Adriana Lecouvreur (Cilea)

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Adriana Lecouvreur (Cilea)

Messaggioda beckmesser » mer 01 dic 2010, 22:48

Londra 2010


Tutte le volte che ho assistito dal vivo ad un allestimento dell'Adriana mi sono annoiato a morte. Mi sembrava sempre di fare un passo indietro nel tempo, verso forme di teatro ormai irrimediabilmente superate: assenza totale di qualsiasi drammaturgia, cantanti che badavano solo a cantare le loro frasi (bene o male, poco importa) facendo capire benissimo di avere idee molto confuse su cosa stavano facendo, su che storia stavano raccontando, su chi erano i personaggi (ammesso che ci siano davvero dei personaggi, il dubbio restava...) cui davano voce... Il risultato era più o meno sempre lo stesso: una serie di greatest hits vocali più o meno entusiasmanti, e tanti saluti al resto. In ogni caso, l'impressione era sempre quella di un'opera che proprio non riesce a parlare col nostro tempo. Quello che non ero mai riuscito a chiarirmi è se tutto ciò sia imputabile all'opera in sé (non necessariamente implicando valutazioni di ordine qualitativo: ogni epoca sceglie le opere in cui specchiarsi, a prescindere dalla loro qualità) o se invece dipendeva dal fatto che nessuno aveva mai tentato di allestirla con criteri moderni, con un serio lavoro teatrale: nessun grande regista si era mai “sporcato le mani” con questo repertorio; nessun grande interprete (intendo di quelli capaci di aprire nuovi orizzonti ad un ruolo) si era impegnato con questi personaggi in un contesto in grado di approfondirne i caratteri teatrali (se ci sono) al di là degli acuti e delle frasi ad effetto.

Per queste ragioni sono andato all'Adriana di Londra con uno spirito da “o stavolta o mai più”. Stavolta, sulla carta, c'era quasi tutto: un grandissimo regista, interpreti originali, tutti inseriti in un nuovo allestimento che era evidente come fosse stato pensato a lungo e su cui si era investito molto. Soprattutto, la curiosità era puntata su McVicar, e per un'opera di questo genere il fatto che la maggiore curiosità fosse per il regista era un fatto anomalo. Bene, per mio conto McVicar ha creato uno spettacolo magnifico, ma la scommessa principale (quella di far entrare Adriana nella contemporaneità) non credo l' abbia vinta e, per quanto mi riguarda, una risposta al mio dubbio l'ho avuta: quest'opera (e altre simili per estetica e contenuti) al nostro tempo ha poco o nulla da dire. I personaggi, sottratti al loro tipico ruolo di meri pretesti per dispensare acuti e belle melodie, inseriti al contrario in un gioco scenico vivacissimo, fatti scendere (per usare un' espressione cara a qualcuno :D ) dal piedistallo su cui erano stati costretti a salire (e su cui non erano mai stati, del resto, del tutto a loro agio) dimostrano ancora di più la loro totale inconsistenza psicologica e, d'altra parte, la drammaturgia che sta alla base di testo e musica non permette di dar loro nessuna lettura in chiave simbolica o allegorica, che ci consenta comunque di trovarci qualcosa di interessante e a noi vicino.

A parte queste valutazioni di carattere generale, come detto lo spettacolo di McVicar è magnifico. Come spesso accade con lui, in apparenza tradizionalissimo (compresa l'ambientazione: di un realismo secentesco strepitoso), in realtà rivoluzionario nel rifiutare qualsiasi convenzione. L'elemento che più colpiva era quello che dovrebbe essere il più ovvio: per la prima volta si aveva la netta sensazione che i cantanti si fossero posti il problema, oltre del come dire quello che avevano da dire, anche del perché lo dicevano. Per la prima volta, il Conte di Sassonia non ha cantato (per inciso, benissimo) “L'anima ho stanca” come se dovesse esprimere un dilaniante rovello esistenziale quando, in fin dei conti, il suo unico problema è che ci sono troppo donne che vogliono andare a letto con lui... Per la prima volta, Adriana sembrava veramente una ragazzetta che si trova coinvolta in un gioco più grande di lei, e che pensa che le dinamiche che governano una recita su un palcoscenico possano risolvere anche i problemi della vita vera (il monologo di Fedra e la conclusione del terz'atto erano veramente memorabili: ambientati su un vero palcoscenico, sul quale la Lecouvreur può veramente sentirsi in grado di sfidare la principessa, salvo poi, con un solo cambio di luci, mostrare la realtà della condizione di Adriana). Merito di Kaufmann e della Gheorghiu, certo, ma dietro di loro si sentiva la presenza di McVicar; che, fra l'altro, si conferma come il più diabolico manipolatore della luce che ci sia in circolazione. Sarebbe interessante provare ad analizzare le concezioni che i più grandi registi del nostro tempo hanno della luce: dall'uso allegorico che ne fa Carsen a quello quasi surrealista di Jones; McVicar ha un rapporto con la luce quasi da pittore: con lui gli effetti luminosi hanno una consistenza “ambientale” quasi autonoma, in grado da soli di delineare una situazione, una psicologia, un evento. Strepitoso.

