Aida (Verdi)
Inviato: gio 05 mag 2011, 18:23
Maggio Musicale - 2011
La Scala ha annunciato il rispolvero dell'Aida con i teli dipinti (Zeffirelli-De Nobili) di mezzo secolo fa.
Il Comunale di Firenze -molto più aggiornato- invece ha messo su una nuovissima Aida con i monoliti dipinti. Ad apertura di sipario vediamo gigantesche statue della dea Hathor seduta. Molto egizio. Sullo sfondo però ci sono due immense teste provenienti della tomba di Antioco di Commagene. Molto poco egizio visto che le testone stanno sul Monte Nemrut in Turchia a quasi quattromila chilometri di distanza da Menfi.
Io, che di solito a teatro tendo a complicarmi la vita, ho cominciato a chiedermi quale fosse la ragione per cui Ozpetek (il regista) avesse fatto questo connubio archeologico. Quando Berti ha sparato il "trono vicino al sol" mi si è accesa la lampadina. Gli Hyksos, le popolazioni barbare che ciclicamente invadevano l'Egitto venivano dal nord e quindi Ozpetek ha scelto di ambientare la sua Aida in uno dei famigerati periodi intermedi in cui i Faraoni se la passavano male. Passato il primo atto, con le testone che mi fissavano inquietanti, si sono accese le luci di sala e ho potuto leggere le note di regia. E ovviamente sbagliavo. Ozpetek ha scelto le statue del Monte Nemrut come omaggio al suo paese natale, la Turchia. Niente da dire: l'amor di patria è cosa lodevole e il sito archeologico del Monte Nemrut uno dei posti più suggestivi ed emozionanti che abbia mai visitato; però, visto il costo di questi giganteschi totem, ritengo fosse il caso di trovare una motivazione più profonda per giustificarne la presenza. Con una motivazione come questa, bastavano un paio di diapo.Transeat.
La scena aveva il deserto onnipresente. Niente di male, è banale, stravisto, tutto quello che volete, ma in Aida ci sta. Però, trattandosi di un'ambientazione molto tradizionale, veniva da chiedersi come mai la corte, i dignitari, il popolo, i sacerdoti si riunissero sempre -sia per celebrare riti che per omaggiare trionfatori- in una sorta di zona periferica della città un po' in odor di discarica quando avevano il meglio in fatto di architettura celebrativa all'interno delle mura. Anche qui ho ragionato. "Ardori inospiti", "lande ignude"... forse Ozpetek voleva semplicemente esasperare un concetto del libretto. Ovviamente mi sbagliavo. Nelle note di regia Ozpetek dichiara di aver chiesto consiglio a Mehta su come impostare questa Aida. E Mehta, testuale, gli ha detto che voleva "sentire il deserto". Ozpetek aggiunge che ha trovato questa richiesta più che plausibile dal momento che, quando pensa all'Egitto, a lui solitamente viene in mente la sabbia. (prego considerare questa surreale conversazione non come frutto di una mia fantasia ma riportata a pagina 84 dello splendido libretto di sala). Sabbia? E sabbia sia. Sabbia dappertutto, sullo sfondo, nei colori pastello dei monoliti (belli, di Ferretti), sabbiosi i costumi delle comparse. Però nel finale Mehta e Ozpetek hanno esagerato. Quando Amneris attacca il pace t'imploro si è aperta nella tomba una botola sulla testa degli sventurati amanti ed è cominciata a cadere una cascata di sabbia dorata che, con fragor di grandine, ha coperto voci, sacerdotesse e orchestra. Sotto questo gavettone desertico Berti e Hui He si tenevano per le braccine e guardavano il pubblico leggermente sgomenti.
Nel primo intervallo proseguo nella lettura delle note di regia. Ozpetek ci svela una verità che a noi, appassionati di lunga data, era sfuggita. Amneris non ama solo Radames. Ma ama Aida. E la sua gelosia quindi, non nasce solo dal fatto che Aida le porti via Radames, ma che Radames le porti via Aida. Perchè, dice Ozpetek, l'amore non è mai unidirezionale, ma quando è forte circola per l'aria (sic). Devo dire che questa affermazione così diretta, così candida, così sanremese mi ha quasi commosso. Amneris quindi, schiacciata tra un'omosessualità latente e un'eterosessualità manifesta (o viceversa, non conta) diventava nella mia mente una sorta di trottola (o trottolino) amoroso alternato tra Radamès e Aida. Mi sono detto, vediamo come se la cava.
