My Fair Lady (Loewe)

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My Fair Lady (Loewe)

Messaggioda MatMarazzi » sab 11 dic 2010, 14:26

PARIGI, CHATELET (9 dicembre 2010)

Ammetto di non avere molta familiarità con il Musical classico dal vivo, nessuna poi in un vero teatro d'opera.
Lo Chatelet è un teatro che mi è caro: vi ho visto produzioni operistiche indimenticabili come il Falstaff e les Troyens diretti da Gardiner, la Grande Duchesse (con la Lott e la regia di Pelly), Dido and Aeneas (con la Normann), le Fate di Wagner, Carmen (purtroppo con la regia di Kusej) diretti da Minkovksy, il Castello di Barbablu (sempre con la Normann e Boulez), ecc...
Da quando a dirigerlo è Choplin, poi, il musical classico è diventato una parte fondamentale della programmazione di questo teatro.

Ciò che più mi interessava dunque - preparandomi ad assistere alla première di My Fair Lady con la regia di Carsen - era l'effetto che tale produzione avrebbe fatto su di me, abituale ascoltatore operistico in uno dei miei teatri d'opera prediletti.
Ero curioso di verificare la realizzabilità di una mia esigenza da molti mesi in qua: esigenza non solo mia, ma ormai sempre più diffusa. L'incameramento del Musical (almeno quello "storico" precedente la svolta "rock", in sostanza prima di Hair) in seno al repertorio operistico, il ché significa non solo inserito normalmente nelle stagioni d'opera - a fianco di Wagner, Monteverdi e Rossini - ma soprattutto sottratto alla logica "popolare" del classico revival nei teatri specializzati in musical moderno (riscritture rockeggianti, basi registrate, aggiornamenti di dialoghi, traduzioni dei libretti, amplificazione elettronica, ecc...) ed eseguito con gli stessi principi "filologici" con cui si esegue l'opera (lingua originale, testo integrale, orchestra dal vivo) e naturalmente grandi direttori "classici", grandi registi d'opera, grandi cantanti, ecc...

In questo senso "My fair lady" si adattava benissimo a quella che per me doveva essere una verifica.
E non solo per l'autorevolezza delle sue fonti letterarie (il Pigmalione di George Bernand Shaw), non solo per lo splendore di un libretto (Lerner) che non ha nulla da invidiare ai maggiori libretti d'opera, ma soprattutto per l'estremo classicismo della musica di Loewe, che prescinde completamente (in pieno 1956) dalle influenze Jazz che da tempo dominavano il Musical.
La firma di Robert Carsen, il più importante regista d'opera del mondo, avrebbe definitivamente garantito la contiguità dei generi e dimostrato la perfetta adattabilità dell'uno nelle consuetudini del secondo.

Quando parlo di "inglobamento" del Musical nelle convenzioni attuali del teatro d'Opera non intendo certo un tradimento del suo linguaggio in senso classico...
Non mi riferisco ovviamente agli obbrobri di Carreras e Domingo nei loro concertoni...
Intendo solo che anche ad esso vengano applicati i criteri esecutivi che oggi sono riservati a ciò che chiamiamo "opera" e su cui vorrei tentare di riflettere con gli amici del Forum.


Il mondo del teatro musicale si divide oggi (ma non da oggi) in due tipi diversi di produzione: la produzione "popolare" e il teatro d'opera.
Quella popolare, potremmo dire "di consumo" (oggi largamente dominata dal Musical, fiancheggiato - nel secolo scorso - dall'operetta e dalla rivista) ha certe logiche esecutive, certe caratteristiche che un tempo aveva anche l'opera, quando a sua volta era un genere popolare.
Ad esempio vige ancora la consuetudine della traduzione: i testi letterari sono riscritti nelle lingue più diverse a seconda del paese in cui viene importato lo spettacolo (così come avveniva per le operette quando giravano "fuori" dalle stagioni d'opera e molto tempo fa avveniva per le nostre Opere).
La parte musicale quasi sempre viene oggi affidata a una base registrata e non a un'orchestra dal vivo (i cui costi sarebbero inconciliabili con la logica del teatro musicale "popolare").
Gli interpreti poi non sono sempre "cantanti", ma varie personalità più o meno celebri dello spettacolo popolare (attori, intrattenitori, ballerini...).
E tutto questo non vale solo per i musical scritti e prodotti oggi; se infatti il teatro musicale "popolare" decide di ripescare musicals storici (il termine in questo caso è "revival") lo fa con radicali riadattamenti (come tanti anni fa si faceva con l'opera: pensate alle edizioni berlioziane di Gluck o quelle monteverdiane di Malipiero, Krenek, Benvenuti), come se la preoccupazione massima fosse quella di rendere digeribile al pubblico moderno una "roba vecchia".

Ecco: tutte queste sono le giustificatissime e ragionevolissime convenzioni esecutive del teatro musicale popolare.
Ed è proprio questo che rappresenta l'assoluta diversità con ciò che oggi "chiamiamo" teatro d'opera.
La differenza non è "qualitativa", non è una differenza "di genere", ma solo di consuetudini e convenzioni esecutive.

Mi spiego meglio.
Oggi non è più possibile applicare all'opera una definizione di "genere" (l'opera è fatta così e così, ha queste caratteristiche, ecc...).
L'unico elemento che ci permette di distinguere l'opera dalle altre forme di teatro musicale sono le consuetudini esecutive che siamo soliti applicarvi.

Se dovessimo definire l' "opera" come la intendiamo oggi in quanto "genere" saremmo in gravi difficoltà.
Nelle attuali stagioni d'opera infatti convivono gli antichi drammi per musica secenteschi e le commedie musicali di Brecht, l'Opéra-comique e le cantate sacre, le opere serie napoletane e i masque elisabettiani, gli oratori e le zarzuelas, i grand-opéra di Halevy e le opere buffe del 700, le operette viennesi e il musikdrama wagneriano..-
Insomma, in un unico calderone mettiamo i generi più diversi e contrastanti, accomunati solo da un aspetto: di essere nati nel "passato", frutto di epoche lontane. L'Opera oggi non è più un "genere", ma un grande raccoglitore di generi, senza distinzione (per fortuna) fra i generi nati come aulici e quelli nati come popolari. Vi sono accolti persino i generi che erano nati per l'esecuzione in forma di concerto (pensate alla Damnation de Faust o all'Oedipus Rex, o alla Semele) o addirittura come liturgia (le drammatizzazioni oggi diffusissime di oratori sacri e delle passioni di Bach).
Ribadisco: ciò che definiamo Opera non è più un genere, bensì l'intera eredità di teatro musicale occidentale "passato" che non sia (o non sia più, a causa della sua vetustà) appetibile per il "popolare".