Kaufmann è, prevedibilmente, un grandissimo Maurizio. Pur con qualche incertezza, canta una “dolcissima effigie” infinitamente superiore a quella contenuta nel brutto cd appena uscito e poi prende quota. Ma, soprattutto, si sforza di dare un senso preciso al suo personaggio: superficiale, viziato, incostante, debole malgrado l'apparenza. Che poi il gioco non riesca del tutto, temo dipenda dal personaggio più che dall'interprete...

La Gheorghiu riesce sempre a spiazzarmi: mi sta sommamente antipatica, parto sempre prevenutissimo e poi, per una ragione o per l'altra, mi stupisce. Temevo un po' il suo approccio ad Adriana: la scrittura basata principalmente su una declamazione centrale molto insistita è all'incirca all'opposto delle sue caratteristiche vocali, e temevo si sarebbe lanciata in aperture e forzature per venirne a capo. Tutto il contrario: saggiamente, se ne è infischiata, quasi usando la fragilità dell'emissione per accentuare la fragilità del personaggio. Il duetto finale, così come lo hanno cantato lei e Kaufmann (tutto pianissimo, alitato, con un gioco di rubati diabolico) non esito a giudicarlo come il più bello (o almeno il più emozionante) che abbia mai sentito, dal vivo o in disco.

Corbelli è un grandissimo Michonnet mentre la Borodina appariva decisamente fuori contesto: forse perché subentrava per la seconda parte delle recite, appariva meno coinvolta nell'allestimento, e ho l'impressione che la Schuster delle prime recite fosse molto più in linea con la concezione di McVicar.

La direzione di Elder mi è parsa terribilmente discontinua: alcuni momenti molto belli (in particolare il terz'atto) mentre altri in cui la ricerca di particolari raffinatezze orchestrali annacquava pesantemente la già non travolgente tenuta emotiva della partitura...

In ogni caso: un grande allestimento. Resta la tristezza sul fatto che l'unico serio tentativo di riflessione su uno dei capisaldi del repertorio più tipicamente italiano (ed era spiazzante notare come il pubblico del Covent Garden consideri un allestimento dell'Adriana Lecouvreur una specie di riesumazione di un'opera sconosciuta) la si sia fatta a Londra anziché alla Scala. Ma mi sa che bisogna abituarsi...

Saluti,

Beck
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Re: Adriana Lecouvreur - Londra 2010

Messaggioda pbagnoli » mer 01 dic 2010, 22:59

Grazie Beck.
Splendide considerazioni e ti ringrazio di averle volute postare sul nostro sito!
Ci racconti qualcosa di più su come il regista ha risolto il dualismo fra Adriana e la Principessa? Abituati come siamo alle Cossotto con le cofane in testa, sono curioso di sapere cosa ha escogitato McVicar...
"Dopo morto, tornerò sulla terra come portiere di bordello e non farò entrare nessuno di voi!"
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Re: Adriana Lecouvreur - Londra 2010

Messaggioda Enrico » gio 02 dic 2010, 1:08

Io ho visto l'Adriana in teatro tre volte: la prima nel '92 a Messina, diretta da Rescigno, un'allestimento "da Kabaivanska" ma, quella sera, senza la Kabaivanska (quest'ultima l'avevo vista la sera prima in un concerto), col tenore Merighi: non conoscevo l'opera, avevo 17 anni, era una recita per la quale avevano venduto i biglietti a 10.000 lire agli studenti di scuola superiore, forse per l'urgente necessità di riempire il teatro... Lo spettacolo scorreva bene, e i cantanti facevano capire abbastanza bene ciò che succedeva, e la protagonista (Adriana Morelli, mi pare) riusciva a dare un certo fascino alle scene finali.

Seconda Adriana, l'anno dopo, a Torino: altro allestimento da Kabaivanska, più ricco e sfarzoso (tende lampadari candele eccetera e gran folla di comparse e danzatori saltellanti) questa volta con la Kabaivanska e con la direzione effettistica di Oren, e ancora una volta il tenore Merighi, e la Toczyska come principessa (me la ricordo un po' "cossottiana", anche se non ho mai visto la Cossotto in teatro).

