NABUCCO A ROMA
Inviato: mer 24 lug 2013, 12:21
Ieri, 23 luglio, ho assistito all’ultima rappresentazione di Nabucco qui all’Opera di Roma. L’edizione era quella del 2011 per il bicentenario dell’Unità d’Italia ed aveva la regia e le scene di J. P. Scarpitta, i costumi di M. Millenotti e le luci curate da A. C. Simar. Per quanto riguarda la parte visiva dominava l’essenzialità, pochi elementi in scena e solo alcuni pannelli al II atto. I movimenti delle masse e dei singoli cantanti erano in genere buoni, sebbene c’era da lamentare una eccessiva staticità nel finale del I atto e ciò strideva con il dinamismo orchestrale escogitato da Muti. Il Finale poi lasciava sola Abigaille a chiedere il suo perdono mentre gli altri protagonisti le davano le spalle, quasi ad estrometterla dalla generale aura di religiosità e perdono del momento. Sobri i costumi e bello il gioco di luci, soprattutto nella scena di smarrimento di Nabucco nel finale II.
Dire che la direzione di Muti era quanto mai accesa, dinamica, ma anche curatissima nei risvolti liricizzanti significa portare vasi a Samo, se si tiene conto che si tratta di un’opera che il maestro napoletano conosce di diritto e di rovescio. Facendo un confronto con l’ormai antica edizione EMI con la Scotto e Manuguerra, c’è da dire che Muti ha perduto quella secchezza e talvolta metronomicità degli inizi per un maggior abbandono nella narrazione della vicenda e nell’esecuzione delle singole frasi musicali. Molto buona (tanto da avere un’ovazione) la Sinfonia iniziale, il Finale I e un «Va pensiero» davvero magico in cui il coro (che si è comportato molto bene per tutta l’opera) ha iniziato in pianissimo ma non ha mai soverchiato anche nella tessitura più alta l’accompagnamento che è stato un vero e proprio ricamo di sonorità. Ovviamente c’è stato il bis. Ma Muti è stato trascinatore anche quando questo compito era affidato a qualche personaggio che per limiti non lo ha eseguito a dovere.
Il cast presentava molte luci e qualche ombra: uno splendido Nabucco di voce morbida e con un’interpretazione tendenzialmente liricheggiante il Nabucco di Luca Salsi che, tuttavia, sapeva tirar fuori le unghie nei momenti più incandescenti. Singolare il suo ingresso con la frase «Tremin gli insani» che solitamente noi sentiamo perentoria e a piena voce, in piano per poi rinforzare nello svolgersi del brano. Molto bene l’accento dominatore della scena della corona del II atto con la forte e perentoria auto proclamazione a dio e il successivo delirio davvero molto buono. Nel III atto Salsi ha presentato un Nabucco vinto, supplice, ma mai strascicato o lagnoso e nel IV atto la scena del carcere e il «Dio di Giuda» sono stati da manuale (commosso, lirico, pensoso ed ha ricevuto giusta ovazione) come anche la successiva cabaletta risolta molto bene. Insomma un grande e, a tratti, innovativo Nabucco, peraltro molto vario.
Altrettanto grande e baldanzosamente giovanile l’Ismaele di Meli: scattante ma non privo di quel lirismo di fondo che ha mostrato nella sua perorazione ai fratelli ebrei nel II atto.
Anna Malavasi era una Fenena dolce, commovente e di buon timbro. Nella sua aria «È dischiuso il firmamento» avrebbe meritato un applauso, ma si sa come quest’aria è collocata all’interno di tutto uno svolgimento unitario. Anche nel finale il suo registro acuto non demeritava.
Bene l’Abdallo di Saverio Fiore: partecipe e aiuto del suo signore Nabucco, come anche il Gran Sacerdote di Belo di Luca Dell’Amico e l’Anna di Simge Büyükedes.
