E’ stata una regia “tiepida” questa di Tcherniakov? Verrebbe da dire “dipende dal grado di cottura”!
Personalmente penso che tutto di questa regia si possa dire. Ma non che sia stata “tiepida”.
Cosa non c’è in questa Traviata? Tanto per incominciare, Violetta non è una prostituta. E questo fa sì che la regia non affronti l’elemento di critica sociale che nell’opera di Verdi era invece una componente essenziale.
Secondo, Violetta non è malata. Niente tisi, niente AIDS, niente tumore. Mai vista una morente così vitale, ha scritto Elisotta. Eh, già. Al primo atto finge un malore pur di poter star sola con Alfredo. Nel corso dell’opera (già a partire dal finale dell’atto primo, e soprattutto al secondo durante e dopo il colloquio con Germont padre), emerge il ritratto di una donna che dietro la maschera di donna volitiva ed energica nasconde una grande insicurezza emotiva, un senso di abbandono, un sentirsi “sola e abbandonata”, priva di affetto e punti di riferimento. Di qui gli sbalzi d’umore (quasi da sindrome bipolare), la reazione sovreccitata alle parole di Giorgio Germont al secondo atto. Un’eterna bambina (la “bambola di Violetta” al secondo atto, prima scena) che più che un’amante cerca disperatamente un padre. Nell’ultimo atto si riempie di psicofarmaci ed alcool. Poi allo specchio usa cipria e belletto per “farsi ancora più pallida”, per accentuare l’aspetto di donna malata e morente. E’ una donna disposta a tutto, anche a fingersi malata (o pazza?) pur di ottenere un po’ d’affetto. Di cosa muore, questa Violetta? Di rifiuto, di abbandono. Muore “sola e abbandonata” da tutti, altro che “tra le braccia io spiro di quanti ho cari al mondo”! Quando riceve la visita di Alfredo, questo giovane il cui amore (?) si è disciolto come neve al sole alla prima difficoltà e che recatosi in visita a Violetta continua a guardare l’orologio non vedendo l’ora di andarsene, la protagonista comprende che loro due non potrebbero essere più distanti (e diversi) di così: lei pensa al “tempio”, lui desidera solo allontanarsi da quella situazione così imbarazzante (e da quella persona così “sgradevole”) al più presto. Violetta si sente rifiutata, e reagisce con quanta forza le resta ancora in corpo, cercando di aggredire Alfredo, rinfacciandogli la sua meschinità e il suo egoismo. Con queste premesse certo che Alfredo non la abbraccia mentre lei muore (e peraltro la sua morte giunge inaspettata)!
E questa sarebbe una lettura “tiepida”? Certo, la regia non propone una destrutturazione radicale come nel Trovatore a Bruxelles. Ma l’interpretazione registica resta quanto di più lontanto ci possa essere da una lettura “convenzionale”.
Pensiamo solo alla festa a casa di Flora. Il coretto delle zingarelle e dei toreri non ha più nulla del folklore beota ed innocuo che solitamente ammorba questa scena, ma acquisisce una funzione drammatica. E qui lo scarto nel registro narrativo adottato dal regista è fortissimo (si passa dal realismo all’espressionismo), e peraltro estremamente pertinente con la vicenda e in linea con la musica. Purtroppo il finale dell’atto (l’unico vero punto in cui la regia non è all’altezzadel resto) è alquanto convenzionale e sfocato.
Del terzo atto ho già detto, e del primo ha scritto benissimo reysfilip (che ringrazio di cuore!
).
Nel complesso, l’ho trovato uno spettacolo “forte”, di grande impatto, non convenzionale, non banale, non tiepido, interessantissimo, ancorché piuttosto “parziale” (soprattutto per il concentrarsi sul rapporto“emotivo” tra i vari personaggi della vicenda, tralasciando gli aspetti di critica sociale).
Per quanto riguarda la parte musicale (per quanto valutabile da una ripresa audio e video semplicemente SCANDALOSA
!) il cast è dominato dalla Damrau che, dapprima fragile e timorosa nel primo atto, realizza un secondo e soprattutto un terzo atto nei quali l’interpretazione vocale diventa una cosa sola con l’interpretazione scenica del personaggio proposta da Tcherniakov. E attrice strepitosa.
Beczala è stato, prima di tutto, un Alfredo credibilissimo in scena (Tcherniakov deve aver penato non poco!) e vocalmente (anche se tutto un po’ troppo forte e “a senso unico”: qualche sfumatura non sarebbe stato male sentirla). Comunque del tutto incomprensibili ed ingiustaficabili le contestazioni rivoltegli (anche considerando il tripudio tributato alla “vocalmente non irreprensibile” Zampieri che riesce invece a massacrare la parte di Annina).
Lucic rende bene la grettezza del personaggio di Germont padre, ma la sua vocalità ha davvero poco a che fare con Verdi.
La direzione? Gatti dimostra di aver riflettuto, di aver pensato (e penato) parecchio. E il risultato è una direzione che, convincente o meno, resta interessantissima. Ho qualche perplessità su alcune sonorità adottate (sarà doveroso verificare dal vivo): penso ad esempio al vero e proprio terremoto orchestrale all’inizio della cabaletta di Alfredo - un terremoto difficile da giustificare sulla base della vicenda narrata da Tcherniakov (che espunge gli aspetti di critica sociale). Però il primo atto calza come un guanto all’impostazione registica: una lettura assolutamente antiretorica, di estrema sobrietà, l’amore romantico è altrove. I tempi poi sono dal mio punto di vista assolutamente convincenti. Penso soprattutto all’aria e cabaletta di Germont padre: per la prima volta in vita mia ho sentito dei tempi che finalmente non sono più noiosissimi “pezzi da concerto” che bloccano la vicenda sul più bello (vere e proprie “zeppe” narrative), ma sono perfettamente inseriti nella vicenda rappresentata (anche se in “Di Provenza”, Lucic tendeva un po’ a “tirare indietro” sui tempi). Le sonorità “scheletriche” degli archi all’ “addio del passsato”, anche in TV, le ho trovate sconvolgenti. Contestazioni e critiche a Gatti francamente incomprensibili e ingiustificate.
Loggione: mi autocensuro da solo.
Vorrei solo dire che sono felice di essere moderatore qui e non in altri fora dove, tra ieri e oggi, ho letto espressioni di una volgarità e violenza francamente inaccettabili. VERGOGNOSO!
Piccola considerazione finale: oggi ho trovato un euro e trenta centesimi per strada. Così mi sono comprato il Corriere della sera. E ho scoperto (prima pagina) che il regista Tcherniakov ci ha presentato una “versione ultramoderna”. Non so davvero in che epoca vivano Giuseppina Manin e Pierluigi Panza, né come sia arredata la cucina di casa loro (il problema della scenografia, semmai, è che non era abbastanza “ultramoderna”!!!). Infine Lui. Che, dopo essersi firmato “dichiarato dalla Scala “persona non grata”, a pagina 12 “singhiozza, bela, raglia”, scrive un articolo “pieno d’inaccettabili ultroneità e arbitri”. Il suo sommento “ventrale fa parte delle cose da non farsi”. “Farebbe ridere se non facesse piangere.” I virgolettati sono parole Sue. L’euro e trenta era meglio darlo in carità.
DM
P.S.: scusate la lunghezza del post, mi sono lasciato prendere la mano.