Terza Adriana, più semplice e povera, ma con qualche motivo di interesse, l'anno scorso (anzi no, quest'anno, ad aprile) nel piccolo Teatro Superga di Nichelino (TO), con cast corretto senza nomi celebri, coro e orchestra provenienti da Parma e Reggio Emilia con la direzione di Stefano Giaroli, e regia di Riccardo Canessa (non so chi sia) che aveva deciso di attualizzare e modernizzare l'opera proponendo una semplice ambientazione novecentesca, con arredamento semplice (divani, un tavolino con lampada elettrica), abiti e atteggiamenti moderni (anche se il tenore Comencini appariva, scenicamente, un po troppo maturo per essere un giovane ufficiale promettente e la principessa era sempre alquanto cossottiana), ed eliminazione dei ballerini (forse per risparmiare?) sostituiti da una singolare proiezione, durante il ballabile, di spezzoni di filmati della vecchia televisione italiana in bianco e nero, con un montaggio molto movimentato in cui si alternavano vecchie scene di Carosello ed esibizioni (senza l'audio naturalemte) di cantanti e ballerini televisivi (le sorelle Kessler, per esempio): l'effetto non era malvagio, considerando la banalità con cui solitamente si svolge il balletto del giudizio di Paride tra fiori e frutta finta e amorini leziosi, e le immagini erano montate in modo da seguire almeno in parte i ritmi della musica di Cilea (niente di speciale, va bene, e l'idea non era nuova: anche nei Pagliacci mi è capitato di vedere "riempito" l'intermezzo con un espediente simile). L'ambientazione moderna però, se anche non era del tutto convincente, serviva a dare un po' di credibilità ai personaggi e un po' di spontaneità alla recitazione.

Le altre Adriane che conosco sono quelle in disco o filmate per la televisione (Olivero, Pobbe, Tebaldi, Caballè, Freni, Kabaivanska, Sutherland - e credo di avere ascoltato per intero, e una volta sola e poi mai più, la registrazione famosa con la Olivero e Corelli in un pomeriggio di 12 anni fa quando facevo il servizio civile nella portineria di un istituto antoniano, e la più recente trasmissione dal Metropolitan col solito vecchio Domingo; e stranamente, delle altre, sentite distrattamente a pezzetti sparsi, la mia preferita è la Sutherland - lo so che non va bene nell'Adriana, ma mi piace lo stesso!). Il problema è che quasi tutte invece di entrare nella parte della giovane attrice bella e famosa recitano come antiche dive da Viale del Tramonto, e anche i loro Conti di Sassonia sembrano spesso stanchi nell'anima come se la relazione con l'opprimente principessa durasse da almeno trent'anni.

Ci sarà il video dell'Adriana di Londra?
Enrico B.
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Re: Adriana Lecouvreur - Londra 2010

Messaggioda MatMarazzi » gio 02 dic 2010, 11:37

Ogni resurrezione di Beckmesser è fantastica! :)
Grazie infinite...
Mi resta solo il dispiacere di aver perso l'effetto sorpresa! Io ci sarò il 7.
Un salutone,
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Re: Adriana Lecouvreur - Londra 2010

Messaggioda marco » gio 02 dic 2010, 14:17

io sabato, neve permettendo e sperando che Angela non tiri il pacco (come ha già fatto ad una replica)
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Re: Adriana Lecouvreur - Londra 2010

Messaggioda Maugham » gio 02 dic 2010, 15:44

MatMarazzi ha scritto:Ogni resurrezione di Beckmesser è fantastica! :)
Grazie infinite...
Mi resta solo il dispiacere di aver perso l'effetto sorpresa! Io ci sarò il 7.
Un salutone,
Mat


Sarò con te.
Anche se maligni farfarelli romagnoli (amici del tenorissimo :wink: ) me lo danno con un inizio di faringite.
Poco male. Anch'io oggi ho mal di gola ma questo non mi ha impedito di cantare una splendida "docissima effige" sotto la doccia. : CoolGun :
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Re: Adriana Lecouvreur - Londra 2010

Messaggioda beckmesser » gio 02 dic 2010, 16:59

pbagnoli ha scritto:Ci racconti qualcosa di più su come il regista ha risolto il dualismo fra Adriana e la Principessa? Abituati come siamo alle Cossotto con le cofane in testa, sono curioso di sapere cosa ha escogitato McVicar...


Purtroppo quella è la parte meno riuscita dell’allestimento, dato che la Borodina, pur senza cofana in testa, cossetteggia molto. Era un filo imbarazzante vedere il povero Kaufmann che si dannava l’anima per costruire una certa situazione e la sia interlocutrice che se ne stava coi piedi ben piantati a terra a sparare acuti… Come detto, con la Schuster doveva essere tutt’altra cosa, anche se in generale era tutto il second’atto a funzionare poco.