Però Nabucco possiede altri due personaggi che, in positivo e in negativo, dovrebbero essere trascinatori di popolo, ossia Zaccaria (per i cosiddetti ‘buoni’) e Abigaille (per i cattivi). Faccio qui un paio di premesse: Zaccaria ha molti legami, nel suo carattere e nella sua funzione, con Oroveso e con Mosè, ossia il profetismo e la chiaroveggenza, elementi che definiscono il personaggio accanto al suo essere incitatore di popolo. Riccardo Zanellato aveva dalla sua una enorme figura e questo poteva andar bene, ma l’ho trovato anche carente di autorità, voce non opulenta e con quei limiti interpretativi che, sin dall’inizio, ci mostravano uno Zaccaria non autoritario e profetico (nella storia interpretativi i confronti sono molti). Nel II atto (dopo la tempestosa scena di Abigaille) il suo «Vieni o Levita …. Tu sul labbro» era parecchio noioso, anche se condotto da Muti con tinte veramente delicate.
Slancio invece non mancava all’Abigaille di Tatiana Serjan: lo scorso anno Lady Macbeth quest’anno Abigaille (passando per Lucrezia Contarini de I Due Foscari che però non ho udito). Due personaggi volitivi: la Lady decisamente cattiva e malvagia ed assetata di potere, Abigaille con gli stessi caratteri, ma con la scusante di scoprire di essere una perdente (condizione di schiava) e questo la rende odiosa e vendicativa su tutto e su tutti (il «Ben io t’invenni» è una sorta di carta di identità come lo sarà il «Credo» per Jago). Insomma, più che cattiva sic et simpliciter Abigaille è una creatura frustrata (una disgraziata, potremmo dire) che nasce male e muore peggio e che esprime questa sua situazione con la scrittura massacrante che sappiamo a partire dal suo ingresso (il «Prode guerrier» è tutta una summa di difficoltà). Ora la Serjan ha sostenuto la parte non senza dei difetti vocali (vibrato in zona medio-alta, acuti a volte metallici o striduli, agilità e passaggi declamati in zona tendente all’acuto impefetti, anche se le va dato atto di aver superato lo scoglio del «fatal sdegno» in modo accettabile). Positivamente però vanno ascritti alla cantante russa una grande padronanza scenica (il suo duetto con Nabucco nel III atto era va vedere per la superbia e la veemenza gestuale) e un volume cospicuo (che tuttavia non sa piegarsi a dovere), ma con le forzature di una cantante che, guardando un po’ ai suoi ruoli, si sta – a mio avviso – troppo esponendo. Fa sensazione sentirne subito la voce autoritaria, ma poi ti accorgi che non tutto funziona alla perfezione.
Ne Il Giornale dei grandi eventi, tra l’altro molto ben curato, distribuito gratuitamente in teatro si legge che la prossima stagione inizierà in novembre con Ernani diretto da Muti. Mi sorge un interrogativo ‘angoscioso’: la Serjan farà anche Elvira?
Tornando a questo Nabucco: un grande successo di pubblico, delirio in «Va pensiero» con il solito grido «Viva VERDI» che io non condivido, ma questa è un’altra storia.
Dire che la direzione di Muti era quanto mai accesa, dinamica, ma anche curatissima nei risvolti liricizzanti significa portare vasi a Samo, se si tiene conto che si tratta di un’opera che il maestro napoletano conosce di diritto e di rovescio. Facendo un confronto con l’ormai antica edizione EMI con la Scotto e Manuguerra, c’è da dire che Muti ha perduto quella secchezza e talvolta metronomicità degli inizi per un maggior abbandono nella narrazione della vicenda e nell’esecuzione delle singole frasi musicali. Molto buona (tanto da avere un’ovazione) la Sinfonia iniziale, il Finale I e un «Va pensiero» davvero magico in cui il coro (che si è comportato molto bene per tutta l’opera) ha iniziato in pianissimo ma non ha mai soverchiato anche nella tessitura più alta l’accompagnamento che è stato un vero e proprio ricamo di sonorità. Ovviamente c’è stato il bis. Ma Muti è stato trascinatore anche quando questo compito era affidato a qualche personaggio che per limiti non lo ha eseguito a dovere.
Il cast presentava molte luci e qualche ombra: uno splendido Nabucco di voce morbida e con un’interpretazione tendenzialmente liricheggiante il Nabucco di Luca Salsi che, tuttavia, sapeva tirar fuori le unghie nei momenti più incandescenti. Singolare il suo ingresso con la frase «Tremin gli insani» che solitamente noi sentiamo perentoria e a piena voce, in piano per poi rinforzare nello svolgersi del brano. Molto bene l’accento dominatore della scena della corona del II atto con la forte e perentoria auto proclamazione a dio e il successivo delirio davvero molto buono. Nel III atto Salsi ha presentato un Nabucco vinto, supplice, ma mai strascicato o lagnoso e nel IV atto la scena del carcere e il «Dio di Giuda» sono stati da manuale (commosso, lirico, pensoso ed ha ricevuto giusta ovazione) come anche la successiva cabaletta risolta molto bene. Insomma un grande e, a tratti, innovativo Nabucco, peraltro molto vario.