L'unico elemento di unicità (quello che ci permette di considerare "opere" sia l'Incoronazione di Poppea sia la Vedova Allegra e di vederle programmate nella stessa stagione) è dato dai criteri con cui le eseguiamo.
Criteri che sono molto diversi da quelli del teatro "popolare" (di ieri e di oggi).

Vediamoli questi criteri "esecutivi" che permettano a qualsiasi testo "teatrale-musicale" di entrare nelle stagioni operistiche.
Anzitutto il rispetto esasperato, quasi scientifico, per il dato "scritto" (le parole del libretto e le note dello spartito).
Un rispetto talmente profondo che avrebbe sorpreso gli stessi "autori" (quando le loro opere erano popolari) i quali tolleravano senza difficoltà profonde alterazioni dei loro testi a seconda delle esigenze proprie del teatro popolare.
Tale rispetto prevede ad esempio (caso quasi unico nella famiglia delle performing arts) la lingua originale, fosse anche il polacco o il boemo.
Prevede inoltre una ricerca addirittura "filologica" sulle singole note.
Si punta all'integralità in modo estremistico: anche il più piccolo taglio (che sarebbe normalissimo in qualsiasi forma di teatro popolare) all'Opera può scatenare polemiche e dibattiti.
Prevede addirittura il recupero di strumenti antichi e originali (altro che gli "arrangiamenti" propri della musica popolare!) e persino lo studio degli stili e delle prassi esecutive d'epoca.

La questione più interessante è che a questo rispetto assoluto del testo si affianca una necessità di rilettura "alta" (sia a livello linguistico, sia a livello contenutistico) delle problematiche proprie dei vari testi, riviste secondo lo spirito della contemporaneità, con sfarzo di mezzi tecnologici e intellettuali che, all'epoca in cui le opere furono create, sarebbero apparsi esagerati agli stessi autori.
Eppure è questo che oggi l'Opera fa: accoglie al proprio seno qualsiasi genere "vecchio" di teatro musicale, lo esalta semanticamente (nella cura tecnica e musicale e nel rispetto di ogni infimo segno) e lo rivitalizza culturalmente (nella prospettiva "alta" di riletture che risentono di ogni stimolo intellettuale proveniente dalla contemporaneità).

Bene.
Il Musical storico (come già l'operetta viennese) è ormai troppo vecchio per poter rimanere legato alla produzione del teatro "popolare", dove odora di vecchio al confronto dei moderni e spettacolari lavori della Disney o del Musical Rock.
E' quindi pronto per entrare a sua volta nelle stagioni d'Opera, essere fagocitato da quel grande collettore di forme di teatro musicale antiche che è l'Opera, ovviamente godendo dei criteri esecutivi appena citati, che ne caratterizzano le convenzioni attuali.
Nelle stagioni d'Opera, quindi, cesserà di essere "tradotto", come si è fatto finora: sarà invece rappresentato in lingua originale.
La sua orchestrazione - ben lungi dall'essere "aggiornata" o "arrangiata" - sarà letta con scrupolo filologico ed eseguita da orchestre rigorosamente dal vivo.
I suoi allestimenti scenici, curatissimi e affidati ai migliori specialisti al mondo, saranno firmati da registi che ne esalteranno il potenziale culturale, i legami ideali con la contemporaneità, con linguaggio elevato e spregiudicatezza formale più intellettualistica.

Insomma, anche al Musical Classico (come a ogni altra forma di teatro musicale - popolare e non - dell'Occidento) i teatri d'Opera sono pronti a offrire una seconda chance, anzi una seconda vita, sottraendolo - certo - all'immediatezza popolare (che d'altronde ha già perso, invecchiando), ma esaltandolo nei linguaggi e nei contenuti, facendone una forma di cultura "alta" e strettamente connessa all'oggi, proprio come è avvenuto con tutti gli altri repertori che l'Opera ha inglobato.


Lo Chatelet della gestione Choplin si può considerare il tempio dello sdoganamento del genere: il successo clamoroso dei musicals allestiti nelle tre ultime stagioni, lo spirito "operistico" con cui sono stati proposti hanno percorso come una scossa elettrica tutto il mondo dell'Opera.
Allo Chatelet infatti i Musicals sono stati allestiti (per la prima volta in Francia) in lingua inglese e con sottotitoli. Le edizioni in cui vengono proposti sono filologicamente perfette (oltre che rigorosamente senza taglia). Le orchestre suonano dal vivo e gli spettacoli sono affidati a grandi registi di derivazione operistica.

Cosa manca...?
O meglio... in cosa Choplin non è andato fino in fondo?

Be'... anzitutto una questione formale: i musical dello Chatelet sono ancora presentati in una sorta di "sotto-stagione"...
Sono a parte e non ancora chiaramente inseriti nella stagione d'opera, dove (proprio come Offenbach e Weill) dovrebbero essere semplicemente affiancati a Verdi, Handel e Janacek.
So che è solo una formalità, ma io vi leggo un piccolo segno di paura, un'inconfessabile retaggio di "razzismo" di genere-
Perché allora quando allo Chatelet fanno "Dido and Aeneas" di Purcell non la inseriscono in una sotto-stagione chiamata "Masque"?
Eppure quando hanno fatto la Péricole (con la Lott e Minkoski) si sono ben guardati da ghettizzarla in una sotto-stagione chiamate "operette"...
Anzi... tutti i loro sforzi erano volti a dimostrare la riconquistata dignità del genere, autorizzata a dividere il cartellone con Mozart, Wagner e Strauss.
Allora perché con i Musical lo Chatelet tiene ancora a distinguere il loro genere, sia pure a livello unicamente formale?