Centratissimo era invece il terzo. Sul palcoscenico era ricostruito un altro teatro (ispirato a quello dei Margravi di Bayreuth), che lasciava libero solo il proscenio, su cui erano disposte le sedie destinate (di schiena rispetto al pubblico) agli ospiti della principessa. Sul teatro ricostruito si svolge, naturalmente, il balletto. Adriana, alla richiesta di recitare il monologo, vi sale: è quello l’unico posto in cui si sente a suo agio e, man mano che il monologo avanza e che le luci (e che luci!!!) definiscono sempre più l’atmosfera di finzione teatrale, Adriana diventa la Lecouvreur e la Lecouvreur diventa Fedra. In quell’atmosfera di finzione, l’unica che Adriana conosce e in cui è se stessa, scaglia l’insulto alla principessa, che è nella penombra insieme a tutti gli ospiti. Subito dopo però l’atmosfera teatrale (sempre grazie alle luci) si rompe e Adriana realizza dove si trova realmente. Maurizio vorrebbe raggiungerla sul palco ma il “restate” della principessa lo blocca come un cagnolino ubbidiente. Accompagnata dal solo Michonnet, si ritira sempre più verso il fondo del teatrino, come cercando di scomparire nella penombra del suo mondo di finzione ma le luci (sempre loro) la seguono ad ogni passo, illuminando alla fine tutto il palcoscenico e annientando la finzione che Adriana si era creata. Un grande momento.

Tutto lo spettacolo è del resto basato sul contrasto fra finzione teatrale e realtà: tutti i quattro atti si svolgono su palcoscenici finti ricostruiti su quello vero. Il punto di partenza non era dissimile da quello (almeno credo, dato che non ho visto lo spettacolo) della Tosca di Carsen, ossia la dissociazione psicologica dell’artista davanti alla relazione realtà-finzione, ma diversissimo era l’esito, sia perché l’Adriana Lecouvreur non è la Tosca (non ne ha la portata, le implicazioni, la tenuta) e sia perché McVicar non è Carsen: al secondo interessa soprattutto (come sempre) la portata allegorica del problema, il gioco che si crea quando tutto appare diverso da ciò che è; per il primo invece la storia che si racconta rimane lo scopo principale, insieme all’impatto psicologico che questa storia ha su una ragazzina che non conosce altra realtà del palcoscenico su cui è osannata, e che crede che i meccanismi di quel palcoscenico (i soli che conosce) valgano anche nella vita vera.

MatMarazzi ha scritto:Mi resta solo il dispiacere di aver perso l'effetto sorpresa! Io ci sarò il 7.


Beh, magari ne avrai un'impressione diversa e l'effetto sorpresa sarà anche maggiore... Aspetto resoconto...

Saluti,

Beck
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Re: Adriana Lecouvreur - Londra 2010

Messaggioda VGobbi » gio 02 dic 2010, 20:07

A me l'Adriana come opera mi e' sempre garbata assai. Ve ne sono diverse di riferimento, Olivero - Scotto (il live da Chicago) - Freni (ma sopra tutto mi lascio' enorme impressione il tenore Peter Dvorsky).

Ma un altro ruolo che mi e' sempre piaciuto parecchio, e' quello dell'Abate. Finora di storici, mi son parse le interpretazioni di De Palma e Gavazzi, anche se non oso immaginare cosa riusciva a combinare un Nessi, il mio comprimario per eccellenza!

A Londra chi cantava il ruolo dell'Abate?
Nemmeno noi siamo d'accordo con il gobbo, ma il gobbo è essenziale! Guai se non ci fosse!
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Re: Adriana Lecouvreur - Londra 2010

Messaggioda Maugham » lun 06 dic 2010, 13:10

beckmesser ha scritto:
Beh, magari ne avrai un'impressione diversa e l'effetto sorpresa sarà anche maggiore... Aspetto resoconto...

Saluti,

Beck

: Andry : : Andry : :twisted: : Andry : :evil: : Weight lift : : Weight lift : :evil: : Andry :
Purtroppo da me non l'avrai.
Febbre, bronchite e... altri particolari non propriamente eleganti.
Ho cancellato tutto.
AAAAAAAGGGGHHHHH.

WSM (davvero, ma davvero incazzato.)
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Re: Adriana Lecouvreur - Londra 2010

Messaggioda pbagnoli » lun 06 dic 2010, 15:10

Maugham ha scritto:
: Andry : : Andry : :twisted: : Andry : :evil: : Weight lift : : Weight lift : :evil: : Andry :
Purtroppo da me non l'avrai.
Febbre, bronchite e... altri particolari non propriamente eleganti.
Ho cancellato tutto.
AAAAAAAGGGGHHHHH.

WSM (davvero, ma davvero incazzato.)

