Eccomi qua a scrivere qualche impressione su questa Dama di Picche Torinese da me vista lo scorso venerdì 29 maggio 09'.
A seguito dell’esonero di Chernjakov (pare per problemi economici e organizzativi), il teatro Regio di Torino per questa Dama di Picche affida interamente la regia al
sapiente regista Denis Krief.
Che dire, una non regia, una scenografia a dir poco ridicola, con una sola intenzione (a detta del regista) portare in scena la psicosi di Hermann per il gioco.
Visti i risultati non solo riferiti a questo spettacolo (ricordo in particolare un pessimo Ballo in maschera Ferrarese visto con il Marazzo), mi chiedo come sia possibile affidare una qualsiasi opera a certi personaggi...
Ripeto, nessuna idea registica vera, nessun altro filo conduttore se non quella riferita all'ossessione del gioco... E la musica? e i vari temi conduttori? e la scelta drammaturgica di Čajkovskij?
Ma veniamo alla cronaca, queste le premesse esposte dallo stesso Krief in un intervista rilasciata al sito Sistema Musica:
Ma German prova rimorso dopo la morte della Contessa? C’è in lui un pentimento?
«No, non c’è rimorso, non c’è pentimento, lui è un buco nero che mangia tutta la luce, distrugge tutto ciò che attira perché per lui conta solo la sua psicosi: il gioco. Ecco perché la scena sarà dominata da un grande tavolo da gioco, di quelli con il panno verde, grande nove metri per nove, ma solo alla fine si scoprirà che è un tavolo da gioco perché all’inizio sarà solo un grande prato verde».Un grande prato verde?
Secondo lo stesso Denis Krief, sempre nella medesima intervista, la Dama di Picche sostanzialmente è la storia di una psicosi...ci sarebbe da chiedersi di chi...
Aggiungo inoltre che a fare da sfondo a questo "bellissimo prato verde", si poteva osservare la flora del fondale e delle quinte del teatro, rappresentata con didascalica e precisa cartellonistica di sicurezza posta richiamante i pericoli dovuti da contatto diretto o indiretto con corrente elettrica, il richiamo all’uso degli estintori posti in essere (ovviamente anch'essi debitamente segnalati), e altri effetti scenici strabilianti similari.
Per non parlare dei costumi, certi abiti parevano arrivare direttamente dalla soffitta di mia zia, la quale anni orsono si divertiva a prepararci i costumi carnevaleschi riciclando qualche abito in disuso o qualche tovaglia macchiata o sgualcita dagli anni. L’abito indossato dalla contessa nel primo atto, un vestito fucsia con disegni floreali tali da far venire la nausea anche ai più zuccherosi, risulta un insulto al buon gusto e alla decenza.
E pensare che il teatro ha pure espresso ringraziamenti per la disponibilità del regista italo-francese nel porre rimedio all’esclusione di Chernjakov...
Mi chiedo come sia possibile programmare un titolo così importante all’interno di una stagione teatrale (senza dimenticare che la Dama di Picche era dal 63 che non veniva rappresentata al Regio di Torino) e quasi all’ultimo momento trovarsi a dover sostituire il Regista.
Sovente capita di dover assistere ad un forfait dell’ultima ora di qualche cantante o del direttore, ma un regista caspiterina non deve mica andare in scena.
Fortunatamente la parte musicale e vocale, metteva in evidenza note più che positive e a tratti anche eccelse.
La direzione di Noseda è stata a mio avviso decisamente valida, con punte di ottima fattura sia nella scena della tempesta che in quella di apertura e chiusura del III° quadro (II° atto).
Il direttore milanese, ha saputo dare una propria impronta alla lettura di quest’opera che considera
tra tra le opere meglio riuscite, e più pregnanti, dell’intera storia della musica. Ritenuto dalla critica uno dei maggiori interpreti italiani dell’opera russa, Noseda affronta la partitura in maniera convita e convincente.
Nella sua direzione ritroviamo lo spirito con il quale Čajkovskij aveva composto il dramma di Hermann proprio in quella sorta di auto esilio che lo stesso compositore russo aveva scelto per se stesso in quel periodo forse triste e malinconico vissuto in Firenze nei primi mesi del 1890.
I violini del complesso diretto da Noseda, tanto cari a Čajkovskij, fanno allora emergere queste note ora tristi, ora cupe, ora malinconiche, ora decise, tracciano i movimenti scenici, disegnano il luogo, l’ambientazione, il climax.
A sostegno di una buona prova orchestrale va da supporto, in maniera più che convincente, la parte vocale dell’opera.
Per quanto concerne il cast a mio personale parere la palma d’oro della serata, nel suo complesso, va al tenore Maksim Aksënov.
È vero che la voce è un po’ piccina per la parte, per esempio nella scena della tempesta Aksënov sparisce nel volume orchestrale, ma per il resto, il tenore russo ha saputo dare prove eccelse per musicalità, emissione, fraseggio, interpretazione e sostegno vocale (non dimentichiamoci che il ruolo è vocalmente massacrante…).