E ovvio che i vari generi di teatro musicale (Musical compreso) dovrebbero mantenere nelle stagioni d'Opera le loro caratteristiche stilistiche, le loro specificità formali, ovviamente, ma - se vogliamo che l'integrazione sia effettiva - dobbiamo avere anche il coraggio di parificarli come dignità in una comune "Stagione d'Opera" che oggi, lo ribadisco, non rappresenta semplicemente un "genere", bensì un criterio di esecuzione, una principio di approccio interpretativo e una tipologia di produzione.

Seconda cosa che mi lascia perplesso è l'idea di amplificare elettronicamente sia la recitazione sia il canto, come si fa abitualmente nei teatri in cui oggi si pratica la musica popolare, ma che non ha senso per il musical storico, il quale amplificato non era e non ha senso soprattutto se si decide di accogliere il Musical storico in seno alle attuali convenzioni operistiche.
Che bisogno c'è di amplificare gli interpreti di My fair Lady, specie in un teatro non enorme come lo Chatelet, creando per altro un assurdo squilibrio con l'orchestra ovviamente non amplificata?

A parte questi aspetti, che tradiscono una specie di pregiudizio o per lo meno di implicita sudditanza alle convenzioni della Broadway di oggi, il My Fair Lady dello Chatelet è una prova luminosissima di come il musical storico non solo possa ma "debba" entrare a pieno titolo nelle stagioni d'opera.
Il risultato infatti è talmente grandioso da togliere ogni possibile dubbio.

Nell'elaborazione di casting, Choplin e il suo staff dimostrano una vera genialità in merito.
Il passaggio dalla "produzione popolare" alla stagione d'Opera impone infatti un cambiamento sul fronte delle scritture.
Il teatro popolare infatti è autorizzato a puntare su personalità note e amate dal grande pubblico, anche se più o meno abborracciate sul fronte tecnico e musicale (da noi facevano fare la Vedova allegra a Walter Chiari). Potevano essere chiamati attori cinematografici o divi del varietà televisivo.
Ma se si passa alle stagioni d'opera le cose devono cambiare.
I cantanti devono essere "veri" cantanti, ovviamente in grado di dominare perfettamente le specificità tecniche e canore del Musical, e non di meno tecnicamente e musicalmente formati secondo una logica prettamente "classica".

Questo è il principio su cui Choplin si fonda per le sue scritture: la protagonista (Eliza Doolittle, creata da Julie Andrews) è Sarah Gabriel, giovane soprano lanciato da pochi anni nel repertorio barocco. Scenicamente e interpretativamente è estremamente persuasiva; vocalmente - occorre ammetterlo - appena un po' fragile rispetto a una scrittura che reclamerebbe slanci mezzosopranili e acuti svettanti.
Lei è la dimostrazione vivente di quanto è inutile l'amplificazione in un contesto così: non la salvava infatti dal sottolineare le debolezze di un canto grazioso ma piccolo, troppo limitato nel volume e nello spettro dinamico per questa parte.
Viceversa non avrebbe avuto alcun bisogno di amplificazione il canto possente di Donald Maxwell, decano dei baritoni britannici, che dalla parte del vecchio Doolittle (pirata-clochard-ubriacone-filosofo-pappone) trae una prestazione musicale (oltre che scenica) travolgente, ben superiore a qualsiasi registrazione sia possibile reperire. (Per inciso: ecco quale sarebbe oggi un ruolo per il grande Tomlinson... altro che Hunding).
Meno ancora avrebbe avuto necessità di essere amplificato, nella parte di Fred, lo splendido tenore Ed Lyon, un vero lusso nella parte di Fred: fra i maggiori cantanti inglesi della nuova leva, barocchista d'alta scuola, habitué di Jacobs e Christie, celebrato Orfeo monteverdiano e liederista finissimo, Lyon strappa una meritatissima ovazione al termine di "On the Street Where You Live".

Solo con il Professor Higgins Choplin opta per un attore, un celebre attore cinematografico come Alex Jennings (che tutti ricordano per aver interpretato, fra l'altro, Carlo d'Inghilterra nel film "the Queen") che risulta strepitosamente efficace e favolosamente "british" ma il cui canto è a dir poco rudimentale.
Oddio... la scelta ha le sue bravi ragioni "filologiche".
Infatti il ruolo fu scritto proprio per un grande attore, nonché pessimo cantante (Rex Harrison) per il quale Loewe scrisse più che canzoni vere e proprie una sorta di sprechgesang melodico, quasi un "parlato ritmico", evidentemente pensato per un protagonista non cantante.
E tuttavia (poiché siamo ...all'opera e non a Broadway) nulla ci impedisce di pretendere che, anche nel suo caso, le note siano note (:) vero Maugham?) e che, sia pure con lo stile di un Musical e con tutti gli effetti parlati del mondo, esse vengano valorizzate al meglio.
Per quanto Jennings abbia ottenuto un trionfo personale, io non posso fare a meno di pensare a che diverso effetto avrebbe fatto sentire nella parte, ad esempio, un Keenlyside, capacissimo di aprire, di colorare, di parlare sulla musica e non di meno fra i più grandi musicisti e cantanti al mondo.

Niente da dire, ovviamente, sulla necessità di chiamare attori (e che attori!) per le parti quasi esclusivamente (o esclusivamente) recitate: questo si fa abitualmente anche all'opera e in particolare nel Singspiel o nell'Opéra-Comique.
In particolare... che lusso poter vedere un monumento del teatro Shakespeariano come Nicholas Le Prevost nel ruolo del Colonnello Pickering o un mito del cinema e del teatro inglese come Margaret Tyzack (che i cinefili ricorderanno in molti film di Kubrik) nella vecchia Signora Higgins!!