Eheheh...
Hai lasciato andare il Grasso Messere da solo?
Cosa combinerà senza di te?
Domani sera ti toccherà vedere la prima dalla Scala, invece di Kaufmann, Gheorghiu e McVicar... : Sig :
Per consolarti ti metto due bei ascolti tenorili passatisti, con singhiozzoni incorporati:



E, siccome mi sento particolarmente generoso, ci metto anche qualche bonus:



E infine, il bonus del bonus:
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Un altro 7 dicembre....

Messaggioda MatMarazzi » gio 09 dic 2010, 12:31

Mentre percorrevo con un paio di soci Wanderer la Museum Street, che poi diventa la Drury Lane (la via che dà il nome a un teatro ben noto ai cultori d'opera) in direzione del Covent Garden, pensavo a che bel 7 dicembre stavo passando.
Con un bel fish and cheaps nella pancia, un'atmosfera frizzante e luminosa tipica di Londra a dicembre, una folla vivace e ridente che ti schizza intorno, come se fosse felice della propria energia, ci avviavamo a passi veloci verso una produzione d'opera favolosa, destinata a entrare nella storia di Adriana Lecouvreur, con uno di quei cast che da noi sembrerebbero miracolosi.
Per una volta al 7 dicembre sono e mi sento lontanissimo dai soliti baccani, le solite trite e prevedibili polemiche del défilé italiota di Sant'Ambrogio, il circo autocelebrativo, i livori e le rivalità, il presenzialismo schizofrenico, le esternazioni di migliaia di persone che non sanno nulla di opera ma in questa occasione devono dire la loro (vedi Fazio), con tutto lo squadrismo culturale italiano allineato pro o contro a seconda della convenienza, la sensazione (direi "da Sanremo") che si stiano montando un caso ad arte, quando nulla c'è di interessante di cui parlare: il solito direttore trombone che fa Wagner da trent'anni (e lo fa come si faceva trent'anni fa); il solito cast tutto sbagliato; il solito regista dilettante... e tutti a dire la loro!

Qui a Londra a nessuno fregava un bel niente del nostro 7 dicembre...
Qui, dove per inciso la stagione operistica è già iniziata da mesi, va in scena uno spettacolo "veramente" bello, importante e di prestigio internazionale (a differenza delle robette provinciali che ci ammanisce Lissner): da tutto il mondo vengono per questa Lecouvreur che girerà per Parigi, Barcellona, San Francisco, eppure nessuno pontifica, nessuno strilla, nessuno protesta, nessuno sfrutta la situazione per reclamare sovvenzioni, nessuno sembra impazzito nella follia del circo mediatico, nessuno paga 2000 euro per farsi vedere in una Walkirietta di terzo livello, nessun vecchio furbastro (tanto per non essere meno furbastro di Mehta) si mette a fare pistolotti elettorali dal podio, nessuno suona l'inno nazionale al posto della musica prescritta, nessun sindaco si fa bello come se l'opera l'avesse inventata lui...
La gente andava semplicemente a teatro (un teatro murato da mesi) vivace e soddisfatta, per vedere una bella opera, con alcuni fra i più grandi artisti del mondo, in una frizzante e luminosa serata dicembrina.

Ho deciso che d'ora in poi farò sempre così: il 7 dicembre fuggirò nella civiltà, come quest'anno.

Venendo all'Adriana di Londra, sottoscrivo tutte le osservazioni di Beckmesser.
Pare che il grande Mc Vicar avesse letto con attenzione ciò che alcuni mesi fa scrisse sul nostro forum l'amico Melomane, che vorrei citare integralmente (thread "Adriana Lecouvreur allo specchio"