Forse, dal punto di vista introspettivo e psicologico, la parte per ora non gli si addice molto, sicuramente fa testo la giovane età, però nel complesso…ad avercene…
Sarei curioso di poterlo ascoltare in un certo repertorio francese dove sovente si ascoltano tenori fuori posto sia in eccesso che in difetto.
La cosa che comunque credo abbia lasciato tutti quanti esterrefatti, è stata l’incredibile facilità con la quale è riuscito a sostenere e portare a termine la prova dal punto di vista vocale (mai un solo momento di difficoltà). Davvero entusiasmante.
Svetla Vassileva disegna una Liza convincente sia sul piano interpretativo che musicale. Ad onor del vero, occorre precisare che in zona acuta, al contrario del suo amoroso collega, apre un po’ troppo e oserei dire che in certi casi raggiunge quasi suoni “gridati” (almeno questo è l’effetto che produce) che risultano messi poco a fuoco e crescenti.
Comunque sia una Liza convincente.
Al contrario della Vassileva, ho trovato la Polina della Gertseva un po’ troppo artefatta e vocalmente incerta sul da farsi.
L’impressione è sicuramente quella di una voce interessantissima e davvero importante, ma sostenuta da una tecnica non ancora in grado di eguagliare quanto madre natura le ha dato.
Nella zona centrale sovente appariva intubata o eccessivamente coperta, e visto e considerato che sia il colore che il timbro della voce e mio avviso non le necessitano di questi accorgimenti non si capiscono le ragioni di questa accentuazione se non quella di una certa insicurezza.
Direi comunque meglio nella parte di Milovzor che in quella di Polina.
La prestazione dei due baritoni è stata altalenante, direi comunque meglio il Conte Tomskji di Vladimir Vaneev, del pessimo Principe Eleckji interpretato da Dalibor Jenis.
Come forse è noto, la parte di Eleckji è sicuramente ritenuta interessante per la bellissima e grandissima aria del II° atto (ya vas lyublyu); decisamente fuori luogo l’esecuzione di Jenis.
Un aria che dovrebbe essere resa in maniera talmente nobile ed elegante da far credere ad ogni donna che l’amore eterno esiste veramente, risolta in quella maniera quasi al limite del becero, pareva ricordare il tempo in cui l’uomo preistorico portava alla propria alcova la donna conquistata trascinandola per i capelli all’interno di una caverna…
Rimangono sempre più evidenti le perplessità circa i criteri di scelta di taluni personaggi all’interno di un cast (non dimentichiamoci che il signor Dalibor Jenis è lo stesso baritono che ha saputo ridicolizzare il nobilissimo Rodrigo del Don Carlo scaligero).
Mi chiedo infine, se per caso il signor Jenis, abbia mai ascoltato un certo Pavel Lisitsian nel ruolo del Principe Eleckji; ma visto il risultato, non credo proprio...
Ed infine la Contessa.
Di fronte ad una personalità come quella di Anja Silja tutte le dissertazioni sulla vocalità appropriata o meno, passano in cavalleria.
È vero, possiamo dire che la voce è messa male, che specialmente nel I° atto la Silja, vocalmente parlando risulterebbe non pervenuta (anche se il personaggio in scena accentra su di se tutta l’attenzione) e che probabilmente non si tratta solo di condizioni vocali attuali; ma se il senso di andare all’opera è anche quello di emozionarsi, beh, allora per quanto mi riguarda Anja Silja ha saputo creare questa magia.
Nella sua interpretazione non c’è un gesto fuori luogo o un porgere che non assecondi il ruolo previsto per la contessa, niente artefazione, niente pantomima, niente giochi, tutto realtà.
Che dire poi di frasi come
Le duc d’Orléans, le duc d’Ayen, le duc de Coigny, la comtesse d’Estrades, la duchesse de Brancas… o dei bellissimi passaggi dell’aria francese
Il me dit: Je vous aime, et je sens malgré moi, je sens mon coeur qui bat, qui bat, je ne sais pas pourquoi!Finalmente una contessa che rievochi una donna bella, coinvolgente, a cui non si può dire di no, che dia realmente l’idea del perché veniva chiamata “Venere Moscovita”, del perché tutti impazzivano per lei.
Forse non sarà ricordata come la miglior contessa portata sulle scene teatrali, ma per quanto mi riguarda, la sua interpretazione è stata davvero elettrizzante.
Nel complesso direi che è stata una buona Dama di Picche.
Una menzione speciale per il coro e per il maestro Gabbiani degno erede del Casoni che ora dirige anch’esso sapientemente il coro scaligero.
PS. La mia fidanzata che è russa e che era presente ovviamente con me alla recita, mi ha chiesto più volte: ma sei sicuro che i coristi siano italiani??? pensate che addirittura in merito al coro delle voci bianche non ha voluto saperne…erano tutti russi…
Salutissimi.
Teo