Resta Carsen, che non è nuovo a operazioni del genere e che, manco a dirlo, ha tenuto tutte le sue promesse.
La sua lettura sorprende inizialmente per la semplicità contenutistica: chi si aspettava le riflessioni audaci, la drammaturgia psicologica e metateatrale del solito Carsen ci sarà rimasto male.
Il suo My Fair Lady è semplicemente un canto di gioia, una felicità di fare musica e teatro ai livelli più alti, col montaggio serratissimo, il solito virtuosismo sceno-tecnico e illuministico, l'accanimento stupefacente sugli attori e finalmente l'espressione di un umorismo talmente irresistibile e geniale da far esplodere il pubblico a ogni secondo in risate fragorose.
Non mi resteranno dalla sua produzione concettosi messaggi e simbologie arcane, o la trista immagine del ditino alzato propria di quei registi che pensano che il loro mestiere consista nel denunciare chissà quali ingiustizie sociali.
Mi resterà solo la sensazione dell'esaltazione grandiosa e misteriosa di ciò che il teatro e la musica possono essere. Un brivido di felicità collettiva ed elettrizzante che ci si porta dietro, col ricordo, per tutta la vita.

Qui c'è un piccolo video, se vi interessa...
http://www.chatelet-theatre.com/chatelet1011/musicals/my-fair-lady,453

Scusate la solita prolissità e salutoni,
Matteo
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Re: My Fair Lady (Loewe)

Messaggioda beckmesser » sab 11 dic 2010, 17:32

MatMarazzi ha scritto:Solo con il Professor Higgins Choplin opta per un attore, un celebre attore cinematografico come Alex Jennings (che tutti ricordano per aver interpretato, fra l'altro, Carlo d'Inghilterra nel film "the Queen") che risulta strepitosamente efficace e favolosamente "british" ma il cui canto è a dir poco rudimentale.


Conosco pochissimo My fair lady per cui non sapei valutare la difficoltà della parte del prof. Higgins, ma ricordo di aver visto e sentito Jennings all'ENO come Pangloss nel Candide di Bernstein/Carsen, e devo dire che lì mi aveva stupito anche come cantante: fra l'altro per lui avevano riaperto una serie di brani che nell'allestimento alla Scala erano stati tagliati (fra cui il racconto della sifilide). Le note c'erano e, soprattutto, aveva un senso del ritmo della frase musicale notevole.

Molto interessanti, as usual, le considerazioni sull'evoluzione della ricezione del musical moderno (che, per inciso, conosco pochissimo). La cosa che mi stupisce è che, apparentemente, la strada del "cantante lirico" per appropriarsi di quel repertorio sembra passare dalla vocalità barocca moderna (che suona come un ossimoro, ma intendo: la vocalità barocca come definita negli ultimi decenni). Proprio restando al caso Bernstein, trovo insopportabili e terribilmente innaturali le incisioni di studio con i vari Carreras, Te-Kanawa, Ludwig ecc, mentre dal vivo mi entusiasmarono tenori come Toby Spence o Burden in Candide o la Dessay nell'incisione dell'aria di Cunegonde. Probabilmente, essendo già abituati ad approcciare il repertorio barocco con aperture e "colori", riescono ad adattare questa tecnica al linguaggio del musical, mentre un belcantista puro finirà sempre per fare l'effetto di Pavarotti che canta Zucchero...

Saluti,

Beck
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Re: My Fair Lady (Loewe)

Messaggioda pbagnoli » sab 11 dic 2010, 22:24

Visto un po' a spizzichi il breve video, perché purtroppo la mia connessione a internet fa i capricci.
Giustissime le considerazioni di Mat sulla definitiva assimilazione di questo repertorio a quello operistico classico; del resto anch'io sono appassionatissimo di musical, anche se io amo maggiormente quelli di Rodgers & Hammerstein, con particolare riferimento a Allegro, South pacific e The Sound of Music.
E, a tale proposito, Mat, come li vedresti i musical di R&H in una stagione operistica? Quale sceglieresti? Chi chiameresti, per esempio, per un The Sound of Music?
Nathan Gunn o Keenlyside nella parte del Comandante von Trapp?
E Maria?
E la Superiora?
Splendido argomento!!! :D
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Re: My Fair Lady (Loewe)

Messaggioda MatMarazzi » sab 11 dic 2010, 23:23

beckmesser ha scritto:Conosco pochissimo My fair lady per cui non sapei valutare la difficoltà della parte del prof. Higgins, ma ricordo di aver visto e sentito Jennings all'ENO come Pangloss nel Candide di Bernstein/Carsen, e devo dire che lì mi aveva stupito anche come cantante: fra l'altro per lui avevano riaperto una serie di brani che nell'allestimento alla Scala erano stati tagliati (fra cui il racconto della sifilide). Le note c'erano e, soprattutto, aveva un senso del ritmo della frase musicale notevole.


Il ritmo e l'espressione c'erano anche in My Fair Lady... Era proprio la qualità delle note che lasciava a desiderare.
Comunque il rapporto con Pangloss è interessantissimo: anche quella è una parte per "non cantanti".

Molto interessanti, as usual, le considerazioni sull'evoluzione della ricezione del musical moderno (che, per inciso, conosco pochissimo). La cosa che mi stupisce è che, apparentemente, la strada del "cantante lirico" per appropriarsi di quel repertorio sembra passare dalla vocalità barocca moderna (che suona come un ossimoro, ma intendo: la vocalità barocca come definita negli ultimi decenni). Proprio restando al caso Bernstein, trovo insopportabili e terribilmente innaturali le incisioni di studio con i vari Carreras, Te-Kanawa, Ludwig ecc, mentre dal vivo mi entusiasmarono tenori come Toby Spence o Burden in Candide o la Dessay nell'incisione dell'aria di Cunegonde. Probabilmente, essendo già abituati ad approcciare il repertorio barocco con aperture e "colori", riescono ad adattare questa tecnica al linguaggio del musical, mentre un belcantista puro finirà sempre per fare l'effetto di Pavarotti che canta Zucchero...