Contrariamente a quanto può sembrare la vicenda non è incentrata sulla primadonna Adriana, ma sull'icona "Adrienne Lecouvreur della Comédie-Française", non semplicemente donna e attrice ma allegoria del teatro, così come si annuncia.
"Ecco, respiro appena" riporta al silenzio in sala e "Io son l'umile ancella" all'alzarsi del sipario, metafora dell'inchino. Nel prologo di "Io son l'umile ancella" l'attrice, nell'entrare nel personaggio, commuta la formula da declamazione ("Così non va bene") a canto divenendo medium (strumento di interpretazione e diffusione) completo nelle possibilità espressive.
Il teatro come medium è la realtà immanente, di cui è rappresentazione allegorica la musa Melpomene, l'evento ciclico e quotidiano della rappresentazione "eco del dramma umano", che nasce e muore ogni giorno: "un soffio è la mia voce che al nuovo dì morrà".
"Non sarebbe attrice se non dormisse quando il mondo è desto" è la chiara allusione a ciò.
La "mise en abyme", artificio letterario e teatrale tra i più geniali e sublimi, trova competa realizzazione in questa opera, persino negli sviluppi più moderni attribuiti al cinema.
I livelli dello svolgersi della vicenda - quello reale e i riquadri di "teatro nel teatro" - rimagono distinti, speculari e reciprocamente funzionali nelle dinamiche.
L'osservatore esterno Michonnet - colui che serve l'arte con cui non riesce a fondersi - descrive la scena di teatro nel teatro senza aggiungere commenti ma celebrando la verità.
Come la scena dell'omicidio mediante il veleno in Amleto di Shakespeare, il monologo di Fedra è rivelatore di un tradimento e momento di snodo della vicenda determinante l'epilogo, come voluto dalla tradizione per cui si ritiene che Adriana sia stata avvelenata dalla rivale.
Si attribuiscono al cinema la soluzione narrativa in cui i protagonisti vivono indistintamente il sonno e la veglia non sapendo in quale dimensione si trovano e a quale livello di coscienza operano e quella per cui (Il ladro di orchidee) sono contemporaneamente dentro e fuori la vicenda che scrivono (o viene scritta, da un punto di vista neutro).
Nell'ultimo atto Adriana si risveglia ma - come nell'insegnamento freudiano - trova come in un sogno la soddisfazione dei suoi desideri: l'improbabile presenza di Maurizio.
Presto si manifesta uno stato onirico in cui non riconosce quanto ha intorno, forse un richiamo alla scena del sonnambulismo in cui Lady Macbeth "gli occhi spalanca, eppur non vede...", per volontà di Verdi quasi non canta ma parla.
Anche "Pagliacci", una delle poche (se non due) opere frequentemente rappresentate ascrivibili al Verismo, contempla il teatro nel teatro, ma i piani si fondono, la commedia trascolora in fatto reale (vero anche perchè ispirato a un evento di cronaca) e la vicenda si chiude su quel passaggio: "La commedia è finita".
Adriana invece si trasfigura in musa, "Melpomene son io", per rinascere, per operare la palingenesi di cui il teatro sarà protagonista sin tanto che esisterà un dramma umano, proiettando il ruolo dell'uomo come attore all'infinito, proprio come consente la "mise en abyme".


Come ha scritto Beck, ogni atto era collocato a teatro; non solo il primo che descriveva splendidamente ciò che ci si aspettava di vedere: ossia le quinte di un teatro (ma con lo sfondo del palcoscenico, visto lateralmente, da cui ammiravamo gli attori muoversi, recitare, sbracciarsi).
Sul proscenio c'erano tanti praticabili mobili (su ruote) degli oggetti scenici, come è giusto che sia nelle quinte.
Fra essi - entrata grandiosa degna di una regia geniale - la stessa Adriana: la diva sale sul palco invisibile, nascosta sopra un praticabile coperto da un velo; il velo è sollevato dai presenti come un sipario (la musa è già dentro il suo ruolo) e sotto.. altro non c'è che il "camerino", in cui la diva - seduta davanti allo specchio, le mani incrociate in un gesto di profonda concentrazione, è intenta a immergersi nell'atto creativo di cui fra poco sarà protagonista, di cui - anzi - è già protagonista: Adriana è già metafora del "dramma umano" fin dietro le quinte.

E lo sarà sempre, per tutta l'opera: è attrice di un dramma che non si svolge sul palcoscenico, di cui il teatro è solo uno sfondo (tranne nel monologo di Fedra).
Anche il "villino sulla Senna" (sede degli appuntamenti segreti del principe e delle principessa di Bouillon) ha la forma di un teatro, un palcoscenico da cui filtrano improbabili luci notturne.
E la fuga della Bouillon non sarà per una porta segreta, ma per un'apertura della quinta: una sorta di fuga nella realtà.
Nessuna sorpresa che il terzo atto sia modellato sul classico teatro "raddoppiato" (vecchio stilema carseniano) dove il boccascena finto si affaccia tanto al pubblico reale (noi) quanto al pubblico fittizio (le poltroncine sul palco che ci danno le spalle).
Sbalorditivo è invece l'ultimo atto, che non si svolge in casa di Adriana, ma ancora una volta nelle quinte di un teatro chiuso, triste e incombente come ogni grande palcoscenico durante l'inattività; ai piedi della grande struttura morta, con il suo scheletro di tralicci e fari spenti, Adriana è schiacciata nella sua depressione, nella sua malattia d'amore (o meglio nello squilibrio esistenziale provocatosi in lei dopo la grande spaccatura del monologo di Fedra, il grande tradimento: l'attrice che ha usato il teatro per esprimere la realtà e dunque lo ha tradito).
Al momento della morte (quello "scostatevi profani" di cui ha parlato Melomane) il teatro si anima: le luci si accendono e gli attori in costume vi si affacciano, per assistere alla scena madre e per inchinarsi alla diva che morendo in quanto donna ha scelto la verità del fittizio.