Altrettanto grande e baldanzosamente giovanile l’Ismaele di Meli: scattante ma non privo di quel lirismo di fondo che ha mostrato nella sua perorazione ai fratelli ebrei nel II atto.
Anna Malavasi era una Fenena dolce, commovente e di buon timbro. Nella sua aria «È dischiuso il firmamento» avrebbe meritato un applauso, ma si sa come quest’aria è collocata all’interno di tutto uno svolgimento unitario. Anche nel finale il suo registro acuto non demeritava.
Bene l’Abdallo di Saverio Fiore: partecipe e aiuto del suo signore Nabucco, come anche il Gran Sacerdote di Belo di Luca Dell’Amico e l’Anna di Simge Büyükedes.
Però Nabucco possiede altri due personaggi che, in positivo e in negativo, dovrebbero essere trascinatori di popolo, ossia Zaccaria (per i cosiddetti ‘buoni’) e Abigaille (per i cattivi). Faccio qui un paio di premesse: Zaccaria ha molti legami, nel suo carattere e nella sua funzione, con Oroveso e con Mosè, ossia il profetismo e la chiaroveggenza, elementi che definiscono il personaggio accanto al suo essere incitatore di popolo. Riccardo Zanellato aveva dalla sua una enorme figura e questo poteva andar bene, ma l’ho trovato anche carente di autorità, voce non opulenta e con quei limiti interpretativi che, sin dall’inizio, ci mostravano uno Zaccaria non autoritario e profetico (nella storia interpretativi i confronti sono molti). Nel II atto (dopo la tempestosa scena di Abigaille) il suo «Vieni o Levita …. Tu sul labbro» era parecchio noioso, anche se condotto da Muti con tinte veramente delicate.
Slancio invece non mancava all’Abigaille di Tatiana Serjan: lo scorso anno Lady Macbeth quest’anno Abigaille (passando per Lucrezia Contarini de I Due Foscari che però non ho udito). Due personaggi volitivi: la Lady decisamente cattiva e malvagia ed assetata di potere, Abigaille con gli stessi caratteri, ma con la scusante di scoprire di essere una perdente (condizione di schiava) e questo la rende odiosa e vendicativa su tutto e su tutti (il «Ben io t’invenni» è una sorta di carta di identità come lo sarà il «Credo» per Jago). Insomma, più che cattiva sic et simpliciter Abigaille è una creatura frustrata (una disgraziata, potremmo dire) che nasce male e muore peggio e che esprime questa sua situazione con la scrittura massacrante che sappiamo a partire dal suo ingresso (il «Prode guerrier» è tutta una summa di difficoltà). Ora la Serjan ha sostenuto la parte non senza dei difetti vocali (vibrato in zona medio-alta, acuti a volte metallici o striduli, agilità e passaggi declamati in zona tendente all’acuto impefetti, anche se le va dato atto di aver superato lo scoglio del «fatal sdegno» in modo accettabile). Positivamente però vanno ascritti alla cantante russa una grande padronanza scenica (il suo duetto con Nabucco nel III atto era va vedere per la superbia e la veemenza gestuale) e un volume cospicuo (che tuttavia non sa piegarsi a dovere), ma con le forzature di una cantante che, guardando un po’ ai suoi ruoli, si sta – a mio avviso – troppo esponendo. Fa sensazione sentirne subito la voce autoritaria, ma poi ti accorgi che non tutto funziona alla perfezione.
Ne Il Giornale dei grandi eventi, tra l’altro molto ben curato, distribuito gratuitamente in teatro si legge che la prossima stagione inizierà in novembre con Ernani diretto da Muti. Mi sorge un interrogativo ‘angoscioso’: la Serjan farà anche Elvira?
Tornando a questo Nabucco: un grande successo di pubblico, delirio in «Va pensiero» con il solito grido «Viva VERDI» che io non condivido, ma questa è un’altra storia.