Condivido assolutamente.
D'altronde è da sempre che diciamo che i cantanti "coloristi" prendono origini dalla tradizione canora non classica...
E oggi disponiamo di una tale quantità di sommi coloristi che se vogliamo fare Berlin o Porter o Hammerstein o Gershwin abbiamo solo l'imbarazzo della scelta.
Solo dalla tua "stirpe maledetta" toglierei la Te Kanawa.
Lei era un colorista: e infatti cantava il Musical meravigliosamente bene. Il suo problema era, semmai, l'eccessivo edonismo, che la rendeva un po' bamboleggiante qualsiasi cosa cantasse.
La sua scarsa riuscita nel West Side Story che hai citato dipende da questo: eppure, ne converrai, resta anni luce al di sopra di Carreras, la clamorosa zeppa di quell'incisione.

Bagnoli ha scritto:Come li vedresti i musical di R&H in una stagione operistica? Quale sceglieresti? Chi chiameresti, per esempio, per un The Sound of Music?
Nathan Gunn o Keenlyside nella parte del Comandante von Trapp?

Sound of Music resta il "musical" per eccellenza, dopo South Pacific.
Infatti l'anno scorso è stato proprio Sound of Music che ha aperto la stagione allo Chatelet, scatenando un putiferio internazionale che nessuno si aspettava.
Il comandante von Trapp fu affidato al grande Rodney Gilfry, ossia il baritono "colorista" all'americana coetaneo di Keenlyside e primo discendente di Hampson, il Don Giovanni di Harnoncourt, il Billy Budd di una generazione...
Quest'anno a Gilfry lo Chatelet affiderà nientemeno che Sweeny Todd di Sondheim, il personaggio più impressionante e tragico di tutta la storia del Musical, immortalato da Johnny Depp nel film di Burton e già portato sulle scene operistiche da giganti come Thomas Allen (Covent Garden) e Bryn Terfel (Lyric Opera di Chicago). Non so cosa darei per andarci... Ci verresti con me?

A proposito del cast di Sound of Music, ti faccio notare che il ruolo delle Superiora fu espressamente scritto per una cantante d'opera, anzi una leggendaria cantante d'opera: quella Patricia Neway per cui erano stati creati i personaggi di Magda Soler (Console di Menotti) e di Leah nel Dibbuk di Tamkin e che cantò nelle prime americane di Giro di Vite e Rape of Lucretia... fu a Aix l'Ifigenia per Giulini ecc.. ecc...
Alla creazione di Sound of Music il soprano si beccò un Tony Award!

In questo video non solo c'è la sua premiazione, ma anche un estratto radiofonico - purtroppo si sente molto male - della sua esecuzione di Climb every mountain... Era la prima mondiale! :)



Oggi vorrei tanto sentire in questa parte Felicity Lott...

Salutoni,
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Re: My Fair Lady (Loewe)

Messaggioda pbagnoli » dom 12 dic 2010, 11:06

Sapevo di Patricia Neway. E' bravissima! Tra l'altro, se ti ricordi, qualche tempo fa avevo tirato fuori qualche link a varie esecuzioni di "Climb ev'ry mountain", fra cui quella di Leontyne Price che mi aveva particolarmente emozionato.
E invece chi proporresti per Maria, se pensassi a una voce operistica? Giovane, brillante, sbarazzina... Nino Machaidze?
E la regia? Ancora Carsen?
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Re: My Fair Lady (Loewe)

Messaggioda pbagnoli » dom 12 dic 2010, 11:15

MatMarazzi ha scritto:
A proposito del cast di Sound of Music, ti faccio notare che il ruolo delle Superiora fu espressamente scritto per una cantante d'opera, anzi una leggendaria cantante d'opera: quella Patricia Neway ...In questo video non solo c'è la sua premiazione, ma anche un estratto radiofonico - purtroppo si sente molto male - della sua esecuzione di Climb every mountain... Era la prima mondiale! :)

Io ho il disco della registrazione con il cast originale: Mary Martins, Theodore Bickel e, appunto, Patricia Neway
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Re: My Fair Lady (Loewe)

Messaggioda Tucidide » dom 12 dic 2010, 13:56

Molto interessanti le riflessioni di Matteo sull'inglobamento del Musical classico nel gigantesco calderone chiamato "Opera".
Io confesso che il Musical è un colossale buco nero in quel colabrodo che è la mia conoscenza musicale. Non so quasi nulla nemmeno di Operetta e di Zarzuela. :oops:
Ad ogni modo, il passaggio nel repertorio operistico del Musical si prospetta interessante anche per gli scenari che aprirebbe nella classificazione delle voci e dei cantanti.
Come è avvenuto per il barocco, che con la new wave filologica è passato in mano a specialisti, anche il musical classico potrebbe crearsi una schiera di specialisti: cantanti "classici", dall'impostazione sicuramente "classica", eppure attivi in particolar modo nel musical. E come è successo per il barocco, questi spcialisti potrebbero poi "esondare", toccando ruoli tipicamente "operistici" tout court (vedi la Kermes, che dal barocco è passata all'esperimento del Trovatore).
Prepariamoci a nuove geremiadi: "mah!!! quella è una cantante da musical, e canta Violetta!" : Blink : :roll:

C'è poi un aspetto curioso. Come è accaduto all'operetta, che è stata via via scippata al genere "popolare", al punto che oggi come oggi non si canta più "Tu che m'hai preso il cuor" con voce da crooner, ma "Dein ist mein ganzes Herz" con voce da tenore o baritono, così potrebbe succedere con il musical. Attualmente non è strano sentire "Vorrei danzar con te" cantato da una cantante pop. Dopo diverrebbe tassativo cantare "I could have danced all night" con voce di soprano? Si arriverebbe a ritenere Susan Boyle che canta "Over the rainbow" abominevole come Al Bano quando canta "Nessun dorma"?
Il mondo dei melomani è talmente contorto che nemmeno Krafft-Ebing sarebbe riuscito a capirci qualcosa...
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Re: My Fair Lady (Loewe)

Messaggioda MatMarazzi » dom 12 dic 2010, 15:31

Tucidide ha scritto:il passaggio nel repertorio operistico del Musical si prospetta interessante anche per gli scenari che aprirebbe nella classificazione delle voci e dei cantanti.
Come è avvenuto per il barocco, che con la new wave filologica è passato in mano a specialisti, anche il musical classico potrebbe crearsi una schiera di specialisti: cantanti "classici", dall'impostazione sicuramente "classica", eppure attivi in particolar modo nel musical.