Ha ragione Beckmesser: tutto questo è un omaggio a Carsen talmente esplicito da sembrare un plagio.
E tuttavia (almeno per me) è tutto terribilmente bello.

Sui cantanti dirò che la Gheorghiu è una delle due o tre Adriane possibili oggi.
Ma non perché sia eccezionalmente brava: è brava, ma non eccezionalmente.
La voce risuona piccola è questo può in parte imputarsi alla scenografia aperta di Mc Vicar, in parte alla tessitura lievemente bassa per lei, in parte al fatto che anche la sua voce (pur nel complesso benissimo conservata) comincia a sentire un po' gli anni; campanello d'allarme sono gli acuti filati, che veramente filati non sono mai: "la promessa terrò", tutto il monologo dei "poveri fiori" sono in pratica mezzoforti.
Alla fine canta molto bene, è indubbio: ma altre Adriane hanno cantato (e cantano) la parte infinitamente meglio di lei.
Idem come attrice: brava, autorevole quando serve, molto tenera e persino "fanciulla" in altri punti, molto ma molto efficace nell'ultimo atto, ai primi sintomi del veleno, con l'espressione stralunata e rimbecillita di chi sta perdendo, nel dolore e nel panico, il contatto con la realtà (riuscire a rendere veramente drammatica una scena simile non è cosa da poco).
Però, siamo sinceri, anche dal punto di vista attorale, si può fare e si fa di meglio.
Allora cosa rende così speciale, così fantastica l'Adriana delle Gheorghiu?
Quell'elemento vitale, senza il quale il personaggio non ha senso: il valore aggiunto (in questo caso determinante) introdotto dall'essere una delle più grandi star planetarie, dalla consapevolezza di esserlo e dall'ascendente esercitato sul pubblico.
Vi sono personaggi in cui è prioritario "ciò che si fa"; altri in cui è prioritario "ciò che si è".
Adriana è fra questi e la Gheorghiu, che canta e recita bene ma poco più, "è" la star irradiante divismo reale che per questa parte è necessaria.

Kaufmann.
Ogni volta che lo ascolto dal vivo in un nuovo personaggio resto allibito dalle possibilità straordinarie di questo artista.
Si può pensare che il suo canto screziatissimo di colori e formalmente declamatorio possa anche non adattarsi alla perfezione alla scrittura di Maurizio (anche se ci sarebbe da discutere in merito: il ruolo fu creato dal Caruso del 1902); sta di fatto che non si è mai sentito e visto un Maurizio di questo livello.
La sensualità aspra del suo timbro, il senso prodigioso della sfumatura espressiva, esalta ogni parola, ogni espressione, con quelle spettacolari smorzature ad alta quota (su note "impossibili" come la ripresa di "bella tu sei", o "amor mi fa profeta" o l'ultimo "morta" attaccato forte e poi ridotto a un filo di voce)... non sono che un aspetto.
C'è poi la riflessione sul personaggio, sulla sua freschezza di rampollo di buona famiglia, abituato a farsi notare alle feste, a barcamenarsi fra donne e in fondo anche lui (come tutti in questo allestimento) a recitare con semplicità i vari ruoli che la vita ci impone.

Male, davvero male la Borodina, dal vocione pesante e volgare e dagli acuti compromessi.

Ci voleva un Michonnet di alto profilo in questa produzione: come diceva Melomane è l'osservatore che ama troppo il teatro per fondercisi (come tutti gli altri personaggi). E' il testimone che evita sia il teatro vero sia quello della vita. Il burattinaio che però non ha alcuna influenza sui suoi burattini.
Corbelli ha ereditato da Bruscantini uno strano modo di colorare la frase, pur mantenendo una sensazione di vocalismo: i nodi vengono oggi al pettine nel registro acuto (che risulta aperto e sgradevole), per il resto si rivela un dicitore, un attore, un musicista finissimo e travolgente.
Mi spingo a dire che il suo Michonnet fiancheggia il Sassonia di Kaufmann, in questa produzione di tutte stelle.

Scusate la lungaggine.
Stasera la "première" di My fair Lady alla Chatelet, in questa Parigi stranissima in cui il sole fa scintillare cumuli di neve.

Salutoni,
Matteo
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Re: Un altro 7 dicembre....

Messaggioda Enrico » gio 09 dic 2010, 12:59

MatMarazzi ha scritto: nessun vecchio coglione (tanto per non essere meno coglione di Mehta)


Ci avete detto tante volte che qui non sono ammessi gli insulti!
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Re: Un altro 7 dicembre....