Niente. Tutto è rimasto sulla carta. La D'Intino ha fatto la solita Amneris "de panza" che vediamo da una vita stile Barbieri-Cossotto-Obratzova e Hui He la solita Aida col vocione (bello) che nel trionfo sovrastava tutti. L'oggetto del contendere era Berti (Radames) il quale, tra questi due donnoni sessualmente un po' confusi, appena poteva sparava cannonate più grosse che squillanti che il pubblico ha raccolto con contenuto entusiasmo.
Rimangono Amonasro e Ramfis. Il primo, per Ozpetek, è il Fato e il secondo il potere spirituale che opprime.
Sta di fatto che Il Fato in questa edizione era Maestri che ricalcava punto per punto tutti i tic degli amonasroni della tradizione, con gli accentoni alla fine delle frasi, i "suo paaaaadre" tenuti all'impazzata, e i "dei Faraoni tu sei la schiava" sottolineati da quattro punti esclamativi e due interrogativi. Totò ci avrebbe messo anche un punto e virgola tanto per abundare. Il potere spirituale era invece Prestia. Fermo, statuario, quando si muoveva sembrava che sotto la tonaca avesse dei pattini a rotelle. Tutti comunque riciclavano la solita gestualità da liebig e le solite pose da statuine rivolte al pubblico. Nessuna controscena, nessun lavoro sul testo. Mi hanno dato l'idea di cantanti lasciati a loro stessi.
Ma anche in questo frangente ci corre in aiuto lo scritto di Ozpetek: "Gli elementi portanti dell'opera lirica sono le voci dei cantanti e la musica che nasce dall'orchestra e dal coro". Su questo avrei qualcosa da discutere. E senza dubbio ce l'avrebbe anche Verdi visto che, nel carteggio con Ghislanzoni a proposito di Aida, le sue preoccupazioni erano ben altre.
Dirigeva Metha: vista la richiesta di sabbia me lo sarei aspettato almeno vestito da coloniale. O perlomeno con un cappello di sughero. Comunque, che dire? tempi strani, poca fantasia, qualche fortissimo perfettamente compatto (a onor del vero di fascino) però tanta noia, tanto già visto, tanto già sentito.
Pubblico caldo ma non circense come, invece, ci si aspettava.
Qualcuno di voi l'ha vista?
WSM
P.S. Bravissima la sacerdotessa di Caterina Di Tonno. Una voce che sembrava una lama di luce sinistra e ultraterrena.
La Scala ha annunciato il rispolvero dell'Aida con i teli dipinti (Zeffirelli-De Nobili) di mezzo secolo fa.
Il Comunale di Firenze -molto più aggiornato- invece ha messo su una nuovissima Aida con i monoliti dipinti. Ad apertura di sipario vediamo gigantesche statue della dea Hathor seduta. Molto egizio. Sullo sfondo però ci sono due immense teste provenienti della tomba di Antioco di Commagene. Molto poco egizio visto che le testone stanno sul Monte Nemrut in Turchia a quasi quattromila chilometri di distanza da Menfi.
Io, che di solito a teatro tendo a complicarmi la vita, ho cominciato a chiedermi quale fosse la ragione per cui Ozpetek (il regista) avesse fatto questo connubio archeologico. Quando Berti ha sparato il "trono vicino al sol" mi si è accesa la lampadina. Gli Hyksos, le popolazioni barbare che ciclicamente invadevano l'Egitto venivano dal nord e quindi Ozpetek ha scelto di ambientare la sua Aida in uno dei famigerati periodi intermedi in cui i Faraoni se la passavano male. Passato il primo atto, con le testone che mi fissavano inquietanti, si sono accese le luci di sala e ho potuto leggere le note di regia. E ovviamente sbagliavo. Ozpetek ha scelto le statue del Monte Nemrut come omaggio al suo paese natale, la Turchia. Niente da dire: l'amor di patria è cosa lodevole e il sito archeologico del Monte Nemrut uno dei posti più suggestivi ed emozionanti che abbia mai visitato; però, visto il costo di questi giganteschi totem, ritengo fosse il caso di trovare una motivazione più profonda per giustificarne la presenza. Con una motivazione come questa, bastavano un paio di diapo.Transeat.