E' sicuramente così... però secondo me occorre tenere in conto alcune considerazioni.

1) i futuri "specialisti" del Musical esistono già: sono quelle generazioni di cantanti "coloristi" di cui spesso parliamo nel nostro forum e che già sono una realtà.
Nel repertorio barocco come in quello liederistico, in Mozart come in Britten, sono proprio i coloristi che oggi dominano il campo operistico.
E tutto questo senza considerare i vocalisti e i declamatori "contaminati" col colorismo... (dovresti sentire Ford le meraviglie che combina nel Musical, o i prodigi di Kunde in Voices of exile di Blackford... da restare di stucco).
Basta utilizzare loro (che per altro già da anni si affannano a cantare, incidere, promuovere il Musical in tutti i modi: non è una novità).

2) Devi tenere presente un'altra cosa: gli autori di Musical scrivevano, sì, per i "coloristi" emersi nella popular music americana, spesso di matrice Jazz o blues, ma NON SOLO! Paradossalmente quelli erano anche gli anni in cui il mondo dell'opera era ancora dominato dai vocalisti e dai declamatori, e la loro influenza poteva farsi sentire anche nello stile compositivo degli autori di Musical.
Se prendi una parte come Cunegonda di Bernstein capisci subito il riferimento "classico" a quella determinata categoria vocale (il soprano di coloratura) che è il fiore all'occhiello dei vocalisti.
E questo senza contare tutti personaggi del Musical appositamente scritti per cantanti d'opera; per Ezio Pinza fu scritta la parte di Emile de Becque in South Pacific; per la Stratas fu scritta la drammatica parte di Rebecca Hershkowitz in Rags; per il tuo Lauritz Melchior, ad esempio, furono scritte Thrill of a Romance (1945), Two Sisters from Boston (1946), Luxury Liner (1948).
Questo significa che, nei ruoli giusti, si dovranno impegnare anche vocalisti e declamatori nel Musical.

E
come è successo per il barocco, questi spcialisti potrebbero poi "esondare", toccando ruoli tipicamente "operistici" tout court (vedi la Kermes, che dal barocco è passata all'esperimento del Trovatore).
Prepariamoci a nuove geremiadi: "mah!!! quella è una cantante da musical, e canta Violetta!" : Blink : :roll:


Secondo me, invece, è proprio quello che non succederà! :)
Proprio perché saranno i cantanti "classici" (sia pure in primo luogo coloristi) a occupare il Musical e non viceversa.
Semmai continuerà il dibattito (già in corso...) se sia lecito che un cantante classico "colorista" (come Keenlyside o Hampson o persino Fischer Dieskau) siano autorizzati a cantare Verdi...

comunque la rivoluzione è in corso... stiamo a vedere! :)
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Re: My Fair Lady (Loewe)

Messaggioda Tucidide » dom 12 dic 2010, 16:13

Come ho detto, sono quasi a zero nel campo del musical. Sapevo in effetti che ci sono stati e ci sono molti approcci interessanti a questo genere da parte di cantanti d'opera.

MatMarazzi ha scritto:Secondo me, invece, è proprio quello che non succederà! :)
Proprio perché saranno i cantanti "classici" (sia pure in primo luogo coloristi) a occupare il Musical e non viceversa.
Semmai continuerà il dibattito (già in corso...) se sia lecito che un cantante classico "colorista" (come Keenlyside o Hampson o persino Fischer Dieskau) siano autorizzati a cantare Verdi...

Sì sì, questo sicuramente, soprattutto nella prima fase, quella appunto della rivoluzione cui stiamo assistendo oggi. :) E benedetti gli artisti che si impegnano in questo! :D
Mi chiedevo solo se in futuro, quando il Musical sarà ampiamente e stabilmente entrato nel repertorio dei teatri lirici, e non si avvertirà più una differenza di "genere" fra Verdi e Loewe, non si verificherà una specializzazione, una settorializzazione, come quella di oggi per il barocco in stile italiano, per Monteverdi, per la tragédie lyrique.
Insomma, magari in futuro cantanti come Keenlyside o come Gunn saranno specialisti del Musical e toccheranno solo sporadicamente il repertorio operistico ottocentesco.
Il mondo dei melomani è talmente contorto che nemmeno Krafft-Ebing sarebbe riuscito a capirci qualcosa...
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Re: My Fair Lady (Loewe)

Messaggioda MatMarazzi » dom 12 dic 2010, 16:25

Tucidide ha scritto:Mi chiedevo solo se in futuro, quando il Musical sarà ampiamente e stabilmente entrato nel repertorio dei teatri lirici, e non si avvertirà più una differenza di "genere" fra Verdi e Loewe, non si verificherà una specializzazione, una settorializzazione, come quella di oggi per il barocco in stile italiano, per Monteverdi, per la tragédie lyrique.
Insomma, magari in futuro cantanti come Keenlyside o come Gunn saranno specialisti del Musical e toccheranno solo sporadicamente il repertorio operistico ottocentesco.