Messaggioda Tucidide » gio 09 dic 2010, 14:03

MatMarazzi ha scritto:nessuno suona l'inno nazionale al posto della musica prescritta

Non mi sembra uno scandalo: in America ci sono teatri che suonano "The Star-Spangled Banner" prima della musica. Nella famosa registrazione del I atto di Tosca con la divina Claudia (Muzio) c'è proprio l'inno all'inizio. :D

Sui cantanti dirò che la Gheorghiu è una delle due o tre Adriane possibili oggi.
Ma non perché sia eccezionalmente brava: è brava, ma non eccezionalmente.
La voce risuona piccola è questo può in parte imputarsi alla scenografia aperta di Mc Vicar, in parte alla tessitura lievemente bassa per lei, in parte al fatto che anche la sua voce (pur nel complesso benissimo conservata) comincia a sentire un po' gli anni; campanello d'allarme sono gli acuti filati, che veramente filati non sono mai: "la promessa terrò", tutto il monologo dei "poveri fiori" sono in pratica mezzoforti.
Alla fine canta molto bene, è indubbio: ma altre Adriane hanno cantato (e cantano) la parte infinitamente meglio di lei.
Idem come attrice: brava, autorevole quando serve, molto tenera e persino "fanciulla" in altri punti, molto ma molto efficace nell'ultimo atto, ai primi sintomi del veleno, con l'espressione stralunata e rimbecillita di chi sta perdendo, nel dolore e nel panico, il contatto con la realtà (riuscire a rendere veramente drammatica una scena simile non è cosa da poco).
Però, siamo sinceri, anche dal punto di vista attorale, si può fare e si fa di meglio.
Allora cosa rende così speciale, così fantastica l'Adriana delle Gheorghiu?
Quell'elemento vitale, senza il quale il personaggio non ha senso: il valore aggiunto (in questo caso determinante) introdotto dall'essere una delle più grandi star planetarie, dalla consapevolezza di esserlo e dall'ascendente esercitato sul pubblico.
Vi sono personaggi in cui è prioritario "ciò che si fa"; altri in cui è prioritario "ciò che si è".
Adriana è fra questi e la Gheorghiu, che canta e recita bene ma poco più, "è" la star irradiante divismo reale che per questa parte è necessaria.

Molto interessante, e in fondo era prevedibile: la Gheorghiu ha modo di esprimere al meglio la propria personalità quando può fare la diva.
Mi chiedo e vi chiedo (a chi ha visto l'Adriana londinese): il divismo della Gheorghiu è, almeno dal mio punto di vista, "antipatico", un po' scostante e assai egocentrico: tutti i divismi sono egocentrici, sennò non sarebbero divismi, ma nella rumena io sento proprio l'idea di essere la migliore del mondo. Tutto questo funziona bene, alle prese con Adriana? Insomma, il personaggio si arricchisce, si compie, trova un valore aggiunto con la Gheorghiu, oppure lascia a desiderare qualcos'altro?
Una curiosità: Mat, dici: "una delle due o tre Adriane possibili oggi": quali sono le altre cui pensi? :)
Il mondo dei melomani è talmente contorto che nemmeno Krafft-Ebing sarebbe riuscito a capirci qualcosa...
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Re: Un altro 7 dicembre....

Messaggioda pbagnoli » gio 09 dic 2010, 15:26

Enrico ha scritto:
MatMarazzi ha scritto: nessun vecchio coglione (tanto per non essere meno coglione di Mehta)


Ci avete detto tante volte che qui non sono ammessi gli insulti!

Hai ragione, Enrico.
Ne ho parlato con Matteo - che si scusa di non poterlo fare di persona, ma è a Parigi e gli viene un po' difficile correggere di persona - che mi ha chiesto di sostituire il termine incriminato con un "furbastro" che, peraltro, ci sembra renda molto bene l'idea.
Un cordiale saluto
"Dopo morto, tornerò sulla terra come portiere di bordello e non farò entrare nessuno di voi!"
(Arturo Toscanini, ai musicisti della NBC Orchestra)
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Re: Adriana Lecouvreur - Londra 2010

Messaggioda marco » gio 09 dic 2010, 15:37

ho visto lo spettacolo sabato 4 e concordo in linea di massima con Matteo, soprattutto sulla straordinaria prova di K., la Gheorghiu non canta male, alla fine convince, ma ha una vocina e soprattutto nelle 2 arie appare sottodimensionata, sono più indulgente, da edonista come sono, nei confronti della B. e del suo vocione che almeno al centro sfoggia ancora uno sfarzosità di suono che colpisce, bravissimo Corbelli anche se in certe frasi acute si capisce che occorrerebbe un baritono aduso al grande repertorio drammatico.
mi è piaciuto anche il direttore Elder, tempi spesso lenti ma ben sostenuti, e l'orchestra ha suonato molto bene
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