Aida, Arena di Verona, Wellber, la Fura
Inviato: lun 17 giu 2013, 15:40
Che Ambrogione Maestri-Amonasro potesse finire mangiato tutto quanto dai Coccodrilli del Nilo, è di per se stessa idea di tale humour che immaginiamo l'ottimo Ambrogio, persona di spirito, sia il primo a riderne. Ciò premesso, va subito detto, che lo spettacolo della Fura dels Baus per il festival del Centenario dell'Arena non si presta assolutamente alla ripresa-tv (ho letto commenti in tal senso: basti dire che i suddetti coccodrilli, che in tv non "rendevano", visti dalla gradinata erano perfetti oltreché esilaranti nel passaggio da una fase totalmente domestica, dentro l'acqua fra le fanciulle egizie, al famelico inseguimento ad Aida e Amonasro a fine atto 3°). Questa messinscena va vista assolutamente dal vivo, cogliendo ad occhio il totale e il particolare.
Regnano l'ironia e il gioco, e bisognerebbe, al riguardo, leggere l'intervista gustosissima di Alberto Mattioli ai "furini" ( se preferite "furetti") pubblicata sul bellissimo programma illustrato della stagione del Centenario, che consiglio vivamente. La Fura è quel che ormai abbiamo imparato a conoscere. Di regia, in se stessa, ce n'è poca, intesa come lavoro sulle persone fisiche, gesti ed espressione. Di spettacolo, e di godimento per gli occhi e lo spirito, tantissimo. Qui, rispetto al Wagner, si impone una vena più poetica. Tant'è vero che le parti migliori dello spettacolo sono quelle "notturne": più che il mastodontico, volutamente macchinoso Trionfo (peraltro favolosi gli scooter a forma di idolo, i cammelli e l'elefante meccanico di Radames), sono riuscitissimi la scena nel tempio all'atto 1° (meravigliose le lampade bianche a globo che sfilano da tutte le gradinate) e il 3° e quarto atto: il Nilo, la barca, i papiri e le palme che ondeggiano, gli animali coccodrilli compresi. La centrale solare che, dopo esser stata edificata pezzo a pezzo durante il Trionfo, contorcendosi e comprimendosi e sgonfiandosi diventa gradualmente la fatal pietra che cala sui protagonisti. Ed è motivo di lode alla Fura che - pur in un impianto così "spettacolare" sia stata perfettamente colta (Zeffirelli, che come ad ogni Aida altrui, è stato chiamato a pontificare sulle pagine del Corriere della Sera, nel suo horror vacui alla Scala l'aveva travisata) l'assoluta intimità del finale. Tutto si raccoglie sulla fine degli amanti e sull'invocazione di Amneris. Non c'è né ci deve esser altro. Il finale della Fura è perfetto. Poi è chiaro, si tratta soprattutto di uno spettacolo che diverte, stupisce, celebra. Più fluviale del Nilo, questo va detto, nella durata, intervalli compresi. Perfetto, tuttavia - nel pregio che è anche il suo limite - per l'occasione in cui è nato. Bravissimi, comunque, i catalani. E grazie anche per aver messo in scena, finalmente in un'Aida, dei bambini simpatici e non dei mostricciatoli sballonzolanti da sindrome-Erode (vero, Zeffy?).
Omer Meir Wellber, sul podio, ha Aida nel sangue (fu, proprio in Veneto, l'opera che lo fece conoscere): la respira, la evoca, con totale senso del teatro e del linguaggio. Cerca e trova (pur nei limiti oggettivi di uno "strumento", l'orchestra pur volenterosissima, il che aumenta i meriti di Wellber) colori, fraseggi, rubato, e di Aida esprime tutto, dall'esplosione al sussurro, dalla coralità all'intimità. Gran debutto areniano, festeggiatissimo, e grande direzione che ne conferma la musicalità sorgiva.
Hui He ripete (anche in meglio, a parte una nota calante, alla "prima", nei "Cieli Azzurri" peraltro poi conclusi a perfezione) la sua Aida ad alta precisione, affidabile, precisa, di timbro gradevole e aderenza al personaggio. Casolla-Amneris, gloriosa, risparmia ai primi atti e ne coglie il frutto in una scena del processo da "chapeau" alla professionalità alla durata, alla professionalità, all'arte. Sartori inizia bene e chiude benino, con qualche intemperanza metrica. Maestri-Amonasro, coccodrilli a parte, appare tornato in migliori condizioni rispetto al Falstaff scaligero... tuttavia si aprirebbe un discorso su una voce, molto bella di per sé, ma non così "pesante" come la possanza fisica e le parti frequentate lascerebbero intendere. Forse sarebbe il momento di curarla, alleggerendo i ruoli, almeno per un certo periodo.