Altroché se è possibile! :)
Ma io non escluderei il contrario: la colonizzazione dei coloristi in territorio verdiano è già bella che cominciata (e non solo a livello di dibattito, se pensi che gente come Hampson e Keenlyside si dividono, in Macbeth, i maggiori teatri d'Europa e d'America).
Vedremo come andrà... e speriamo di potervi contribuire nel nostro piccolo.
Il bello di avere a che fare con "convenzioni in mutamento" invece che con leggi divine e postulati metafisici è tutto qui! :)

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Re: My Fair Lady (Loewe)

Messaggioda Rodrigo » dom 12 dic 2010, 22:29

Affascinante questa discussione!
E allora, sogno per sogno, perché non pensare a una ripresa comme il faut anche della commedia musicale italiana. A me piacerebbe moltissimo, sarò il solito becero, una riproposta con cantanti "veri" di Rugantino, magari con un regista che, prima di tutto, raschi quell'insopportabile romanità posticcia fatta di lazzi di quart'ordine e facili grevità d'accento che offende (secondo me) prima ti tutto i romani. Secondo me Trovajoli è tutt'altro che sprovveduto come compositore.
Saluti.
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Re: My Fair Lady (Loewe)

Messaggioda MatMarazzi » dom 12 dic 2010, 23:31

Rodrigo ha scritto:Affascinante questa discussione!
E allora, sogno per sogno, perché non pensare a una ripresa comme il faut anche della commedia musicale italiana. A me piacerebbe moltissimo, sarò il solito becero, una riproposta con cantanti "veri" di Rugantino, magari con un regista che, prima di tutto, raschi quell'insopportabile romanità posticcia fatta di lazzi di quart'ordine e facili grevità d'accento che offende (secondo me) prima ti tutto i romani. Secondo me Trovajoli è tutt'altro che sprovveduto come compositore.
Saluti.


Idea semplicemente FAVOLOSA!
Però forse i tempi non sono ancora maturi... la storia insegna che prima che l'Opera possa fagocitare un testo di teatro musicale "popolare", occorre (sembra paradossale, ma è così) il consenso del teatro popolare stesso! :) Bisogna cioè che sia il teatro popolare a ...scacciare un testo dal proprio repertorio, ritenendolo troppo vecchio.
In pratica, finché un testo è ancora "vitale" nella sua forma popolare, è quasi impossibile che possa approdare ai teatri d'opera...

Rugantino, benché scritto negli anni '60 (quindi poco più giovane di My fair Lady) è ancora rappresentato al giorno d'oggi e saldamente ancorato ai gusti del pubblico popolare (certo, quello più conservatore...). Il pubblico popolare non sarebbe disposto a vederlo "intellettualizzato" all'Opera, né l'Opera potrebbe (al momento) ritenerlo degno delle proprie stagioni.
Ma non temere: occorre solo aspettare un vent'anni dall'ultima rappresentazione... e vedrai che qualche musicologo lo "riscoprirà" e ne parlerà in qualche rivista accademica; a quel punto qualcuno suggerirà l'idea a qualche direttore di teatro d'opera e l'avventura partirà...

Se non noi, sicuramente i nostri eredi vedranno Rugantino nei teatri d'opera e non certo al Sistina.

Un salutone,
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Re: My Fair Lady (Loewe)

Messaggioda Tucidide » lun 13 dic 2010, 0:05

MatMarazzi ha scritto:la storia insegna che prima che l'Opera possa fagocitare un testo di teatro musicale "popolare", occorre (sembra paradossale, ma è così) il consenso del teatro popolare stesso! :) Bisogna cioè che sia il teatro popolare a ...scacciare un testo dal proprio repertorio, ritenendolo troppo vecchio.
In pratica, finché un testo è ancora "vitale" nella sua forma popolare, è quasi impossibile che possa approdare ai teatri d'opera...

Molto interessante.
Mi sembra interessante farsi un'altra domanda, ossia quale spazio sarà d'ora in poi riservato all'opera contemporanea "colta" nei cartelloni e nelle stagioni d'opera, vista la concorrenza che d'ora in poi le sarà fatta dal Musical.
Il repertorio operistico "colto" ha vissuto un periodo di stanca negli ultimi anni: mi sembra che gli ultimi compositori ad essere entrati stabilmente in repertorio siano stati Britten e, in misura minore, Henze. Eppure ci sono un sacco di compositori, di tutte le nazionalità, che scrivono opere, con stili i più disparati, ma con orchestrazione e stile vocale "classici". Ma qual è il destino di queste opere? Se va bene, ottengono per la prémiere la partecipazione di una grande stella del firmamento lirico, che garantisce rinomanza, registrazione audio o video, ma poi si dileguano piano piano. Che fine ha fatto Dead man di Heggie? The first Emperor di Tan Dun? A streetcar named Desire di Previn? Al Met il prossimo anno riproporranno The Ghosts of Versailles di Corigliano, dopo vent'anni dalla prima.
La situazione per l'opera contemporanea, già poco rosea, non potrà che peggiorare, secondo me, con l'inglobamento nel mondo dell'opera di forme musicali-teatrali popolari. Ad un'astrusa e spesso ostica opera contemporanea, ricca di dissonanze, di suoni sperimentali, di linee vocali spezzate e poco orecchiabili, il pubblico probabilmente preferirà un bel Musical, con il quale ha poca dimestichezza e che quindi rappresenta una novità, ma godibile e molto più fruibile.
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Re: My Fair Lady (Loewe)

Messaggioda Riccardo » lun 13 dic 2010, 0:56

Tucidide ha scritto:La situazione per l'opera contemporanea, già poco rosea, non potrà che peggiorare, secondo me, con l'inglobamento nel mondo dell'opera di forme musicali-teatrali popolari. Ad un'astrusa e spesso ostica opera contemporanea, ricca di dissonanze, di suoni sperimentali, di linee vocali spezzate e poco orecchiabili, il pubblico probabilmente preferirà un bel Musical, con il quale ha poca dimestichezza e che quindi rappresenta una novità, ma godibile e molto più fruibile.

Tocchi un punto importante, che investe non solo l'opera ma anche la musica strumentale contemporanea cosiddetta "colta".
Un'ampia fetta di questa musica preclude a se stessa fin dal proprio nascere, e quasi come manifesto ideologico, la possibilità di una ragionevole entrata in repertorio, secondo quel perverso ragionamento secondo cui, in arte, ciò che è popolare o comunque largamente apprezzato deve essere per forza di cose deteriore.

Ma il problema non sono le dissonanze, né i suoni sperimentali, né tantomeno le linee vocali spezzate o poco orecchiabili che costituiscono benissimo il linguaggio di opere geniali ed apprezzate (da R. Strauss a Henze).
Il problema di certa musica è proprio l'assenza, a priori, di un intento comunicativo a largo raggio (o a ragionevole largo raggio). Quindi c'è poco da stupirsi.
Un compositore come Luigi Nono non può essere molto rappresentato, almeno fino al giorno in cui il mondo non sarà radicalmente cambiato (?). E' evidente alla sola lettura di certi suoi manifesti programmatici.

