo spettacolo di Herheim faccia un netto passo indietro rispetto a questa presa di posizione.
Vorrei sapere il parere di qualcun altro che ha visto questa realizzazione