Nell'insieme (chi potrà ascolterà anche i cast alternativi) c'è ampiamente di che godere, fra spettacolo e direzione e protagonista, per occhio e orecchio.
marco vizzardelli
Regnano l'ironia e il gioco, e bisognerebbe, al riguardo, leggere l'intervista gustosissima di Alberto Mattioli ai "furini" ( se preferite "furetti") pubblicata sul bellissimo programma illustrato della stagione del Centenario, che consiglio vivamente. La Fura è quel che ormai abbiamo imparato a conoscere. Di regia, in se stessa, ce n'è poca, intesa come lavoro sulle persone fisiche, gesti ed espressione. Di spettacolo, e di godimento per gli occhi e lo spirito, tantissimo. Qui, rispetto al Wagner, si impone una vena più poetica. Tant'è vero che le parti migliori dello spettacolo sono quelle "notturne": più che il mastodontico, volutamente macchinoso Trionfo (peraltro favolosi gli scooter a forma di idolo, i cammelli e l'elefante meccanico di Radames), sono riuscitissimi la scena nel tempio all'atto 1° (meravigliose le lampade bianche a globo che sfilano da tutte le gradinate) e il 3° e quarto atto: il Nilo, la barca, i papiri e le palme che ondeggiano, gli animali coccodrilli compresi. La centrale solare che, dopo esser stata edificata pezzo a pezzo durante il Trionfo, contorcendosi e comprimendosi e sgonfiandosi diventa gradualmente la fatal pietra che cala sui protagonisti. Ed è motivo di lode alla Fura che - pur in un impianto così "spettacolare" sia stata perfettamente colta (Zeffirelli, che come ad ogni Aida altrui, è stato chiamato a pontificare sulle pagine del Corriere della Sera, nel suo horror vacui alla Scala l'aveva travisata) l'assoluta intimità del finale. Tutto si raccoglie sulla fine degli amanti e sull'invocazione di Amneris. Non c'è né ci deve esser altro. Il finale della Fura è perfetto. Poi è chiaro, si tratta soprattutto di uno spettacolo che diverte, stupisce, celebra. Più fluviale del Nilo, questo va detto, nella durata, intervalli compresi. Perfetto, tuttavia - nel pregio che è anche il suo limite - per l'occasione in cui è nato. Bravissimi, comunque, i catalani. E grazie anche per aver messo in scena, finalmente in un'Aida, dei bambini simpatici e non dei mostricciatoli sballonzolanti da sindrome-Erode (vero, Zeffy?).
Omer Meir Wellber, sul podio, ha Aida nel sangue (fu, proprio in Veneto, l'opera che lo fece conoscere): la respira, la evoca, con totale senso del teatro e del linguaggio. Cerca e trova (pur nei limiti oggettivi di uno "strumento", l'orchestra pur volenterosissima, il che aumenta i meriti di Wellber) colori, fraseggi, rubato, e di Aida esprime tutto, dall'esplosione al sussurro, dalla coralità all'intimità. Gran debutto areniano, festeggiatissimo, e grande direzione che ne conferma la musicalità sorgiva.
Hui He ripete (anche in meglio, a parte una nota calante, alla "prima", nei "Cieli Azzurri" peraltro poi conclusi a perfezione) la sua Aida ad alta precisione, affidabile, precisa, di timbro gradevole e aderenza al personaggio. Casolla-Amneris, gloriosa, risparmia ai primi atti e ne coglie il frutto in una scena del processo da "chapeau" alla professionalità alla durata, alla professionalità, all'arte. Sartori inizia bene e chiude benino, con qualche intemperanza metrica. Maestri-Amonasro, coccodrilli a parte, appare tornato in migliori condizioni rispetto al Falstaff scaligero... tuttavia si aprirebbe un discorso su una voce, molto bella di per sé, ma non così "pesante" come la possanza fisica e le parti frequentate lascerebbero intendere. Forse sarebbe il momento di curarla, alleggerendo i ruoli, almeno per un certo periodo.
Nell'insieme (chi potrà ascolterà anche i cast alternativi) c'è ampiamente di che godere, fra spettacolo e direzione e protagonista, per occhio e orecchio.
marco vizzardelli