Trovo faccia sorridere chi si indigna con il "volgo ignorante" per la scarsa diffusione di certa musica...
Ultima modifica di Riccardo il lun 13 dic 2010, 1:04, modificato 2 volte in totale.
Ich habe eine italienische Technik von meiner Mutter bekommen.
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Re: My Fair Lady (Loewe)

Messaggioda MatMarazzi » lun 13 dic 2010, 1:00

Tucidide ha scritto:Il repertorio operistico "colto" ha vissuto un periodo di stanca negli ultimi anni: mi sembra che gli ultimi compositori ad essere entrati stabilmente in repertorio siano stati Britten e, in misura minore, Henze. Eppure ci sono un sacco di compositori, di tutte le nazionalità, che scrivono opere, con stili i più disparati, ma con orchestrazione e stile vocale "classici". Ma qual è il destino di queste opere? Se va bene, ottengono per la prémiere la partecipazione di una grande stella del firmamento lirico, che garantisce rinomanza, registrazione audio o video, ma poi si dileguano piano piano. Che fine ha fatto Dead man di Heggie? The first Emperor di Tan Dun? A streetcar named Desire di Previn? Al Met il prossimo anno riproporranno The Ghosts of Versailles di Corigliano, dopo vent'anni dalla prima.


Gli ingressi di nuovi testi in quello che noi chiamiamo "opera" (sempre nell'accezione che ho proposto all'inizio del thread) si dividono in due tipi:

1) le opere del "passato" (dei più svariati generi e delle più svariate epoche) che vengono riesumate e "trattate" secondo i criteri esecutivi propri dell'Opera oggi (in questa categoria - stiamo dicendo - potrebbe rientrare il musical storico).

2) le nuove "opere", quelle da te descritte, che vengono già pensate in quanto opere (e non in quanto espressioni di teatro popolare). Queste saltano la fase popolare ed entrano direttamente nelle stagioni operistiche. Molte di loro non hanno successo duraturo. E' vero...Ma è anche normale.
Tu pensa a quante opere sono stabilmente in repertorio oggi... 700? 800? e siamo generosi... Nella nostra civiltà di opere (e parlo di "opere vere e proprie") ne sono state composte oltre ventimila! Quante di loro attendono da secoli in un cassetto? Come possono sperare Heggie e Previn di avere d'ufficio più chances di tutte loro? La stabilità in repertorio è una cosa delicata e variabile: oggi Mozart è forse l'autore più rappresentato al mondo; solo cent'anni fa le sue rappresentazioni erano una rarità! Pensa a quella brutta roba del Roméo di Gounod: è stato un blockbuster operistico alla fine dell'800, poi è caduto nel totale dimenticatoio e oggi (da 10 anni in qua) lo fanno tutti... Valle a capire certe dinamiche!


La situazione per l'opera contemporanea, già poco rosea, non potrà che peggiorare, secondo me, con l'inglobamento nel mondo dell'opera di forme musicali-teatrali popolari. Ad un'astrusa e spesso ostica opera contemporanea, ricca di dissonanze, di suoni sperimentali, di linee vocali spezzate e poco orecchiabili, il pubblico probabilmente preferirà un bel Musical, con il quale ha poca dimestichezza e che quindi rappresenta una novità, ma godibile e molto più fruibile.


Ecco, qui Tuc (secondo me) sei completamente fuori strada.
Se pensi che l'Opera oggi (ossia un genere "alto") possa farsi condizionare da questioni di "godibilità" della musica vuol dire che non hai compreso la fondamentale differenza fra l'Opera e il teatro popolare.

Facciamo qualche esempio.
Tu stesso dici (giustamente) che Britten e Henze godono di grandi presenze (specie il primo) nei cartelloni internazionali.
Ed è vero! Specialmente Britten è oggi rappresentatissimo, lo trovi dappertutto, ogni anno: in tutti i teatri del mondo.
Eppure non scrive la musica più immediata che possa esistere... i Masnadieri di Verdi e la Lakmé sono infinitamente più orecchiabili. No?
E invece i Masnadieri e la Lakmé (bellissime opere peraltro) se le sognano di notte le decine di rappresentazioni nel mondo che ogni anno si portano a casa il Billy Budd o il Peter Grimes.

E Wozzeck? Non è forse più "ostico" della Gazza Ladra o della Cambiale di matrimonio?
Vogliamo fare il conto di quanti Wozzeck sono stati allestiti negli ultimi vent'anni e quante Gazze Ladre?

L'incoronazione di Poppea è certo più ostica della Giuditta di Lehar o dell'Amico Fritz: vogliamo andare a contare quante Incoronazioni e quante Giuditte (o Fritz) sono stati recentemente allestiti?

L'Opera è (anzi, è divenuta, nell'accezione che ne abbiamo dato) una forma di spettacolo che punta in alto.
E il suo stesso pubblico punta in alto.
Questo significa che se problemi esistono, sono esattamente opposti rispetto a quelli da te paventati: semmai la difficoltà è quella di persuadere il pubblico operistico che il "semplice" Mercadante merita di essere rappresentato esattamente quanto l"'intellettuale" Strauss, che il primo Verdi (quello tutto zum pa pa) ha la stessa dignità che si deve riservare a Handel, che l'opéra-comique e il Grand-Opéra sono cose serissime, da trattarsi con lo stesso rispetto che si mette in Janacek.

Non temere dunque: il Musical classico, una volta accolto in seno all'opera, non occulterà affatto i generi operistici più complessi, proprio come la Donizetti Renaissance non ha occultato Strauss o Berg; anzi probabilmente dovrà lottare per dimostrare il proprio valore vincendo snobismi e stupidi pregiudizi.
Proprio come ha fatto Donizetti...
Ancora oggi si rischia molto di più a programmare un "Fra Diavolo" di Auber o una "Fanciulla di Neve" di Rimskij (orecchiabilissime entrambe) che non la solita Walkiria...

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