La scena aveva il deserto onnipresente. Niente di male, è banale, stravisto, tutto quello che volete, ma in Aida ci sta. Però, trattandosi di un'ambientazione molto tradizionale, veniva da chiedersi come mai la corte, i dignitari, il popolo, i sacerdoti si riunissero sempre -sia per celebrare riti che per omaggiare trionfatori- in una sorta di zona periferica della città un po' in odor di discarica quando avevano il meglio in fatto di architettura celebrativa all'interno delle mura. Anche qui ho ragionato. "Ardori inospiti", "lande ignude"... forse Ozpetek voleva semplicemente esasperare un concetto del libretto. Ovviamente mi sbagliavo. Nelle note di regia Ozpetek dichiara di aver chiesto consiglio a Mehta su come impostare questa Aida. E Mehta, testuale, gli ha detto che voleva "sentire il deserto". Ozpetek aggiunge che ha trovato questa richiesta più che plausibile dal momento che, quando pensa all'Egitto, a lui solitamente viene in mente la sabbia. (prego considerare questa surreale conversazione non come frutto di una mia fantasia ma riportata a pagina 84 dello splendido libretto di sala). Sabbia? E sabbia sia. Sabbia dappertutto, sullo sfondo, nei colori pastello dei monoliti (belli, di Ferretti), sabbiosi i costumi delle comparse. Però nel finale Mehta e Ozpetek hanno esagerato. Quando Amneris attacca il pace t'imploro si è aperta nella tomba una botola sulla testa degli sventurati amanti ed è cominciata a cadere una cascata di sabbia dorata che, con fragor di grandine, ha coperto voci, sacerdotesse e orchestra. Sotto questo gavettone desertico Berti e Hui He si tenevano per le braccine e guardavano il pubblico leggermente sgomenti.
Nel primo intervallo proseguo nella lettura delle note di regia. Ozpetek ci svela una verità che a noi, appassionati di lunga data, era sfuggita. Amneris non ama solo Radames. Ma ama Aida. E la sua gelosia quindi, non nasce solo dal fatto che Aida le porti via Radames, ma che Radames le porti via Aida. Perchè, dice Ozpetek, l'amore non è mai unidirezionale, ma quando è forte circola per l'aria (sic). Devo dire che questa affermazione così diretta, così candida, così sanremese mi ha quasi commosso. Amneris quindi, schiacciata tra un'omosessualità latente e un'eterosessualità manifesta (o viceversa, non conta) diventava nella mia mente una sorta di trottola (o trottolino) amoroso alternato tra Radamès e Aida. Mi sono detto, vediamo come se la cava.
Niente. Tutto è rimasto sulla carta. La D'Intino ha fatto la solita Amneris "de panza" che vediamo da una vita stile Barbieri-Cossotto-Obratzova e Hui He la solita Aida col vocione (bello) che nel trionfo sovrastava tutti. L'oggetto del contendere era Berti (Radames) il quale, tra questi due donnoni sessualmente un po' confusi, appena poteva sparava cannonate più grosse che squillanti che il pubblico ha raccolto con contenuto entusiasmo.
Rimangono Amonasro e Ramfis. Il primo, per Ozpetek, è il Fato e il secondo il potere spirituale che opprime.
Sta di fatto che Il Fato in questa edizione era Maestri che ricalcava punto per punto tutti i tic degli amonasroni della tradizione, con gli accentoni alla fine delle frasi, i "suo paaaaadre" tenuti all'impazzata, e i "dei Faraoni tu sei la schiava" sottolineati da quattro punti esclamativi e due interrogativi. Totò ci avrebbe messo anche un punto e virgola tanto per abundare. Il potere spirituale era invece Prestia. Fermo, statuario, quando si muoveva sembrava che sotto la tonaca avesse dei pattini a rotelle. Tutti comunque riciclavano la solita gestualità da liebig e le solite pose da statuine rivolte al pubblico. Nessuna controscena, nessun lavoro sul testo. Mi hanno dato l'idea di cantanti lasciati a loro stessi.
Ma anche in questo frangente ci corre in aiuto lo scritto di Ozpetek: "Gli elementi portanti dell'opera lirica sono le voci dei cantanti e la musica che nasce dall'orchestra e dal coro". Su questo avrei qualcosa da discutere. E senza dubbio ce l'avrebbe anche Verdi visto che, nel carteggio con Ghislanzoni a proposito di Aida, le sue preoccupazioni erano ben altre.
Dirigeva Metha: vista la richiesta di sabbia me lo sarei aspettato almeno vestito da coloniale. O perlomeno con un cappello di sughero. Comunque, che dire? tempi strani, poca fantasia, qualche fortissimo perfettamente compatto (a onor del vero di fascino) però tanta noia, tanto già visto, tanto già sentito.
Pubblico caldo ma non circense come, invece, ci si aspettava.
Qualcuno di voi l'ha vista?
WSM
P.S. Bravissima la sacerdotessa di Caterina Di Tonno. Una voce che sembrava una lama di luce sinistra e ultraterrena.